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Vita del raìs che cercò di tenere unito l'Iraq, a tutti i costi

di Steve Shrimps - 02/01/2007





Anche in questo Saddam ha semplicemente ripreso e sviluppato elementi già presenti nel paese durante la lunga dominazione ottomana come l'avvio dei sunniti, arabi e curdi, alla carriera militare e amministrativa, e degli sciiti ai commerci, all'agricoltura e alle professioni liberali. Saddam Hussein, che si è sempre considerato una via di mezzo tra Bismark e Harun al Rashid, ha cercato con il suo regime personale e sanguinario di dare coesione e unità all'Iraq affrontando i tre problemi di fondo del paese: il fatto che -a differenza dell'Egitto con il Nilo- il Tigri e l'Eufrate, per le difficoltà della navigazione, non hanno mai dato una reale unità al paese, creato all'indomani della prima guerra mondiale dall'unione tra le tre province ottomane di Mossul nel nord a maggioranza kurda, da sempre legata ad Aleppo, quella di Baghdad nel centro sunnita, che insieme alle città sante sciite di Najaf e Kerbala guardava in realtà all'Iran, e da quella di Basra nel sud prevalentemente sciita, la città di Sindbab rivolta al Golfo e alle Indie.

Il secondo elemento sul quale il regime ha fatto leva è stato senza dubbio quello delle debolezza politica e militare del paese, terra di pianura senza difese naturali da sempre invasa, minacciata e occupata da due enormi vicini, l'Iran con una popolazione di tre volte superiore (60 milioni contro i 20 dell'Iraq) e la Turchia con oltre 67 milioni di abitanti. Una paura, quella dell'Iraq, che insieme alla conspevolezza di essere stati la culla della civiltà, ha sempre prodotto un fortissimo senso dell'identità e dell'orgolio nazionale che Saddam Hussein ha saputo coltivare e utilizzare a suo vantaggio utilizzando il nazionalismo iracheno per amalgamare, spesso brutalmente, il paese dal punto di vista etnico, religioso e politico.
In questo ambito il regime da una parte ha fatto leva sulla richiesta di «ordine» presente nella società dopo le convulsioni, i colpi di stato e agli scontri di piazza seguiti alla rivoluzione antimonarchica del 1958 e dall'altra si è presentato all'estero come il garante dell'unità del paese e di una politica «pragmatica» a livello internazionale assicurando all'occidente prima il contenimento e la distruzione del locale Partito comunista e poi la costruzione di un «argine» contro il rischio di una esportazione nella regione del Golfo e del Medioriente della rivoluzione Khomeinista.

Non a caso gli Usa videro con favore sia il colpo di stato del Baath del 1968 (in seguito al quale Saddam Hussein divenne il numero due del presidente Hassan al Bakr, del quale avrebbe poi preso il posto nel luglio del 1979), sia l'avvio della guerra all'Iran nel settembre del 1980 che segnò il definitivo passaggio dell'Iraq nel campo statunitense. Una guerra che l'Iraq fece praticamente a credito, nel senso che i proventi del petrolio continuarono ad essere utilizzati nel «welfare» mentre le armi venivano comprate utilizzando i prestiti occidentali e del Golfo. Ma l'ingenuo tentativo di Saddam Hussein di divenire il referente locale dell'Occidente si infranse a pochi giorni dalla «vittoria» contro l'Iraq. Kuwaitiani, sauditi, americani, inglesi e israeliani decisero che, risolto il problema Iran ora anche l'Iraq andava distrutto.

All'inizio con l'arma dei debiti. L'Iraq cosi nel 1989-90 si trovò davanti alla richiesta del Kuwait, e non solo dell'emirato, di un rimborso di tutti i crediti concessi a Baghdad durante la guerra. Una richiesta impossibile da soddisfare a meno di non voler distruggere il paese e il consenso che il regime si era costruito all'interno. Da qui la scelta di invadere nell'agosto del `90 il Kuwait, dopo un ambiguo via libera dell'amministrazione Usa, con tutto quel che ne è derivato. Il sostegno degli Usa all'Iraq durante gli anni '80 (mentre i neocon del tempo sostenevano l'Iran) in quegli anni arrivò sino al punto di tacere sull'uso da parte dell'esercito iracheno di gas asfissianti contro le truppe iraniane nella penisola di Fao e lungo tutto il fronte fino al nord, dove nella città di Halabja (occupata due giorni prima dall'esercito iraniano e dai peshmerga kurdi) vi furono oltre 5.000 vittime. La guerra all'Iran venne usata da Saddam sia per schiacciare la forte opposizione sciita che chiedeva l'istituzione di una repubblica islamica in Iraq sia i movimenti separatisti kurdi alleati dell'Iran nel nord del paese.

A livello ideologico il regime cercò inoltre di creare una comune mitologia nazionale che riferendosi al passato mesopotamico pre islamico e pre arabo, fosse in grado di unire il paese al di là delle divisioni etniche, politiche e soprattutto religiose. Un collante ideologico contro il quale si sono scagliati gli occupanti Usa lasciando mano libera ai saccheggiatori dei musei dedicati proprio a quel'antico passato, sciogliendo l'esercito e introducendo per la prima volta a livello istituzionale il confessionalismo etnico e religioso.