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Limitare i fraintendimenti. Proseguire la discussione: risposta a Gianfranco La Grassa.

di Costanzo Preve - 23/01/2007

 

Torino, dicembre 2006


Limitare i fraintendimenti. Proseguire la discussione. Perseguire un terreno comune di dibattito.

 

Ringrazio Gianfranco La Grassa (d’ora in poi GLG) per aver dedicato tempo ed impegno alla mia critica. Credo che ai nostri lettori non interessi un litigio rancoroso fra suocere bisbetiche (cosa che peraltro non siamo), ma il chiarimento di temi effettivamente complessi e controversi. In questo spirito offrirò alla riflessione alcune considerazioni.
1. Non mi autodefinirei tanto “hegeliano”, quanto un “idealista materialista”, pur sapendo bene che questo ossimoro farebbe subito sorridere i più educati e sghignazzare i più maleducati fra gli orecchianti del dibattito filosofico. Mi considero infatti pienamente “idealista” nel senso di Hegel, in quanto ritengo che nella pratica specificatamente filosofica siamo tutti “idealisti”, compreso i materialisti che trasformano quasi sempre la Materia in una idea astratta unificatrice che fa da “fondamento” o da “sostanza” ai loro sistemi. E mi considero “materialista” nel senso di Marx, se questo termine allude ad uno strutturalismo sociale dei modi di produzione o ad un metodo di deduzione sociale (e non trascendentale e/o innato) delle categorie filosofiche e del loro eventuale utilizzo ideologico classista.
Naturalmente, quanto dico verrebbe considerato insensato da coloro che pensano che Idealismo e Materialismo siano in opposizione bipolare. Ma ci sono anche coloro che pensano che Oggi (non ieri, in cui lo erano veramente, ma oggi) Destra e Sinistra siano in opposizione bipolare. Ebbene, così come rifiuto, con fondati argomenti, il ricatto sistemico del bipolarismo forzato Destra/Sinistra, nello stesso modo rifiuto, spero con fondati argomenti (che desidererei fossero presi in considerazione, e assicuro che la mia moderata animosità nasce proprio dal fatto che ciò non avviene, ed è propriamente questo, e solo questo, che mi irrita, e non certo l’esternazione di opinioni confliggenti, che anzi non mi irrita proprio per niente) la dicotomia bipolare Idealismo/Materialismo.
Sono dunque un “idealista” al 100% che utilizza sistematicamente il “materialismo” di Marx sia nell’analisi sociale dei modi di produzione sia nella deduzione sociale delle categorie filosofiche e ideologiche.
2. Non sono amante delle citazioni, ma a volte possono essere utili. Questa è di Benedetto Croce (1937) e si intitola “Antidealismo e scempiaggine”. Cito l’essenziale: «[…] si viene gridando al presunto avversario la “realtà del mondo esterno”. Che significa “esterno”? Ha senso, in filosofia, questo termine proprio dell’ambito delle scienze naturali, che logicamente si attengono al mero fenomeno e lo pongono perciò “esterno”, con rapporto ad un “interno”, cioè al modo di pensare filosofico, del quale esse a ragione (sottolineatura mia, CP) si disinteressano? C’è uomo al mondo che possa pensare davvero una cosa “esterna” allo spirito umano, ad esso pertinente ed estranea? Come farebbe ad entrarvi in relazione? E cosa avrebbe poi da dirle? E a che cosa gli servirebbe? [...]».
Don Benedetto ha perfettamente ragione, e coglie a mio avviso il centro del problema. Io non sono per nulla un suo seguace, né sul piano politico (mi considero infatti un comunista di tipo neo-comunitarista e non certo un liberale filocapitalista), né su quello filosofico, e in compagnia di Francesco Valentini ritengo che egli, in rapporto ad Hegel, non abbia attuato una “riforma” migliorativa della dialettica, ma una sua “controriforma peggiorativa”. E tuttavia qui Croce coglie l’essenziale. Il mondo non è “esterno” per sua essenza propria, ma la sua esternità è un’operazione necessaria per la costituzione disciplinare delle scienze naturali moderne (Galileo, Newton, Lavoisier, Darwin, eccetera), mentre non appena l’esterno e l’interno, che di per sé esistono solo astrattamente, entrano in rapporto, ogni filosofia possibile è per sua natura idealismo, ivi compresi Epicuro, Lucrezio, Marx, Althusser e La Grassa.
3. Pur senza nominarlo, GLG fa un identikit di Preve come “filosofo hegeliano” che corrisponde al noto cliché dell’antipatia verso Hegel e che compendierò brevemente in quattro punti:
(1). Il filosofo non ha studiato nessuna delle scienze naturali serie, e tuttavia ritiene egualmente possibile il poter concionare sul “mondo”.
(2). Il filosofo ritiene che la filosofia sia la Scienza delle Scienze, o se vogliamo il Fondamento di tutte le altre scienze, e lo ritiene pur senza aver mai studiato nessuna scienza particolare.
(3). Inoltre, in sintonia con il suo maestro Hegel, egli si ritiene Dio, o almeno quanto di più simile o vicino a Dio ci sia nel mondo.
(4). Di conseguenza, e per concludere, chi parta dai punti (1), (2), (3), nella peggiore delle ipotesi è un coglione, e nella migliore un innocuo chiacchierone cui è bene preferire un artista dichiarato (tesi di Carnap che GLG riprende gloriosamente).
Tutto ciò non mi spaventa affatto. Conosco nei dettagli l’antipatia verso Hegel e il suo disprezzo verso la filosofia, ritenuta inutile (variante di destra) oppure utile solo al “fronte” della mobilitazione ideologica (variante di sinistra). Mi confronto con queste stupidaggini da quasi mezzo secolo. Mi limiterò qui allora a brevi chiarimenti, che so perfettamente inutili, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma li farò lo stesso.
4. In primo luogo, non provo nessun complesso di colpa per non aver studiato in una facoltà scientifica, in quanto accetto e rispetto la divisione sociale del sapere, che ha come premessa quella divisione sociale del lavoro che ha permesso darwinianamente non solo l’evoluzione della specie, ma la sua stessa sopravvivenza. Per me un filosofo, un fisico e un chimico sono come un raccoglitore, un pescatore e un vasaio, e questo non implica ovviamente nessuna presunta “superiorità” o “inferiorità”. Sono invece contrario alle presuntuose “interferenze” o “invasioni di campo disciplinare”, in cui generalmente si distinguono non tanto i filosofi (che hanno in genere verso gli scienziati il complesso di inferiorità che le biciclette hanno verso i TIR), quanto gli scienziati, che al 95% disprezzano la filosofia ed entrano in essa sempre a “gamba tesa” dicendo le più incredibili e disinformate sciocchezze.
In secondo luogo, io non penso affatto (e per quanto ne so neppure Hegel) che la filosofia sia la scienza delle scienze oppure il fondamento di tutte le scienze naturali e sociali. Se GLG lo attribuisce a me o a Hegel, è vittima di un equivoco. La concezione per cui la Filosofia sarebbe la scientia scientiarum è tipica della teologia domenicana del medioevo, ed è del tutto estranea a me (ed a Hegel).L’idea che la Filosofia sia il fondamento di tutte le scienze è tipica del positivismo (in cui la filosofia è però ridotta a metodologia “positiva” postmetafisica) oppure del defunto materialismo dialettico sovietico. GLG se la prende con i mulini a vento, e mi irrita il fatto che non si sia mai premurato di chiarirsi le idee su questo punto, e che continui a ripetere “per sentito dire” alcuni colossali pregiudizi.
In terzo luogo, non credo proprio che Hegel si sentisse Dio, ed è sicuro che almeno io non mi sento tale. Bisogna inoltre fare attenzione all’uso semantico differenziato della paroletta Dio. Per Spinoza voleva dire semplicemente la Natura, interna ed esterna, e cioè umana e fisica. Per Stuart Mill voleva dire il processo “borghese” di evoluzione morale umana. Eccetera. Per Hegel (e qui interpreto liberamente) Dio significava il massimo grado storico possibile di autocoscienza umana intesa non soggettivamente ed empiricamente, ma come concetto trascendentale riflessivo. Ma probabilmente per GLG il concetto di Dio è quello di un parroco veneto degli anni Cinquanta, e allora in effetti chi si credesse tale sarebbe lo scemo del paese rincoglionito dai bicchieri di vino tracannati nelle osterie del Trevigiano. Ma Hegel (e Preve) non c’entrano niente.
In quarto luogo, per finire, ma questo riguarda solo me e Hegel non ne è responsabile, la filosofia (o più esattamente, il suo statuto sia conoscitivo che politico-sociale) non è la scienza delle scienze, non è il fondamento di tutte le altre scienze, non è una semplice ideologia (come hanno pensato ahimé tutti i marxisti, da Engels a Lukács), ma è la forma storica con cui è stata pensata l’unione fra il significato particolare della vita singola dell’individuo e il giudizio sulla totalità della vita sociale concepita come un insieme concettualmente e moralmente unitario. L’irritazione verso l’amico GLG sta solo nel fatto che evidentemente in quasi trent’anni non me lo ha mai chiesto. Glielo avrei detto gratis, e ci saremmo risparmiati questi pittoreschi equivoci (credersi Dio, credersi titolare di una superscienza, eccetera).
5. Nel suo primo libro pubblicato (cfr. Struttura economica e società, Editori Riuniti, Roma, settembre 1973), GLG “esordisce” con la critica della concezione “economicistica” del primato dello sviluppo “neutrale” delle forze produttive. Bene, ora la sua apologia dello sviluppo delle forze produttive in India ed in Cina come solo modo di opporsi all’egemonismo americano (apologia che paradossalmente anch’io condivido, ma per una semplice ragione geopolitica ed anti-imperiale, e non certo per deduzione da un “marxismo creativo”) rovescia di 180 gradi il GLG del 1973. Niente di male. Anch’io ho rovesciato (mai però di 180 gradi come GLG) le mie convinzioni giovanili.
E non mi si dica che neppure Mao o Bettelheim erano “contro” lo sviluppo delle forze produttive. Bella scoperta! Lo so benissimo! Ma qui si sta trattando di ben altro. Si tratta, infatti, del rafforzamento dei rapporti di produzione capitalistici all’interno di questo modo specifico di sviluppare le forze produttive. Vogliamo parlare di questo, e non pigliarcela con il facile bersaglio della denuncia del “luddismo”, eccetera?
6. A proposito della dissoluzione degli esperimenti sociali del cosiddetto “socialismo reale” GLG ripete due volte che il fattore storico decisivo è stata la sconfitta sul piano dello sviluppo delle forze produttive rispetto ai metodi ed ai contenuti del “normale” sviluppo capitalistico. La vecchia ipotesi “stagnazionistica” della cosiddetta “putrefazione delle forze produttive”, cavallo di battaglia del marxismo terzinternazionalistico, ipotesi originariamente applicata al destino “crollistico” del normale capitalismo, GLG la applica ora alla storia fallimentare del socialismo reale, sconfitto proprio sul terreno in cui pensava mezzo secolo fa di sconfiggere il capitalismo. Ma come io ho sempre ritenuto economicistiche (ed errate) le teorie stagnazionistiche applicate al capitalismo “normale”, le ritengo egualmente economicistiche (ed errate) applicate ora al socialismo reale. Un cubo rovesciato è sempre un cubo.
Certo, la spiegazione di GLG è di tipo classico, ed è migliore delle teorie di tipo corruttivo (la burocrazia comunista, essendo corrotta ed infame, si è comportata in modo corrotto ed infame). Esiste tutta una Classe di Teorie Tautologiche (CTT), basata sulla categoria di Tradimento. Il socialismo sarebbe caduto per opera di un grande Tradimento di Traditori. Questa spiegazione puerile serve a rassicurare moralmente i “puri”, che in questo modo vengono confermati nell’idea che “se ci fossero stati loro al posto di comando” non avrebbero tradito, avrebbero eliminato per tempo Gorbaciov, Eltsin e Deng Hsiao Ping, eccetera, eccetera.
Di fronte a queste sciocchezze, persino la spiegazione economicistica di GLG è di tipo “scientifico”. Ma ciò non toglie che a mio avviso sia egualmente sbagliata, e non solo sbagliata, ma radicalmente sbagliata. Essa si basa sulla preventiva accettazione della teoria dell’epoca di Breznev come di “stagnazione” (ma ne siamo proprio sicuri?) e dell’epoca di Mao 1956-1976 come di “fanatismo ideologico anti-economico” (ma ne siamo proprio sicuri?).
Io propongo un’altra linea di ricerca e di ipotesi, quella “classistica”, ispirata peraltro dalla teoria di Marx del primato dei rapporti di produzione. Credo che il fenomeno della dissoluzione implosiva del socialismo reale sovietico ed europeo 1989-1991 e del mutamento epocale dello sviluppo in Cina dopo il 1976 sia integralmente sociale e non certo “economico”, e tanto meno scientifico-tecnologico. Si è trattato, in breve, di una controrivoluzione sociale (che potremmo anche chiamare “rivoluzione”, ma non sono le parolette che contano), promossa da gruppi socialmente ben specifici. Non dispongo ancora di una terminologia sociologica scientificamente soddisfacente, ma in prima approssimazione potremmo parlare di una sinergia fra una sorta di “classe media sovietica” (il termine è forse inesatto, ma ci si può capire) alleata con settori della nomenklatura burocratica di partito e di dirigenti d’industria, con sostegno esterno americano, sionista e mafioso classico, che ha facilmente prevalso su gruppi “conservatori” di classe operaia e di burocrazia tradizionale.
Non c’è qui lo spazio per approfondire la questione. Ma la via da percorrere deve essere ispirata all’esame dei rapporti sociali di produzione di tipo “socialista”, e non certo la via tautologica e facile del mancato sviluppo delle forze produttive. E qui GLG, che a suo tempo si sbagliò connotando come semplicemente “capitalistica” la formazione sociale sovietica (giudizio che a quanto mi risulta ha recentemente modificato), si sbaglia anche ora con questa spiegazione meccanicistico-economicistica sulla dissoluzione del socialismo reale, dissoluzione che fu cristallinamente classistica e sociale, e non certo economico-tecnologica. Ma qui la discussione deve non solo continuare, ma addirittura ancora incominciare.
7. L’antipatia di GLG per cose come il comunitarismo e la decresita è tale da rendere impossibile a mio avviso un confronto razionale e non “viscerale”. Che la cosiddetta “gente” non voglia la decrescita, ma anzi voglia il consumismo crescente basta andare in un centro commerciale per capirlo. E con questo? Deve forse per questo il marxista rinunciare al tema della “qualità dello sviluppo” ed al tema dei bisogni indotti dalla pubblicità? Bisogna forse per questo schiacciarsi sul tipo di bisogni e di consumi promosso dal capitalismo, considerando primitivo ogni accenno di critica ad essi?
Eppure è proprio quello che GLG fa, con quell’astio e quella animosità di cui così frequentemente mi rimprovera. Eppure a proposito della cosiddetta “terza forza” parla esplicitamente di “finzione teorica”, nel senso che anche se per ora gli sembra ancora inapplicabile non per questo bisogna rinunciare a pensarne le modalità di esercizio. E allora perché se si può parlare di terza forza come finzione teorica non si può parlare anche di decrescita come finzione teorica? Perché della prima sì e della seconda no?
Lo bene il perché, visto che conosco bene GLG. GLG si muove sulla base di simpatie e di antipatie viscerali, e persino le “finzioni teoriche” sono subordinate a questo parametro “umorale”, del resto insistentemente riconosciuto e rivendicato da molti stilemi espressivi dei suoi testi.
8. Un chiarimento sulla questione della cosiddetta Nuova Destra (ND). Faccio il solenne annuncio che Preve non si confronta per nulla con la ND, che considera peraltro esaurita da un decennio circa, ma si confronta con una cosa del tutto diversa, che potremmo definire la Ex Nuova Destra (END). Ora, ND e END non sono la stessa cosa, e siccome non lo sono, è bene che qui il chiarimento sia realmente radicale.
La Nuova Destra (ND) è stata un movimento culturale e matapolitico (ho detto metapolitico, non politico, e quindi non deve essere confuso con gli innumerevoli gruppetti politici della destra estrema), durata circa un ventennio (1975-1995), informalmente diretta dal francese Alain de Benoist, che ha cercato di sistematizzare e di coerentizzare un profilo decente di una Destra Idealtipica (e quindi fattualmente inesistente). Essa non esiste più, perché lo stesso de benoist in recentissime insistite interviste (vedi gli ultimi numeri delle sue tre riviste Elements, Nouvelle Ecole e Krisis) ha ripetutamente affermato che non si sente più in alcun modo di “destra”, nuova o vecchia che sia. Ed è infatti non con la ND, ma con la Ex Nuova Destra (END) che io mi sono recentemente confrontato (cfr. C. Preve, Il paradosso de Benoist, Settimo Sigillo, Roma 2006). La Destra, infatti, mi è talmente spiritualmente lontana che non saprei proprio su cosa esattamente confrontarmi, e finirebbe con l’essere un dialogo fra sordi, del tipo di quelli che la spettacolarizzazione televisiva propone continuamente per eccitare l’identificazione ideologica sportiva delle masse passivizzate.
Altra cosa è appunto la END. Quest’ultima si è accorta, più o meno fra il 1995 ed il 2000, con l’accelerazione a partire dal 1999 (guerra del Kosovo) e dal 2003 (guerra degli USA contro l’Irak), che lo scenario mondiale era radicalmente cambiato, che il suo nemico principale non era più il comunismo ateo, materialista ed omologatore-livellatore, ma era diventato l’impero americano, il suo sacerdozio spirituale sionista, la banda intellettuale interventista dei cosiddetti “diritti umani” e della democrazia come articolo di esportazione armata e come codice d’accesso al Politicamente Corretto/Pensiero Unico.
A causa dei residui metafisici della cosiddetta Attualità dell’Antifascismo (che fu una cosa storicamente buona e legittima fra il 1919 ed il 1945, ma che oggi è meno attuale della legislazione sumerica ed assiro-babilonese) la sinistra è in ritardo di circa un decennio sulla stessa nuova destra, ed è per questo che a mio avviso (ed io ho cercato di darne l’esempio, sia pure inutilmente) devono finire i virtuosi ostracismo contro riviste tipo Eurasia. Ma questo richiede un piccolo intermezzo.
9. Apriamo un piccolo intermezzo. Che cosa hanno in comune personaggi tanto diversi come l’italiano Silvio Berlusconi ed il cinese Mao Tse Tung, al di là della loro diversa dimensione storica? Hanno in comune il fatto di individuare entrambi il nemico principale, oppure quello che in linguaggio filosofico si chiama l’aspetto principale della contraddizione dialettica. Ed allora, a differenza del notabile sardo nuragicamente testardo Mariotto Segni, Berlusconi capisce che dopo il 1991 si è entrati in un periodo storico nuovo, e bisogna assemblare politicamente tutti, da Fini a Bossi, da Rauti e la Mussolini a Adornato e i radicali sionisti e liberisti estremisti, tipo Della Vedova. Nello stesso modo Mao Tse Tung, una volta scatenata l’invasione giapponese, pensa che bisogna assemblare tutte le forze anti-giapponesi esistenti in Cina.
Ebbene, ciò che Berlusconi ha fatto nel 1994 e Mao ha fatto nel 1937 dobbiamo farlo noi oggi. Oggi c’è un nemico principale, l’impero americano, il suo sacerdozio religioso-messianico sionista ed il codazzo subalterno dei ceti intellettuali e giornalistici dell’interventismo umanitario, della democrazia imposta con le bombe e del falso pacifismo belante e pecoresco, specializzato nel mettere sullo stesso piano gli aggressori e gli aggrediti. Chi non ha ancora capito che è oggi questo il nemico principale, e non Eurasia, de Benoist, eccetera, è solo un glorioso successore del generale francese Maginot, che vuole fare la guerra del 1939 con le carte militari del 1914, ed inevitabilmente perde.
So bene che GLG è molte miglia al di sopra dei belanti pecoreschi e degli interventisti umanitari, così come è al di sopra dei fiancheggiatori subalterni della banda Rutelli-Fassino-Bertinotti-Diliberto. Ma ritengo egualmente che si sia fermato a mezza strada, laddove le strade bisogna percorrerle coraggiosamente fino in fondo. Se non è ancora convinto del fatto che oggi Alain de Benoist è oggettivamente più “compagno” di Toni Negri allora bisogna proprio concludere che questo “ritardo inerziale” segnala una ancora incompleta comprensione di quello che maoisticamente potremo indicare come l’aspetto principale della contraddizione.
10. Per chiudere sulle questioni filosofiche, la stessa incomprensione del radicale mutamento d’epoca si ha a proposito del fastidioso fenomeno della antipatia verso Hegel. Negli anni Sessanta, in particolare in ambito marxista (Althusser, Della Volpe, Sacristán, eccetera), l’antipatia verso hegel era legata ad un’intenzione soggettiva di “rivoluzionare” il pensiero marxista, liberandolo di un “hegelismo” che era visto (peraltro con n madornale equivoco) come una neutralizzazione riformistico-storicistica del pensiero di Marx, che il cavallo di Troia dello hegelismo avrebbe riassorbito in un punto di vista innocuo ed evoluzionista (lo storicismo assoluto borghese). Non era così neppure allora, ovviamente, ma c’erano tutte le condizioni “estremistiche” per cui una simile “bufala” venisse creduta in buona fede.
Quasi cinquant’anni dopo (e quali cinquant’anni!) le cose non stanno certamente più come allora. La rifondazione anti-hegeliana del marxismo (Althusser in Francia, Sacristán in Spagna, Colletti e Della Volpe in Italia, Habermas in Germania, marxismo analitico in Inghilterra, eccetera) non è riuscita, ed ovviamente non poteva riuscire, per il semplice fatto che Hegel non era per nulla “responsabile” dell’impasse del marxismo staliniano e post-staliniano, impasse che era anzi dovuta non certo ad un eccesso di filosofia, ma proprio al contrario ad una sua carenza, con la nefasta riduzione dello spazio filosofico a spazio epistemologico e/o ideologico.
Oggi l’antipatia generalizzata verso Hegel, dai popperiani alla Soros ai no-global alla Toni Negri, non ha più assolutamente le stesse radici e motivazioni di mezzo secolo fa. Essa è dovuta a mio avviso al passaggio storico da un capitalismo ancora borghese (più esattamente, tardo-borghese) ad un capitalismo post-borghese, ed ovviamente post-proletario, un capitalismo che è ad un tempo senza più classi “fisse” e bipolari e con sempre maggiori differenziali di reddito, sapere e potere. Questa inedita formazione sociale (il nuovo ipercapitalismo senza classi post-borghese e post-proletario) non ha più un fondamento ideologico, né religioso-metafisico né laico-progressista, e si è invece dotato di una sorta di multiculturalismo nichilistico, le cui varianti non sono ancora state adeguatamente studiate, ma sono già in parte riconoscibili.
Hegel rappresenta ad un tempo una filosofia “borghese” ideale ed una coscienza infelice (teoria dell’autocoscienza, teoria dell’alienazione, eccetera), che per più di un secolo ha storicamente fatto da anticamera al marxismo. Per questa ragione oggi l’antipatia verso Hegel è ancora maggiore dell’antipatia verso Marx, che si può sempre manipolare e neutralizzare come “profeta della globalizzazione”. Prima lo si capirà, meglio sarà. Ma se qualcuno si ostina a non capirlo, bisogna lasciarlo stare fermo al suo scenario vecchio di mezzo secolo, ma anche impedire che i suoi brontolii ci impediscano di andare avanti nella comprensione culturale del nostro tempo.
11. E qui termino con un rilievo squisitamente politico. Utilizzando la teoria della contraddizione di Mao Tse Tung, che distingue gli aspetti principali e secondari e di conseguenza insegna soprattutto a non confondere i nemici strategici e gli avversari tattici, segnalerò, e spero che GLG sia d’accordo con me, il nemico strategico e le sue strutture ideologiche, da un lato, e gli avversari tattici con le loro sovrastrutture ideologiche, dall’altro.
A partire dal triennio 1989-1991, con la caduta irreversibile dei modelli politici statuali del comunismo sovietico novecentesco realmente esistito (1917-1991), il nemico principale è divenuto l’impero ideocratico ed espansionistico americano, la sua appendice sacerdotale sionista e l’insieme di apparati ideologici connessi. Il principale apparato ideologico di questo nemico strategico è la legittimazione della distruzione del diritto internazionale moderno fra Stati (Westfalia 1648), distruzione attuata praticamente con i bombardamenti, i marines ed i contractors e sanzionata teoricamente con l’ideologia dell’affermazione militare dei diritti umani e dell’esportazione della democrazia, o più esattamente del suo modello occidentalistico, che è in realtà un’oligarchia per ricchi. Tutto questo è coperto culturalmente da una miriade di elementi ideologici non ancora sufficientemente analizzati e gerarchizzati, che per ora mi limito ad elencare parzialmente alla rinfusa: privatizzazione della religione, multiculturalismo alla Benetton, relativismo nichilistico, democrazia come codice d’accesso politicamente corretto e non più come rappresentanza di interessi sociali confliggenti, governance oligarchico-finanziario-momenetaria, uso del terrorismo come nuovo nemico emergenziale, antisemitismo rivolto non più agli ebrei ma agli islamici, giudeocentrismo sacrificale come complesso di colpa eterno da espiare per gli europei, con annessa accusa di antisemitismo nazista per tutti coloro che vi si oppongono. La lista sarebbe ancora lunga, ma la rimandiamo alla prossima volta in modo da poterla articolare in modo più completo ed ordinato.
Gli avversari tattici, da non confondersi assolutamente con i nemici strategici (Mao avrebbe parlato di “contraddizioni in seno al popolo”) sono molti, ma per ora mi limiterò a segnalare solo due categorie.
In primo luogo, colo che, non importa se a destra oppure a sinistra, vogliono ad ogni costo mantenere la dicotomia fondante Sinistra/Destra, e collocano i loro tentativi “rifondatori” all’interno di uno dei due corni della dicotomia. Si tratta di un lavoro di Sisisfo, perché tutti i pietroni che con immensa fatica sollevano sono destinati a rotolare infallibilmente o ai piedi di Fini o ai piedi di D’Alema, e cioè di due versioni complementari dello stesso contenuto politico di subalternità verso gli USA ed il sacerdozio sionista. Naturalmente so bene che continueranno a farlo per altri anni e decenni, vivendo nel cerchio magico ed incantato della dicotomia Destra/Sinistra, e respingendo con fastidio ogni obiezione come provocazione fascista travestita o come paradosso ineseguibile. Per questa ragione la cosa peggiore sarebbe “aspettarli”, ed aspettare che maturino le loro insanabili contraddizioni. Probabilmente matureranno, ma ci vorranno anni e decenni. Per il momento bisogna organizzarsi, politicamente e culturalmente.
In secondo luogo, sono di fatto avversari tattici anche coloro che in qualche modo vogliono “rifondare” il marxismo sulla base dei vecchi copioni ideologici anteriori al triennio 1989-1991. Non dico che “tutto” in questi vecchi copioni, ortodossi e eretici, debba essere buttato via. È però l’insieme espressivo che non tiene assolutamente più. Il vecchio marxismo è simile in questo alle teorie geocentriche oppure alla terra piatta. Si tratta di teorie che hanno corrisposto a fasi storiche integralmente sorpassate (contrapposizione sociale classista bipolare borghesia contro proletariato, bipolarismo internazionale fra campo capitalista e campo socialista, eccetera). So bene che gran parte dei cosiddetti “rifondatori” sono solo dei puri e semplici “ripropositori” di vecchie minestre riscaldate. Essi sono purtroppo avversari tattici, e lo saranno a lungo. Non confondiamoli però con i nemici strategici, per l’amor di Dio!
E con questo, auguriamoci buon lavoro, capacità di limitare i fraintendimenti, di proseguire la discussione e soprattutto di saper perseguire un comune terreno di dibattito. Senza un momento comunitario, infatti, non si esce dalla semplice testimonianza morale individuale.