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Nella roccaforte dei talebani

di Syed Saleem Shahzad* - 25/01/2007

La remota valle di Baghran sarà la base da cui in primavera partirà l’offensiva finale dei talebani
 
 
I fronti della battaglia sono stati definiti sullo scacchiere afgano per quello che sarà probabilmente lo scontro decisivo tra le forze Nato e la resistenza dei talebani. Entrambi gli schieramenti hanno messo a punto le loro strategie, posizionato le loro pedine e sono pronti all’azione.Gli sforzi dei talebani sono concentrati verso  la prossima primavera, quando il tempo sarà migliore dopo l’inverno rigido.
Stando a fonti vicine ai talebani, essi creeranno il loro quartier generale nelle impervie montagne della Valle di Baghran, nell’estremo nord della provincia di Helmand. Sarà lì che i principali capi talebani, finora rintanati al sicuro nella cinta tribale tra Pakistan e Afghanistan, si sposteranno durante l’offensiva finale.
 
combattenti talebaniI preparativi della battaglia finale. Maulana Jalaluddin Haqqani, capo delle operazioni militari dei talebani in Afghanistan, si trova ora nell’area tribale pachistana del Nord Waziristan. Il Mullah Dadullah, già capo dell’intelligence talebana, si muove invece tra le province pachistane del Sud Waziristan e del Balucistan e la provincia afgana di Helmand. Haqqani e Dadullah, seguendo le istruzioni del Mullah Omar, stanno trattando con i capi tribù afgani per preparare il terreno al ritorno al potere da parte dei talebani. Questo processo è ancora in atto e una volta completato, dopo l’inverno, verrà lanciata una mobilitazione totale delle truppe e lo stesso Mullah Omar si recherà nella valle di Baghran per assumere personalmente il comando dell’attacco a Kandahar prima e a Kabul poi.
Baghran, il distretto più settentrionale della provincia di Helmand, al confine con la provincia di Ghor, è sempre stato un fulcro importante per i talebani, utilizzato come un punto di riunione per risolvere le differenze con i comandanti tagichi e quelli pashtun. Durante i dieci anni dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, a partire dal 1979, le truppe sovietiche si ritirarono da Baghran nei primi anni e non vi rimisero più piede. Fu così che quella valle divenne il quartier generale mujaheddin. Il terreno isolato e inospitale ne fa una base perfetta, con molte vie di fuga attraverso i passi di montagna dell’Hindu Kush.
 
truppe Usa perquisiscono un villaggio nella valle di Baghran, nel 2003Nel cuore della valle. “Sei matto ad andare a Baghran, il centro dei talebani?!”. Questa è stata la reazione del proprietario dell’hotel appena ha saputo le mie intenzioni. I giorni successivi avrebbero confermato quanto avesse ragione.
La struttura tribale di questo feudo talebano gli consente di essere auto sufficiente grazie ai contributi della comunità. Le donazioni in denaro vengono impiegate principalmente per la manutenzione dei canali d’irrigazione. I talebani hanno bruciato le scuole e non ci sono ospedali nella zona. Le forze dell’ordine e i tribunali sono gestiti dai talebani secondo la loro interpretazione del Corano. Gli stipendi di questi “funzionari talebani” sono pagati con il ricavato degli octroi, i pedaggi imposti ai viaggiatori e ai veicoli da trasporto. E’ così che i talebani mettono radici nel territorio.
“Prima gli americani ci attaccavano da nord, dalla provincia di Ghor”, ci dice Moulavi Hamidullah, membro della shura talebana e comandante militare. “Ora però che abbiamo ristabilito delle sacche di resistenza a Ghor, non corriamo più questo rischio, sebbene la possibilità di attacchi aerei sia ancora presente”.
Attraversando un piccolo villaggio nella valle, abbiamo notato decine di uomini posizionati sopra i tetti con mortai, mitragliatrici, lancia razzi e fucili. Subito abbiamo compreso che era il nostro comitato di benvenuto. Si trattava degli uomini di Hamidullah: stavano posando per le foto. Avevamo appuntamento con Agha, il giovanissimo comandante talebano del distretto di Baghran. Hamidullah lo ha chiamato al telefono satellitare e io ho potuto sentirlo dire: “Un ospite ti sta aspettando, parla inglese”. Più tardi abbiamo saputo che Agha lo aveva male interpretato e aveva pensato a un attacco imminente: i talebani parlano in codice. Poche ore dopo nel villaggio è arrivata una squadra della polizia talebana armata: erano venuti per arrestarci sotto indicazione di Agha. Hamidullah ha subito chiarito che eravamo ospiti e volevamo intervistare Agha.
 
combattenti talebaniScambiati per spie. Agha era basso e non incuteva timore, nonostante fosse al comando di veterani induriti dalle battaglie. Agha proviene dalla tribù di Pir Ali Zai e la gente della zona aveva serie riserve sul suo modo di utilizzare il titolo di “Agha”, che solitamente nella società afgana viene riservato ai discendenti del Santo Profeta. Agha era timido davanti alla macchina fotografica, secondo la stretta interpretazione dell’Islam, però alla fine ci ha permesso di fotografare la sua faccia avvolta dal turbante. Altri comandanti  sono stati contenti di essere ritratti, sebbene anche loro con le facce coperte, ma per una ragione differente: se fossero feriti dovrebbero andare in un ospedale e rischierebbero di essere riconosciuti.
Nel mezzo del nostro incontro, il giovane Agha si è alzato improvvisamente, ha digitato un numero nel suo telefono e lo ha passato al mio collega, Qamar Yousufzai. Una voce gli ha chiesto da dove venissimo e quale testata rappresentavamo, e poi ha insistito che avevamo bisogno di presentare una lettera da parte del quartier generale talebano in Pakistan. Finché non la avessimo esibita, i talebani non avrebbero potuto sapere se eravamo giornalisti o spie mandate dal governo afgano meritevoli di essere decapitate. Agha voleva arrestarci. L’anziano e rispettato ex-comandante mujaheddin Haji Lala, di cui noi eravamo ospiti, si è opposto con fermezza. Ha detto che anche se il mullah Omar avesse mandato istruzioni di consegnare gli ospiti, lui non l’avrebbe fatto e avrebbe resistito loro con le armi. 
 
truppe Nato nel sud dell'AfghanistanIl processo e la liberazione. Il giorno dopo abbiamo appreso che il nostro caso sarebbe stato gestito dal “tribunale” del venerdì, e così siamo stati condotti sotto processo in una moschea locale. Il qazi (giudice) era un uomo anziano con la barba bianca. Ha deciso che si dovevano condurre accurate indagini sul nostro conto, che saremmo stati “ospiti” dei talebani fino al termine dell’inchiesta e che tutte le nostre cose sarebbero state sequestrate. Questoè stato troppo per il mio collega Qamar, che si è lanciato in un’infiammata diatriba con i talebani, accusandoli di essere dei “selvaggi”.  Loro hanno sorriso.
Fortunatamente Hagi Lala mi ha permesso di usare il suo telefono e, dopo una serie di chiamate tra i miei contatti in Pakistan e i talebani, siamo stati liberi di andarcene: finalmente avevano accettato il fatto che fossimo giornalisti.
Questa esperienza, che poteva anche finire male, ci ha dato la possibilità di capire le delicate dinamiche esistenti tra gli anziani delle tribù pashtun e i giovani talebani. Inoltre ci ha permesso di vedere le condizioni di vita in quei villaggi, dove le persone mescolano la terra con il loro pane per farlo durare più a lungo, dove non ci sono scuole e ospedali, dove non esiste acqua corrente e solo le capanne di fango proteggono dal gelo invernale e dal caldo torrido estivo. A questo si aggiungono le violenze dei signori della guerra e dei talebani e le bombe che cadono dal cielo. Questi luoghi, con l’arrivo della primavera, potrebbe diventare l’epicentro della guerra, in un altro sanguinoso capitolo della tortuosa storia dell’Afghanistan.