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Afganistan: N.A.T.O. in guerra

di U. F. - 13/12/2006

 


"Possiamo vincere e vinceremo"
(Tony Blair, al vertice di Riga)

Il summit della Nato svoltosi a Riga, in Lettonia, il 28 e il 29 novembre scorsi, non passerà certo alla storia per nuove definizioni strategiche globali, ma di certo ha confermato l'impegno militare in Afganistan nell'ambito di quella che è considerata "la missione prioritaria dell'Alleanza".
Attualmente, secondo gli ultimi dati ufficiali forniti dai comandi, partecipano alla missione Isaf-Nato 11.800 militari Usa (più altri 7.000 della missione Enduring Freedom), 6.000 britannici, 3.000 tedeschi, 2.500 canadesi, 2.000 olandesi e 1.800 italiani, oltre ad altri 5.700 di altri 31 contingenti multinazionali, per un totale di 32.800 unità.
Alla vigilia del vertice, il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, era stato assai chiaro, sia riguardo la necessità di disporre in Afganistan un maggior numero di truppe in modalità "combat", superando le restrizioni operative a cui deve attenersi ogni singolo contingente su mandato di ogni rispettivo governo, sia sul fatto che l'intervento della Nato è "di lungo termine" tanto da ipotizzare una durata pari a quella di una generazione, ossia di decenni.
Alla fine del summit, il segretario può dirsi parzialmente contento, anche se il compromesso raggiunto tra Stati Uniti (indeboliti dalla sconfitta elettorale di medio termine della presidenza Bush) e i diversi stati dell'Unione Europea (che forniscono circa un quarto delle forze operative) non ha del tutto soddisfatto le sue aspettative, così come si può evincere dalle sue dichiarazioni: "Tutti i 26 leader dell'Alleanza Atlantica condividono lo stesso obiettivo, un Afganistan libero e indipendente. Alcune delle restrizioni all'impiego delle truppe sono cadute". Grazie a tali rimozioni, la mobilità dei 32.800 soldati presenti sarà accresciuta nell'immediato sia grazie all'arrivo di altri 2.500 militari (soprattutto polacchi) sia attraverso una maggiore disponibilità di Germania, Spagna e Francia a correre in aiuto, in caso d'emergenza, sul fronte sud dove si combatte la guerra più dura e difficile, con gravi perdite tra le truppe Usa e canadesi.
E che si sia di fronte ad una vera escalation bellica, lo conferma il dato confermato anche dal New York Times del 17 novembre che "di fronte alla crescente richiesta di copertura aerea da parte delle forze Nato, l'aviazione Usa ha condotto oltre 2 mila attacchi aerei in Afganistan negli ultimi sei mesi". Cifra questa –superiore anche alle azioni aeree in Iraq - peraltro confermata dalle informazioni che si possono trarre dal sito ufficiale dell'Usaf in cui trova conferma il raddoppio delle incursioni e dei bombardamenti dall'inizio dell'estate all'inizio di autunno.
Ribadito a Riga, unanimemente, anche il sostegno politico e militare al corrotto e subalterno governo Karzai, compresa la decisione di recuperare e riciclare al suo interno, oltre ai vari signori della guerra e del narcotraffico, anche i talebani, ossia gli esponenti del precedente famigerato regime per la cui caduta era stata dichiarata la guerra nel 2001, ritornando così ad un passato neanche troppo lontano in cui tra Washington e Kabul si parlava il comunque linguaggio degli affari e del profitto.
Pochi giorni prima, ad esprimersi in tal senso, era stato il generale italiano Gay, vicecomandante delle forze Isaf-Nato, secondo il quale "la soluzione non è eliminare il nemico ma convincere gli elementi antigovernativi, compresi i taleban, a rientrare nella vita politica e sociale del paese" .
Ufficialmente, il governo italiano non sembra aver modificato niente del proprio già rilevante impegno militare (ultimi dati disponibili 2.388 militari, di cui 1.938 con l'Isaf, dislocati a Kabul ed Herat; 450 imbarcati nel contesto di Enduring Freedom nell'Oceano Indiano e nel Mediterraneo), ed ha ancora assicurato la propria disponibilità, purché con preavviso, ad intervenire anche nelle province meridionali (Kandahar, Uruzgan, Helmand, Zabul) nel caso gli alleati si trovino nella condizione di non poter far fronte agli "insorgenti"; circostanza questa ormai all'ordine del giorno. Per tale funzione di supporto rapido, sono già sul campo - ossia nell'area d'impiego comprendente le province di Herat, Ghor, Baghdis e Farah - gli effettivi di un task group composto da reparti speciali italiani (Gruppo Operativo Incursori della Marina e reggimento paracadutisti d'assalto Col Moschin). Tale disponibilità era stata concessa un anno fa, in ambito Nato, dall'allora ministro della Difesa Antonio Martino, quindi confermata dall'attuale ministro Parisi. Dopo che il governo di centrosinistra aveva cercato di far passare sotto silenzio e di minimizzare la cosa, considerato il carattere offensivo di tale distaccamento, lo scorso 8 settembre alcuni di questi militari sono rimasti feriti in un attentato a Farah facendo definitivamente emergere questo segreto di Pulcinella.
In fondo, la guerra moderna è roba per professionisti.
Di morte.