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Iraq: il fallimento americano condurrà alla divisione del paese?

di Günther Deschner - 17/11/2006



Sono sempre più numerosi i militari della coalizione, gli analisti, gli osservatori e gli uomini politici i quali ammettono apertamente che la guerra in Iraq, scatenata dal governo americano nel marzo 2003, derivi da una decisione erronea, che essa non possa essere vinta e che la sola via di uscita attualmente ragionevole sia di mettervi fine senza perdere troppo la faccia e senza lasciare il paese in una situazione inestricabile, dalle conseguenze ancora più incresciose. Il Presidente ha appena messo in piedi un « Gruppo di studio sull’Iraq », radunando uomini e donne di tutto l’orizzonte politico, posto sotto la direzione dell’ex Segretario di Stato agli Esteri James A. Baker. Questo gruppo deve elaborare le strategie da applicare per uscire dal conflitto. I risultati delle sue cogitazioni non saranno accessibili al pubblico che dopo le legislative, nella seconda metà del mese di novembre. Ma già da ora si può anticipare che il « canovaccio » privilegerà una divisione dell’Iraq in tre entità. L’esperto israeliano di politica estera Shlomo Avineri aveva già ventilato una soluzione del genere nel 2003 (il periodico berlinese « Junge Freiheit » ne aveva parlato nel suo numero 46 del 2003).


Un governo iracheno limitato alle politiche estera e monetaria

Secondo il nuovo tracciato americana, l’Iraq dovrebbe essere diviso in tre regioni autonome, anzi indipendenti. A nord, avremmo un’entità leggermente più grande dell’attuale « Regione autonoma del Kurdistan » ; a sud, il più grande gruppo demografico iracheno, quello degli Arabi sciiti, si auto-governerebbe ; la terza entità si situerebbe al centro del paese, tra Bagdad e le frontiere siriana e giordana ; la sua popolazione sarebbe in maggioranza sannita e araba. Queste regioni potrebbero, come nel caso della disintegrazione dell’ex Jugoslavia, evolversi fino a diventare degli Stati del tutto indipendenti. Si può così immaginare che gli Americani lascerebbero a Bagdad una sorta di limitato governo iracheno, le cui uniche competenze sarebbero la politica estera, la politica monetaria e la protezione delle frontiere.



Questo piano ha tutte le possibilità di riuscire, nella misura in cui non costituirebbe altro che una traduzione politica ufficiale di ciò che si è realizzato nei fatti : già oggi queste tre regioni esistono de facto, con gli Sciiti filo-iraniani nel sud, i Kurdi filo-americani nel nord e i Sanniti nel centro, dei quali non si capiscono le intenzioni che, nel dubbio, sarebbero piuttosto ostili all’America. A metà ottobre, il Parlamento iracheno ha deciso, con l’appoggio dei voti kurdi e sciiti, di far passare una legge che accorda alle province ed alle regioni una forte autonomia politica fornita del diritto di levare proprie truppe di autodifesa. Ufficialmente, il paese è già sulla via della divisione, sulla base dei criteri etnico e religioso.


Dopo l’esplosione dell’ex Jugoslavia nel 1991, dopo la separazione al velluto della Cecoslovacchia nel 1992, vediamo che una terza produzione artificiale dei vincitori della prima guerra mondiale e dell’ordine imposto nel 1919 a Versailles viene messa a disposizione, preparata per una futura divisione. Dopo che tutti questi popoli e culture della Mesopotamia erano stati messi di forza dai Britannici, oltre 80 anni fa, sotto un comune baldacchino chiamato Iraq, mai Kurdi e Arabi, Sciiti e Sunniti hanno trovato il posto che desideravano in seno a quello Stato che, da allora, non ha mai avuto una pace interna. Gli Ottomani avevano avuto l’intelligence di amministrare separatamente le loro province di Bassora (Sciiti), di Bagdad (Atabi sunniti) e di Mossul (Kurdi). Un domani, finita l’avventura americana, le componenti di questo paese sceglieranno le proprie strade, semplicemente perché prima non avevano mai fatto parte di un’unica entità politica.


Eppure, la ristrutturazione territoriale e politica di questo pezzo importante della geopolitica del Vicino e del Medio Oriente non si farà senza scontri, senza perdite né clamore. La demolizione di quella struttura politico-statale che era l’Iraq farà tremare tutta quella regione del mondo. Altri prodotti dell’ordine di Versailles o, piuttosto, del « disordine di Versailles », come la Siria e la Turchia, saranno trascinate nel turbine. Scoppieranno nuovi scontri tra potenze antagoniste. Oppure le menti saranno obbligate a rivedere i loro schemi.


L’indipendenza della parte sciita dell’Iraq rafforzerà ipso facto l’influenza dell’Iran, musulmano e sciita, anche se non arabo. Il peso dei sunniti diminuirà ed essi diventeranno i « declassati » della regione, senza che si possa prevedere che cosa accadrà in questa regione centrale né a quali influenze, eventualmente pericolose, essa potrà essere sottoposta. L’indipendenza dei Kurdi dell’Iraq allarmerà la Siria e, soprattutto la Turchia, dove vivono forti minoranze kurde.



Sul piano interno, la divisione in vista non si farà senza scontri. La popolazione è in gran parte mescolata e le diverse etnie e i vari gruppi religiosi coabitano su territori contestati. Già i governi britannici dell’epoca coloniale avevano praticato le espulsioni e i trasferimenti di intere tribù per garantire il loro potere. Gli uomini forti arabi succeduti ai governi inglesi, hanno praticato una politica di arabizzazione del paese e hanno privilegiato il potere degli elementi sunniti, facendo ricorso alle stesse crudeltà politiche di spostamenti forzati. Il punto culminante di tale arabizzazione e « sunnitizzazione » avvenne quando Saddam Hussein ordinò la deportazione di 200.000 Kurdi fuori dalle regione di Kirkuk, ricca di petrolio. Nell’articolo 140 della nuova costituzione irachena, i Kurdi hanno ottenuto il diritto al ritorno delle popolazioni espulse e al rimpatrio degli Arabi sunniti installati nella regione. L’articolo precisa : « Con trasferimenti ben regolati e contro calcolati indennizzi ». Alla fine del 2007, gli scambi di popolazioni dovrebbero essere terminati. Ora si stanno svolgendo su grande scala. Naturalmente, questo processo non avviene senza frizioni. Tutte le parti barano e se la prendono comoda nell’esecuzione dei piani.


In linea generale, si pensa che con la divisione del paese in tre regioni ci vorranno parecchi anni prima che la calma possa tornare. Michael O’Hanlon, pensatore in vista della celebre « Brookings Institution » di Washington, chiede che tutti abbiano il coraggio di elaborare dei programmi per garantire dei « trasferimenti volontari ». Gli Stati Uniti, aggiunge, devono sovvenzionare queste misure globali e garantirne la logistica. .



Eppure l’ « epurazione etnica » e culturale di regioni miste e mescolate è iniziata da tempo. 70.000 Kurdi sono già ritornati nella regione di Kirkuk. 20.000 Cristiani arabi hanno trovato rifugio nelle regioni kurde del Nord. Per timore di violenze, in questi ultimi tre mesi 200.000 Sunniti e Sciiti hanno lasciato il loro luogo di residenza per raggiungere province che in maggioranza osservano il loro culto. La legge della regionalizzazione, appena adottata, tiene dunque contro di queste migrazioni interne, soprattutto prevedendo un termine di diciotto mesi per fissare definitivamente le frontiere delle entità autonome.



Fonte: articolo tratto da «Junge Freiheit», Berlino, n°45/2006