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Saddam vittima della pena... capitalistica

di Massimo Fini - 09/01/2007

Sono sempre stato contrario alla

pena di morte. Non perché si uccide

una persona, ma per il modo in cui

lo si fa. L’omicidio, inutile nasconderlo,

fa parte del nostro patrimonio genetico.

Lo si può commettere in uno scatto d’ira,

per i morsi della gelosia, per odio, per

cupidigia. Sono delitti, naturalmente, ma

alle loro spalle c’è almeno una passione

umana e hanno un loro dinamismo. L’orrore

della pena capitale non dipende

nemmeno dal fatto che è un omicidio

legale. Anche quelli commessi in guerra

sono degli omicidi legali, dove può pure

mancare la passione - perché si può uccidere

il nemico senza odiarlo - ma non il

dinamismo.

Quella capitale è, invece, un’esecuzione a

freddo. Che comporta una serie di modalità,

di formalità, di rituali che sono tanto

più atroci quanto più si cerca di renderli

asettici, com’è nel caso della sedia

elettrica usata negli Stai Uniti. Quello

che ci sconvolge particolarmente nello

sterminio degli ebrei è che fu attuato con

l’asetticità della tecnica e della logistica,

rendendo l’assassinio un fatto manageriale

e burocratico. L’impiccagione è

ugualmente orribile, ma manca almeno

di questa asetticità. In fondo, la pratica

meno disumana era la fucilazione che è

più sbrigativa e conserva ancora un po’

dell’odore e della dignità del campo di

battaglia.

Poi c’è l’agonia dell’attesa del condannato.

Tutti gli uomini sanno di dover morire,

ma possono tollerare questa spada di

Damocle, perché non conoscono il

momento in cui cadrà. Il condannato alla

pena capitale è, invece, sottoposto al supplizio

di sapere l’ora in cui morirà.

Insomma, la pena della pena di morte e

non è solo la morte, ma la tortura.

Poi ci sono altri aspetti. L’esecuzione è

pubblica. Ora, quello della morte è il

momento più privato, più intimo, più

sacro della vita di un uomo, che è osceno

profanare con lo sguardo. E così lo sente

il morente. Qui, invece, si va a guardare

negli occhi di un uomo che muore. Pura

pornografia. In questo voyeurismo macabro

l’uomo non è cambiato, se non in peggio

(ma forse è peggiorato in tutto).

Durante il Medioevo c’erano folle che si

radunavano sotto le forche e i capestri

per godersi questi spettacolini

fuori ordinanza. Oggi

avviene lo stesso, ma seduti

sul divano del nostro salotto,

attraverso il buco della

serratura della Tv. Perlomeno

gli uomini del Medioevo,

andando a vedere di

persona le esecuzioni, si

implicavano, ci mettevano

la faccia; noi lo facciamo di

nascosto, vigliaccamente, al

riparo dello schermo. E con

ciò ci mettiamo a posto la

coscienza. E questo voyeurismo

necrofilo oggi, grazie ai

media, è diventato globale.

Infine, proprio perché è

visto da tutti, il condannato

a morte non può nemmeno

lasciarsi andare alla propria

umana paura, ma è

costretto a mantenere un

certo contegno. Sotto questo

aspetto saddam è stato

all’altezza e si è conquistato,

in articulo mortis, simpatie

che non aveva meritato

in 69 anni di vita. E gli

americani pagheranno

carissima questa loro pretesa

di fare i processi-farsa ai

vinti. Saddam doveva essere

passato per le armi sul posto

quando fu trovato come un

topo di chiavica nel buco

dove si era rifugiato e non

ebbe il coraggio di finirsi da

sé. Coraggio che, invece, ha

trovato negli ultimi istanti

della sua esistenza.

Mi opporrei, quindi, se si

tentasse di reintrodurre la

pena di morte nel nostro

Paese, come qualcuno, ogni

tanto, propone per i criminali

particolarmente efferati.

Tuttavia, non sono d’accordo

con la proposta italiana

di moratoria internazionale

per la pena capitale.

Perché ha il consueto vizio

occidentale di voler imporre

i propri schemi mentali la

propria attuale sensibilità a

popoli che hanno storia,

tradizioni e vissuti molto

diversi dai nostri.

In Europa la pena capitale

è stata abolita non perché

comporta ritualità atroci,

ma perché la morte in sé è

diventata tabù. E quindi si

ritiene che non possa essere

una retribuzione giusta

nemmeno per il peggior criminale.

Ma ci sono popoli

che hanno una diversa concezione

della vita, della

morte, del castigo, del diritto,

per i quali la pena capitale

ha un senso. Rispettiamo

i loro costumi, anche se

ci paiono aberranti, e smettiamola

di crederci i migliori.

E di fare processi, come

quello a Saddam Hussein.

 

www.massimofini.it