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Un problema di qualità: la mistica

di Alberto De Luca - 01/02/2007



Recensione a TESI PRE UNA RIFORMA RELIGIOSA di Marco Vannini, Le
Lettere,
2005




Letto così il titolo di questa recensione potrebbe far intendere che il
recensore abbia mischiato della customer satisfaction alla religione.
In
verità le cose non stanno così.

Il libro Tesi per una riforma religiosa di Marco Vannini (Le lettere,
pp.
240, 19 euro) è un testo importante, dato che certamente lascerà un
segno.

I desiderata dell’Autore però non sono informati al desiderio di
apparire e
quindi di saziarsi con la notorietà che solitamente è destinata a
finire.
Nossignore. Vannini ha il merito di aver posto un problema e di avervi
fornito la sua risposta. Si può certamente dissentire dalla sua
personalissima risposta, ma il problema rimane ed è attualissimo.

Sostenere che il futuro della religione intesa nel suo etimo comune e
consolidato sarà nella mistica, è una previsione non azzardata. Nel
parlare
di questo assunto, si farà ricorso ai concetti di fede e di credenza,
laddove la prima indica l’esperienza del Mistero mentre la seconda è la
struttura formale e particolare che la prima assume.

È indubbio allora che la religione di massa, quale sono tutte le
credenze
finora note, sia qualcosa di subito e mai pienamente vissuto dal
singolo
credente. Il messaggio cristiano nella fattispecie è quello di una
mistica
poi istituzionalizzatasi, visto che l’insistenza sull’Amore e sulla
partecipazione misterica non trova spazio ad esempio nelle altre
tradizioni
abramiche. Se un simile messaggio che si fonda sull’esperienza del
Mistero e
che rifugge ontologicamente qualsiasi concettualizzazione di sé, non
viene
realmente vissuto, ebbene tale messaggio cade nel vuoto.

Accusare le teologie come lo stesso Autore fa nel suo libro, non
significa
accusare la teologia in sé e tanto meno il Cristianesimo, ma pungolare
la
sensibilità degli stessi teologi e dei credenti in primis a non
ritenersi
soddisfatti dalle loro definizioni, giacché Iddio è ancora di più di
quanto
da loro asserito.

In un passo stupendo del Siracide viene detto: «potremmo dire molte
cose e
mai finiremmo, ma per concludere Egli è tutto! Come potremmo avere la
forza
per lodarlo?» (Sir., 43:27-28). Vannini presuppone dunque questa
citazione e
sulla scia renana afferma la necessità di comprendere la propria
impossibilità a comprendere. L’utilizzo dell’adagio cusano costituisce
insieme l’inizio e la fine del cammino mistico.

Forti delle convinzioni dell’Autore, le Tesi sostengono in breve che il
Cristianesimo ab origine non sia stato una religio, cosa che autori
quali
Guénon avevano affermato a suo tempo motivandola con l’assenza di una
legge
sacra che invece è ben presente nell’Ebraismo e nell’Islam, ma che
invece
era un’adesione intima al di là dei dogmi, in questo senso advaita per
utilizzare la terminologia induista che Vannini adopera nel testo
stesso. Il
libro passa quindi a rilevare la portata del passaggio da mistica a
religio
con il conseguente sviluppo del dogmatismo e del moralismo e finisce
con l’auspicare
un ritorno al vero Cristianesimo.

La sintesi operata nel capoverso precedente non rende certamente
giustizia
alla profondità dei ragionamenti di Vannini, ma non era pensabile e
nemmeno
auspicabile dare vita ad un calco delle parole dell’autore, ecco perché
dopo
aver riassunto le linee che si ritengono fondative del testo, si
procederà
ad alcune riflessioni, che avranno la forma di domande rivolte allo
stesso
Autore. Tale opzione si è manifestata a seguito di una riflessione
ponderata
sull’adagio cusano, sull’apofatismo e sulla valenza che ogni libro
dovrebbe
forse avere.

Se, infatti, di Dio nulla si può dire, giacché Egli è infinitamente di
più
di ciò che Gli si può attribuire, e se Cusano insegna che la funzione
cognitiva dell’uomo deve essere improntata a sapere di non sapere,
allora
nessuna conclusione, cui un libro potrà giungere, sarà mai reale.

Allora, se quanto detto ora è corretto, la funzione di un libro risiede
appunto nel porre interrogativi al lettore in uno sforzo maieutico sia
per
lo scrittore sia per il lettore, e questa funzione le Tesi l’assolvono
in
maniera magistrale.

La prima domanda che sorge quindi è legata alla convinzione che il
Cristianesimo non sia una religio, ma piuttosto una mystica. Ritenendo
possibile questa ipotesi, rimane però che una realtà oggettiva di una
partecipazione profonda al sacro, che va oltre il dogma, lo presuppone
in
realtà: quindi è possibile una mistica senza una religio e viceversa è
possibile una religio senza una mistica?

Sufficientemente convinti che il Cristianesimo anche per come è
strutturato,
sia costitutivamente un incontro personale tra uomo e Dio, laddove il
primo
è alla ricerca del Secondo in una corsa senza fine: ha senso ritenere
quindi
che vi sia anche un inizio a questa corsa o essa è, al pari di altre
sovrastrutture quali gli stessi impianti teologici, sostanzialmente
illusoria?

È un dato incontrovertibile che il passaggio del Cristianesimo da
parola
predicata a parola scritta costituisca già una "concrezione"
del Logos ed
ancora di più lo configura l’Editto di Costantino. Nasce spontaneo
allora
domandarsi se tutto ciò sia un disegno provvidenziale oppure sia altro?

Se il Cristianesimo costituisce il nocciolo dell’esperienza spirituale,
è
però necessario passare per la scorza se si vuole colà arrivare.
Indubbiamente certi atteggiamenti letteralisti ed aridi comparsi in
seno al
Cristianesimo non possono che disturbare e dispiacere, ma un’adesione
al
Cristianesimo priva di regole, lasciata alla libera iniziativa, laddove
quest’ultima non è una libertà da bensì una libertà di, è un
sostanziale
prometeismo e conduce tutti a ritenersi in grado di poter diventare un
San
Juan de la Crux piuttosto che Meister Eckhart: la possibilità data a
tutti
di accrescere la propria scienza del Divino è una legge costrittiva in
tal
senso oppure sancisce da subito e da sola una linea di demarcazione tra
chi
seguirà questa potenzialità e chi non lo farà?

L’invito alla lettura di questo volume è sincero come pure i
complimenti all’Autore,
che ha messo a nudo se stesso e probabilmente alcuni nervi deboli della
religione cristiana, primo fra tutti il dilemma tra qualità e quantità.

Personalmente poi si è convinti che per arrivare dove auspica Vannini,
bisogna essere disposti a negare tutta la Realtà oppure affermarLa
tutta ed
in questo senso si ritiene che privi di una base di partenza, tutto ciò
sia
oltremodo difficile.

Sarebbe auspicabile una maggiore sensibilizzazione dei cristiani verso
lo
stupore, il Mistero e il Silenzio, proprio quando la linea di condotta
sposata è quella pietistica-devozionale, spesso preda di moralismo ed
opportunismo.

Manca in Occidente, e questo libro lo rileva anche se con terminologia
ed
immagini differenti, la coscienza che il vero apofatismo non è quello
personale, ma invece dell’ousia: tutti possiamo fare esperienza di Dio,
ma
nessuno di noi potrà descriverlo compiutamente.

Altra cosa sono invece le opere di meta-mistica o di filosofia mistica,
giacché queste ultime non pretendono di insegnare le rispettive
esperienze
personali bensì anelano a rendere ricettivi gli uomini ad improvvisi
quanto
augurati incontri con il Divino.

Alberto De Luca