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Non chiamiamolo Ciarlatano

di Gabriele Adinolfi - 09/11/2005

Fonte: noreporter.org

Adriano, la libertà di parola e varie amenità; musicali e non.
 
Non lo chiameremo Ciarlatano; se non altro perché siamo cresciuti anche con la colonna sonora delle sue canzoni. La tentazione tuttavia è forte. Adriano (non il centravanti, lo show man) gioca a fare il mattatore e non si sa come né perché, ma da tempo si parla solo di lui, tanto che nell’inutilità logorroica della commedia mediatica  persino Albano e la Lecciso perdono colpi.

Il Celentano fa il “predicatore” e non si comprende come mai, ma gli danno retta.

A cominciare dalla sua banale quanto insulsa divisione fra “Rock” e “Lento”. Laddove lento starebbe per retrogrado e addirittura per distorto. Nientedimeno chi abbandona i cani, per il vecchio molleggiato dalla giunture oramai arruginite, sarebbe un “lento”.

Dopo la divisione insulsa fra destra e sinistra (“due diversi modi di autodefinirsi imbecilli”, diceva Ortega y Gasset), l’ultima forntiera del dualismo demenziale si situa ora fra ritmo acceso e melodia. Come se non fosse possibile amare tanto il Rock quanto il Lento o suonare ambo i generi. Così come i Beatles che ci hanno lasciato fior di canzoni melodiche: “Yesterday” per tutte, senza con ciò essere retrogradi o “lenti”, almeno non così come lo intende Predicator.

Non so proprio cosa abbia il Celentano contro quella musica e quel genere di ballo che, chi ha superato i quarantacinque anni, rimembrerà aver accompagnato i suoi primi passi dalla pubertà all’età cosciente. Potremmo anzi dire che alle generazioni successive è mancata non poco quella sottile eccitazione che accompagnava i primi contatti fisici fra giovani di sesso diverso. Non si trattava solo del calore attrattivo di una promessa corporea che non sarebbe stata quasi mai mantenuta e che però  dava, dicasi dava, coscienza sessuale, concretizzando il desiderio. Si trattava di qualcosa di più importante, di “comunicazione” perché quest’ultima avviene sempre e soprattutto con il corpo, con il gesto. Il “lento” aiutava a far cadere barriere psicologiche, le medesime che oggi allontanano sempre più i maschi dalle femmine che sono sempre meno intercomunicanti e sempre più complessati. Una mancata confidenza psicosessuale che produce, tra l’altro, il dilagare delle scelte omosessuali, spesso dettate proprio dalla paura dello “sconosciuto”.

Questo per dire che la boutade celentaniana è un po’ vaneggiante. Magari il “lento” tornasse a far parte della nostra cultura! Insieme al rock, non al suo posto.

Fatta questa divagazione, parliamo però del fattore politicamente più importante. Il Celentano, dato per futuro candidato della “Margherita”  gioca a colui che fa cadere i tabù, che dice a ogni costo quel che non si potrebbe dire, insomma al Pasquino dei mediocri. Molto ci sarebbe da disquisire sulla libertà di parola in Italia che – eccezion fatta delle verità che mettono in discussione i dogmi falsi dei vincitori del 1945 – è totale; tanto si sa che non serve a niente. La libertà è negata (con la sottrazione dei mezzi di comunicazione) solo agli intelligenti perché disturbano la standardizzazione che serve a tutti: politici, mercanti, oligarchi di ogni tipo. Ogni giorno però si sente tutto e il contrario di tutto, qualsiasi imbecille si arroga il diritto di pontificare; e più pontifica più gli lasciano spazio. Non è certo in mancanza di affermazioni che si manifesta la dittatura; semmai nel loro caotico eccesso, una valanga di opinioni banali  che portano a relativizzare tutto, a far perdere la bussola e infine  a far cadere le braccia a chiunque abbia un po’ di materia grigia . È un processo di instupidimento collettivo che marcia proprio con boutades del tipo “Rock/Lento”.

Ma secondo l’Adriano a noi serve un eroico difensore della libertà di opinione: lui, ovviamente.

Ebbene, Liberator proprio su questo punto ciarlataneggia un po’. Ricordate quando qualche anno fa, conducendo un’altra trasmissione tele/predica/show, si permise di criticare gli espianti a cuor battente? Allora mise in discussione un impero economico fondato sull’omicidio e sulla tortura che gode del fermo sostegno di un apparato multinazionale solido e di potentissime categorie della mafia medica e paramedica.

E cosa fece il paladino delle libertà, il difensore del coraggio e della verità? Non appena quei potenti gli trasmisero la loro indignazione se la fece letteralmente sotto e ritrattò in modo non proprio olimpico o solare quanto aveva detto nella puntata precedente.

E ora, come se nulla fosse, ci si presenta come il campione della libertà di parola. È vero che i tempi sono quelli che sono e che eroi odierni difícilmente possono valere un po’ più di una messinscena superficiale, ma Celentano potrebbe risparmiarsela questa misera figura, questa mistificazione, questa recita di un personaggio che non gli appartiene. Andiamo: per essere – non per proclamarsi – quello che vorrebbe rappresentare servirebbero attributi da lui del tutto smarriti nel momento critico, quando l’uomo dimostra quel che vale davvero. Insomma diventerà pure deputato e la pubblica opinione prefabbricata lo prenderà magari anche sul serio, ma il vecchio molleggiato era  molto più credibile – e simpatico - quanto cantava della via Gluck….