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Elogio della pazzia contro la Finanziaria

di Gianni Vattimo - 19/11/2006

 
SIAMO dunque tutti impazziti? Prodi non ha ancora cambiato idea, anche se l’ha attenuata e circostanziata un po’. Siamo impazziti perché ci rifiutiamo di pensare al futuro e cioè protestiamo, ciascuno dal punto di vista della sua corporazione, accademici, professionisti, idraulici, contro i sacrifici che la legge finanziaria ci vorrebbe imporre. Anche se rifiutiamo di sentirci pazzi, possiamo tutti ammettere che non ci piacciono i sacrifici, non solo quelli privati che ci colpiscono nelle nostre abitudini di consumo (ma sono poi solo privati? Se smettiamo di consumare, quanti lavoratori lasciamo sul lastrico?), ma anche quelli che, per esempio, non vuole accettare un persona saggia e rispettabile come la senatrice Rita Levi Montalcini, che si oppone ai tagli che toccano la ricerca scientifica; o quelli contro cui recalcitrano i rettori delle università. Le lacrime e sangue a cui ci si adatta in casi d’emergenza non siamo disposti ad accettarli.

Anche se è vero che siamo in guerra (Iraq, Afghanistan, Libano...), niente è più lontano dal nostro spirito oggi che la disposizione d’animo eroica richiesta per non dar di matto dimenticando il futuro. E in questa pazzia, peraltro fin troppo tranquilla, non c’entra solo la nostra inveterata pigrizia; c’entra anche il clima che proprio il governo Prodi ha contribuito potentemente a instaurare nel Paese appena passata la «luna di miele» del dopo elezioni, quando la maggioranza di noi celebrava, a ragione, la caduta di Berlusconi e credevamo di avviarci a una stagione di vere riforme. Subito dopo è cominciato il tempo delle bugie pietose: dovevamo restare in Afghanistan perché la nostra è una missione di pace, il ritiro dall’Iraq era deciso (già da Berlusconi, peraltro), ma c’erano i tempi tecnici (farsi consigliare da Zapatero, per la celerità?); poi siamo partiti per il Libano, fieri della «credibilità» (agli occhi degli americani) che questa nuova missione attribuiva al nostro governo. Poi è scoppiato lo scandalo intercettazoni, legato anche al rapimento di Abu Omar; saremo assolutamente intransigenti, esigeremo dagli «alleati» americani il massimo rigore; ma gli americani stanno ormai raddoppiando la loro base-deposito di atomiche a Vicenza, e tutto il rigore si è per ora ridotto a trasferire Pio Pompa ad altro incarico (sarà forse ancora meglio pagato? Del resto, aveva sempre votato comunista). Infine il triste balletto della finanziaria, quello per cui ci siamo presi dei pazzi. Da tutte le parti, non solo dall’opposizione, ci si è gridato che è una legge finanziaria bolscevica, tanto che persino il leader della Cgil la difende come la migliore possible, anche se una parte consistente della sua base, la Fiom anzitutto, manifesta in piazza contro di essa, con la partecipazione di ministri e sottosegretari del governo.

Dunque, tanto bolscevica non è, a meno che l’ex banchiere europeo Padoa Schioppa sia, lui sì, improvvisamente impazzito. Possiamo disporci ad accettare sacrifici per un governo così, sia pur pietosamente, bugiardo? Prendere per oro colato il vero e proprio ricatto che esso opera nei confronti di deputati e senatori, facendo loro credere che se cade Prodi ci saranno necessariamente nuove elezioni, prima che i poveri rappresentanti del popolo (cioè: delle segreterie dei partiti, che li hanno imposti nelle liste bloccate, alla faccia delle primarie) maturino il sacrosanto diritto alla pensione? Ma no, siamo ancora una repubblica parlamentare, se cade questo governo se ne potrà fare un altro; magari un Prodi-bis, che risolva le proprie contraddizioni ricorrendo all’aiuto di Fini, di Casini, o forse, da ultimo, di Bossi, senza pericolo per il seggio ormai mummificato della presidenza della Camera. Tra l’altro, una soluzione più esplicitamente centrista dell’eventuale crisi avrebbe almeno il vantaggio, per le sinistre, di liberarle finalmente per una autentica opposizione. Potrebbero persino arrivare all’estremo inaudito di chiedere l’uscita dalla Nato, come usava fare il Bertinotti d’antan, forse non bugiardo ma certo, oggi, «istituzionalmente» smemorato.