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Putin e Minsk: la mossa del cavallo

di Giulietto Chiesa - 13/01/2007


 
 
   

Dietro il ricatto energetico nei confronti dell’Europa forse il progetto di unire la Russia con la Bielorussia e una resa dei conti con il suo capo, Lukashenko

E se l’«uno-due», gas e petrolio, tra Mosca e Minsk significasse l’inizio di un’offensiva politica di Putin per liquidare Lukashenko? Se non avesse niente a che fare con il ricatto energetico verso l’Europa e fosse invece una resa dei conti interna all’antica Urss? Ma diversa da quella che un anno fa fece scontrare Mosca e Kiev. Perché mentre Kiev è in rotta di fuga dall’orbita russa, Minsk non è mai stata più abbarbicata alla sua fratellanza con i russi. Un’ipotesi per spiegare la crisi. Solo per i dollari? Molto improbabile. L’avrebbe gestita Gazprom senza scomodare la politica. Invece è intervenuto Vladimir in persona. Significa che c’è molto arrosto dietro il fumo. Putin ha in mente da tempo l’unione (o una stretta federazione) tra Russia e Bielorussia. Sarebbe un segnale forte per tutto l’ex impero, una buona parte del quale non attende altro, adesso che la Russia non è più in braghe di tela e anzi sta ridiventando un protagonista mondiale. Ma sarebbe anche un fortissimo segnale verso l’Europa e la Nato, che - ciascuna per conto proprio ma con intenti convergenti - hanno spinto in questi anni i loro appetiti fin dentro il cortile di casa della Russia. Un perentorio «non tirate troppo la corda perché reagiremo».

Vladimir diventerebbe presidente di un nuovo Stato

E potrebbe essere un ottimo escamotage per Putin in persona. Perché potrebbe diventare presidente di un nuovo Stato e non avrebbe bisogno di cambiare la Costituzione russa per restare al potere (cosa che lo esporrebbe a nuove accuse di neo-zarismo). Basterebbe scriverne una nuova per un nuovo Stato che non c’è ancora, ma che avrebbe molti aspetti di un vecchio Stato che non c’è più. Per interpretare quello che succede sarà utile partire dal dato certo che Putin vuole restare, e resterà, in posizione di comando nel 2008, al termine del suo secondo (e teoricamente ultimo) mandato presidenziale russo. Un problema è Lukashenko, amico di Putin come il fuoco dell’acqua. Vecchia ruggine che deriva dal fatto che Putin fu delfino di Eltsin, distruttore della Russia, mentre Lukashenko fu l’unico deputato del Soviet Supremo a votare contro la dissoluzione dell’Urss in quel lontano dicembre 1991. Un altro problema è che la Russia è capitalista - a suo modo, parecchio criminale, ma pur sempre capitalista - mentre la Bielorussia è socialista. Senza partito comunista, ma con tutte le strutture del socialismo reale ancora perfettamente oliate e funzionanti, sicurezza sociale inclusa che, a quanto pare, piace sempre alla gente che ha un reddito fisso e non ha la villa alle Bahamas come gli oligarchi russi.

Petrolio e gas fanno crescere la tigre bielorussa

Fare una federazione in queste condizioni è praticamente impossibile. In più, certo Putin è popolare in Russia. Ma Lukashenko lo è in Bielorussia. Il suo socialismo reale funziona, anzi fa miracoli, grazie al prezzo bassissimo di petrolio e gas che la Russia gli ha riservato in questi anni. Un regalo di miliardi di dollari, erogato in vista di un nuovo abbraccio dopo il disastro della separazione. Ma con quel regalo la Bielorussia ha continuato a crescere ai ritmi delle tigri asiatiche. Come funzionerà senza le sovvenzioni energetiche del Grande Fratello? Come farà Lukashenko a restare popolare con una bolletta del gas raddoppiata? Senza Lukashenko, Putin potrebbe avere due presidenti delle repubbliche ridivenute «sorelle» molto amici (suoi). Perché non provarci? Infine: chi protesterebbe in Occidente se Putin desse una mano a liquidare colui che viene sistematicamente bollato come l’«ultimo dittatore» dell'Europa? Nessuno. Il presidente russo, facendo i propri interessi, farebbe perfino la gran figura di democratizzatore della Bielorussia. Ecco una vera «mossa del cavallo» degna di un grande giocatore di scacchi.