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Il ridimensionamento dell'antropocentrismo

di Mario Spinetti - 15/01/2007

 

“L’uomo è un fenomeno filosofico sorpassato. L’universo è fin troppo vasto perché solo l’uomo vi dimori” (H. D. Thoreau). E' triste doverlo ammettere, ma l'impatto che l'uomo esercita sul territorio è in drammatica contrapposizione con le esigenze dell'economia naturale. Sarebbe auspicabile pervenire ad una drastica riduzione della pressione demografica, ma un tale auspicio si colora purtroppo di folle utopia. "Ridurre drasticamente la pressione demografica: un grande atto di altruismo verso la natura"; è questo il precetto che ognuno di noi dovrebbe imparare a memoria, ma sappiamo bene che l'invocazione ha poche possibilità di essere ascoltata. E' inutile discutere sulla riduzione dei consumi, sull'inversione delle tendenze o sul controllo dell'inquinamento: sono solo parole che vanno via con il vento. La realtà è un crudo aut-aut, o si ridimensiona l'uomo o la natura. E' l'uomo che deve adattarsi alle esigenze della natura e non viceversa. La natura deve essere salvata e rispettata per il suo valore in sé, non per un nostro interesse, materiale o spirituale che sia. Il binomio uomo-natura deve affrancarsi definitivamente dalla conflittualità che lo ha distinto nel corso dei millenni, e deve emendarsi dalla inveterata visione antropocentrica dell’universo, per dare finalmente luogo al ristabilirsi di un rapporto armonico e unitario tra uomo e natura e per riaffermare il valore in sé delle cose. Scrisse Aldo Leopold (1949 in Devall & Sessions, 1989) “.... siamo solo compagni di viaggio di tutte le altre creature nell’odissea dell’evoluzione.... . Acquisire una consapevolezza ecologica cambia il ruolo dell’homo sapiens da conquistatore a semplice membro e cittadino della comunità-terra. Questo implica rispetto per i propri compagni e anche per la comunità come tale”.

Tutti siamo colpevoli: chi scrive più degli altri. Con le nostre esigenze attuali anche la vita più tranquilla è distruttiva per la natura.

Fin quando l'umanità persevererà nell'attuale modello di sviluppo, gli animali selvatici vedranno ridurre il proprio spazio vitale giorno dopo giorno per fare posto al "signore uomo" re del creato.

Scrive J. Passmore (1986): “.... penso che sia vero che gli uomini abbiano bisogno di una nuova metafisica genuinamente non antropocentrica..... L’elaborazione della nuova metafisica mi sembra che sia il compito più importante della odierna filosofia..... il sorgere di nuovi atteggiamenti morali verso la natura è quindi connesso al sorgere di una nuova filosofia della natura vista nella sua totale e onnicomprensiva globalità. Questo è l’unico fondamento adeguato di un’efficace sensibilità ecologica”. Completano bene il discorso Devall & Sessions quando dicono: “L’ideologia dominante è il sistema dei valori, opinioni, costumi e norme che formano la struttura di riferimento per una collettività, per esempio una nazione..... Raramente si tengono dibattiti sui presupposti generali della concezione del mondo. Per i problemi vari si trovano giustificazioni, mentre le posizione diverse non sono affrontate apertamente. Spesso si taccia di eresia chi ha messo in discussione le tesi basilari dell’ideologia dominante”. I nuovi eretici del XXI° secolo sono proprio quelli che mettono in discussioni le certezze delle ideologie dominanti antropocentriche. Nella introduzione alla sua ottima opera Dalla Casa (1996) scrive che: ”il problema ecologico nasce dall’atteggiamento della cultura dominante, dal pensiero di fondo della civiltà industriale, dal suo inconscio collettivo. E’ un problema filosofico, molto più che un problema pratico e tecnico. Se non si modifica profondamente la visione del mondo, si ottengono solo risultati transitori, effetti di spostamento del tempo, pur utilissimi, di problemi insolubili. Perché si cambi una visione del mondo, cioè una cultura, si richiedono di solito tempi dell’ordine di un paio di secoli. Ma non si salverà la madre Terra senza un tale capovolgimento, cioè senza la fine della civiltà industriale, che è l’espressione attuale della cultura occidentale e l’applicazione pratica del materialismo. Invece, una volta scomparsa o modificata profondamente la visione del mondo dell’Occidente, il problema ecologico non esisterà più........

....... Una delle obiezioni che viene mossa all’ecologia profonda è che non comporterebbe azioni concrete: è bene evidenziare ancora che le svolte culturali non sembrano concrete solo perché si svolgono su tempi lunghi. Sono però molto più profonde e radicali”.

Giuseppe Acerbi, esploratore italiano del settecento, dopo l’esperienza di una lungo viaggio nel grande nord finlandese scrisse (in Francescato, 1988): “.... Non andrà colà per ammirare le opere dell’uomo incivilito; ma bensì per contemplarvi la natura, l’ordine, l’armonia prevalenti in tutte le produzioni della creazione, l’immutabile legame della catena delle cose.... con che disegno sono poste nell’economia della natura queste aurore boreali, quegli spettacoli sì brillanti dell’aria...; qué laghi, qué fiumi, quelle cataratte... fin tanto che si riterrà persuaso ch’egli è il re delle cose create e si abbandonerà all’idea presuntuosa che tutte le cose poste su questo globo non per altro esistono che per esso lui....

è una verità provata dall’esperienza quotidiana, sia per gli individui che per intere società, che la loro felicità diminuisce in proporzione al loro allontanamento dalla natura”.

Solo la totale scomparsa dell'antropocentrismo salverà la vita sul pianeta terra! Ogni altro compromesso sarà destinato a fallire. Per dovere di chiarezza è bene riportare, sul termine “antropocentrismo”, quanto scrive Hargrove (1990): “Vi è inoltre molta confusione provocata dai due significati conflittuali del termine antropocentrismo usato nell’etica ambientale. Come si è già notato, la parola è spesso usata a significare ‘utilitaristico’, ma anche, altrettanto spesso, ‘umano’ o ‘concepito in termini di consapevolezza umana’. I non antropocentristi, da un lato, richiedono spesso il riconoscimento, o la scoperta, del valore non antropocentrico, così che le cose naturali non vengano più trattate in modo puramente utilitaristico. Gli antropocentristi, d’altro lato, che non vogliono trattare tutte le cose naturali utilitaristicamente e che definiscono il termine nella seconda accezione, rispondono che anche se attribuiamo valore non antropocentrico ad animali e a oggetti naturali, i valori saranno sempre antropocentrici o ‘umani’, in quanto sono sempre valori creati da uomini che valutano”. Noi crediamo che ciò è vero solo se ci dimentichiamo del “valore in sé delle cose”, valore indipendente ed autonomo che prescinde la percezione umana.

Scrive Dalla Casa (1996): “...Non è possibile pensare di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica senza analizzare il concetto di sviluppo e senza ricordare che questo concetto è il prodotto di una sola cultura umana in un determinato momento della sua storia: la Natura viene distrutta dal dèmone del fare che divora l’Occidente e dalla sua smania di modificare il mondo.

L’Occidente, preda dei dèmoni dell’avere e del fare, ha dimenticato il vivere, il conoscere e l’essere...”.

I popoli nativi, come più volte espresso in questo lavoro, rappresentano un illuminato esempio di integrazione ambientale e di sviluppo spirituale ecocentrico, ben lontano dai concetti antropocentrici. Scrive J.D. Hugues (1983 in Devall & Sessions, 1989): “(...) I modelli culturali degli indiani d’America, basati su una caccia e una agricoltura attente e in accordo con le percezioni spirituali della natura, hanno effettivamente conservato la vita sulla terra e la terra stessa (...). La concezione indiana dell’universo e della natura deve essere esaminata seriamente come valido modo di relazione con il mondo e non come visione superstiziosa, primitiva e non evoluta.... Forse l’intuizione principale che può essere tratta dall’eredità indiana è il grande rispetto per la terra e la vita (...). E’ importante per noi imparare dalla natura come fecero i primi indiani d’America, tenendo l’orecchio al suolo, e riconquistare una nostra prospettiva sperimentando spesso un contatto diretto con il mondo non artificiale, con gli animali e gli spazi selvaggi.... Nella visione tradizionale degli indiani la gente, gruppo sociale interdipendente, vive in armonia con la natura (...)”.