Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'educazione all'ambiente

L'educazione all'ambiente

di Mario Spinetti - 02/02/2007

 

“La scuola migliore? La natura, essere amici dei boschi, della terra, degli animali. E’questa la via che conduce alla gioia autentica. Nei canti e nelle poesie degli indiani si ritrovano un universo di simboli. Immagini forti, sentimenti profondi e un grande, sacro, rispetto della libertà” (AA. VV., 2000 pag. 66).

E’ un grave errore indurre le masse (studenti, turisti, escursionisti, gitanti, ecc.) a visitare aree protette o in ogni caso aree di una certa valenza ambientale, con l’illusione, spesso in malafede, che ciò è necessario per favorire l’educazione all’ambiente. Quelle masse “barbariche” non sono affatto armonizzate al respiro degli scenari naturali che si presentano ai loro occhi. La natura, per essi, è solo un “contenitore” dove svolgere il proprio interesse senza, tra l’altro, percepire nulla di costruttivo. Anzi, se si tratta di studenti, è solo una buona occasione per saltare un giorno di scuola. Un profondo distacco si legge nei loro volti.

Per favorire questo inutile e dannoso “pellegrinaggio” congiuntamente al fenomeno del turismo, si pubblicizzano e si “valorizzano” al massimo luoghi naturali spesso di prestigio, si attrezzano e marcano vistosamente sentieri, si inalberano bacheche e tabelle, si erigono rifugi, si costruiscono aree pic-nic, si inaugurano centri visita a ridosso di territori protetti, si addomestica il tutto e in ogni caso si favorisce quanto più possibile l’accesso e la conoscenza di un dato luogo. Non si può favorire la frequentazione di un posto da parte di moltitudini di persone e poi meravigliarsi dei danni, del disturbo o di ogni altro aspetto negativo che ne deriva. Ai tempi moderni con la facilitazione dei mezzi di spostamento, con il tempo libero, le possibilità economiche e il consumismo, favorire o pubblicizzare una località naturale significa votarla alla distruzione e a un suo definitivo addomesticamento. Scrive a tal proposito Gianni Gobbi (1987): “Vorrei segnalarvi l’allarmante situazione che si è venuta creando da qualche anno a questa parte in numerose Riserve Naturali, in seguito all’espandersi di un fenomeno correlato alla funzione educativa che le aree protette rivestono: le visite scolastiche. In primavera queste Riserve che dovrebbero essere veri santuari della Natura e della fauna, sono invase pressoché tutti i giorni da schiere di ragazzini urlanti, che arrecano un intollerabile disturbo prima di tutto alla fauna selvatica e all’ambiente in generale, ma anche alla naturale tranquillità dei luoghi......

Occorre altresì sottolineare che gite di istruzione così concepite sono altamente diseducative. Intanto, non esiste di solito alcuna preparazione a monte (......) e l’escursione viene evidentemente considerata, dagli insegnanti prima che dagli studenti, come una piacevole scampagnata, almeno in moltissimi casi.......

In sostanza, queste gite cosiddette di istruzione (e che si risolvono in ..... distruzione) mi sembra arrechino solo danno. Nella migliore delle ipotesi, possono suscitare nel giovane l’idea che la ‘natura’ sia quella lì, l’oasi, l’area protetta (.....) e non l’ecosistema di cui tutti facciamo parte, un luogo di ricreazione e di spettacolo (si pensi ai circhi e agli zoo) e non piuttosto la nostra stessa vita, qualcosa da imparare a sentire nostro e difendere ad ogni costo.....”.

Dinanzi a questo grave problema, allora, si pone la domanda di quale deve essere la via da seguire per una corretta ed efficace educazione all’ambiente visto che i “finti” sistemi classici di educazione ignorano del tutto la natura offendendola e considerandola al solo servizio dell’umanità. Il problema si risolve all’origine. Solo ed esclusivamente all’origine. Occorre fare in modo che il turista, lo studente o qualsiasi altra categoria che si voglia prendere in considerazione, debba giungere dinanzi ad uno scenario naturale (anche a pochi passi dalla propria abitazione se c’è), già consapevole del proprio limite, del proprio comportamento e del proprio pensiero. Per ottenere ciò, almeno in parte, si deve operare su un vasto fronte che interessi la vita di tutti i giorni: l’educazione familiare quotidiana, la scuola di ogni ordine e grado, i mass-media (giornali, televisione, cinema, ecc.), le pubblicità progresso, le pubblicazioni periodiche e librarie e per ultimo la religione, difficile da coinvolgere ma fondamentale visto che essa riesce ad inebriare le menti e gli spiriti delle masse. Investendo capillarmente la popolazione nelle varie forme, lentamenta si riuscirà a far sviluppare una “forma mentis” adeguata all’ambiente. Solo allora ci accorgeremo dei grandi vantaggi che l’operazione sviluppa. Ma un progetto del genere, in parte forse già avviato, almeno in certi paesi, non può venire dal singolo o da una associazione ambientalista, ma deve investire i governi centrali che lo pongano nei programmi come obiettivo principale di educazione delle masse. Ciò non esclude l’iniziativa dei singoli e delle associazioni, ma essa deve essere completata dallo Stato.

Dopo aver avviato questo decisivo passo educativo, non si deve però continuare sulla via dell’addomesticamento dei “luoghi naturali” credendo che solo la frequentazione delle masse verso i luoghi naturali possa spingerle ad apprezzare le cose ed a proteggere veramente la natura. Occorre, al contrario, non favorire affatto l’accesso e la pubblicizzazione dei luoghi, soprattutto per quelle aree (protette e non) che si presentano ancora abbastanza integre e poco o per nulla “aggredite”. Se il turista non viene “favorito” difficilmente porterà il proprio passo in luoghi impervi, ignoti e poco frequentati. Solo i più motivati e sensibili si recheranno in quei luoghi non addomesticati. In tal guisa si compierà all’origine una scrematura delle masse sia nella qualità che nella quantità. Ciò non esclude la creazione di sentieri natura, di aree attrezzate, di aree di ricreazione e così via, ma solo in luoghi già abbastanza compromessi. Favorire l’accesso ad un luogo selvaggio ad un gran numero di persone anche estremamente educate, significa compromettere l’esistenza stessa dell’area. L’uomo ormai è estraneo alla natura e per questo deve essere fortemente limitato. Oggi tutti si preoccupano di “divulgare la natura”, ma nessuno di conservarla realmente.

Infine, un ultimo concetto fondamentale più volte espresso in questo lavoro che forse è alla base di una effettiva salvaguardia della natura e di una reale educazione all’ambiente. Occorre estinguere il dualismo UOMO-NATURA, l’uomo da una parte e la natura dall’altra. Integrarsi in un’unica realtà, sopprimendo il centralismo dell’uomo, l’androcentrismo, tanto caro a molte religioni e fortemente radicato nel pensiero delle masse. Se si annullerà questa egoistica e arbitraria visione della vita, si sarà fatto un passo decisivo verso una nuova e reale concezione della natura. Tutto il resto allora si allineerà a questo nuovo precetto, un precetto che l’uomo primitivo aveva in sè, in comune con le altre forme di vita. Ed anche l’educazione conseguentemente si svilupperà secondo principi di uguaglianza e di positività. Se non realizzeremo questo processo tutta la struttura naturale, vivente e non, ne subirà le devastanti conseguenze, ma ne rimarrà sconfitto suo malgrado anche il genere umano. Scrivono Devall & Sessions (1989): “l’antropocentrismo umanistico che deriva dall’orientamento degli studi classici in Occidente ha una grande parte di responsabilità nella crisi ecologica dell’ambiente.

Non si può certo concludere che la scuola contemporanea ignori i valori, perché, anzi, li insegna in modo esplicito e implicito, ma insegna l’ideologia e i valori della società scientifico-tecnologica. Servendosi di massime ed esempi, insegna che i valori (e forse i fatti stessi) sono soggettivi e relativi, che è ‘razionale’ arrivare a compromessi su tutte le questioni e che la natura esiste solo come prodotto da fruire e consumare. Insegna che esiste una soluzione tecnologica per tutti i problemi. La scuola oggi prepara i giovani a intraprendere una carriera in una società tecnologica ecologicamente suicida e di grande sfruttamento....”.Ovviamente la mutazione dei sistemi educativi può non essere sufficiente a garantire una vera maturazione dello spirito e del pensiero verso un biocentrismo generale che tutto abbraccia. Scrive infatti A. Leopold (1949): “Dopo quasi un secolo di propaganda, la conservazione ambientale procede ancora a passo di lumaca; sembra che il progresso consista di adesioni sulla carta e oratoria da comizio..... La risposta solita a questo problema è ‘bisogna educare di più alla conservazione’. Nessuno lo mette in dubbio, ma siamo certi che solo l’ambito dell’educazione vada ampliato? Non manca qualcosa anche nel contenuto?”. Integra il discorso Paul Shepard che sostiene che negli esseri umani esiste uno sviluppo naturale psicogenetico, che favorisce la maturazione individuale verso il biocentrismo. Infatti “Il nostro stile di vita odierno, urbano e industrial-tecnocratico, tende a precludere questa relazione con la natura non umana, limitando le nostre esperienze soprattutto a un ambiente artificiale di dimensioni così grandi che non ha precedenti nella storia. Per Shepard una delle cause principali del vandalismo, del comportamento distruttivo e dell’eccessivo intervento dell’uomo nei processi naturali, può essere nell’incapacità di instaurare un rapporto corretto con la natura selvaggia e quindi diventare veri uomini maturi..... Egli sostiene che il controllo della natura nelle civiltà occidentali è incominciato con il declino delle società di caccia e raccolta........ L’agricoltura e la nascita del monoteismo ebraico-cristiano, hanno spezzato i legami di sacralità con la Terra” (Devall & Sessions, 1989). Scrive ironicamente a questo punto ancora P. Shepard (1983): “Forse non abbiamo bisogno di nuove rivoluzioni religiose, economiche, tecnologiche, ideologiche, estetiche o filosofiche. Forse non è necessario rivoltare i sistemi politici, cambiare totalmente stile di vita, emulare i popoli cacciatori-raccoglitori o i naturalisti, cercare di vivere in austerità o organizzati in tribù. I modelli di vita civilizzati in contrasto con la piena maturità dell’uomo scompariranno da soli in un mondo dove i bambini crescono normalmente secondo la propria ontogenesi”. Una volta che venga superato il modello culturale occidentale con i suoi “forzati” sistemi educativi, si aprirà la strada, secondo quanto atteso da Shepard, ad un naturale e graduale processo di maturazione biocentrica (Devall & Sessions, 1989). Solo in una comunità, che vive in armonia con il proprio ambiente circostante, sarà possibile comprendere il giusto rapporto di interconnessione tra l’uomo e natura, in una visione unitaria, olistica, che consenta la “vera” maturazione dello spirito. “Finora non sembra che esista un modello migliore di comunità di quelle dei cacciatori-raccoglitori per permettere e facilitare il processo di maturazione. Solo la tradizione minoritaria dà, in genere, molte indicazioni per l’attuazione di questo processo: le comunità su piccola scala, che vivono in bioregioni senza dominarle, sono in grado di capire le necessità vitali del luogo e quelle degli elementi umani appartenenti alla comunità terrestre.

Questi suggerimenti sono lontani dall’essere semplici o perfetti, ma per lo meno sono praticabili, perché basati su tradizioni esistenti nella nostra cultura......Poiché il processo di maturazione e lo sviluppo di una sensibilità ecologica sono possibili, secondo noi, nella tradizione minoritaria incentrata in particolar modo sulla bioregione, siamo certi che si può muovere verso stadi più avanzati di maturità emotiva e psicologica, verso un’identificazione con tutta la vita, anche all’interno della nostra società industrial-tecnocratica” (Devall & Sessions, 1989). Queste parole sembrano descrivere con estrema precisione il modello di vita degli indiani d’America, la loro sacralità con la Terra, la loro unità con l’universo, la loro complementarietà con la bioregione. Le tribù nordamericane sono la prova palese della vita ecocentrica praticata realmente dalle comunità umane native. Gli indiani d’America con il loro modello di vita dimostrano il realizzarsi di quella maturazione profonda dell’individuo auspicata precedentemente da Shepard.

Riferendosi ai metodi educativi, osservava Rousseau:”E' questo il momento d’imparare a conoscere i rapporti sensibili che le cose hanno con noi....I nostri primi maestri di filosofia sono i piedi, le mani, gli occhi. Sostituire a tutto questo dei libri significa non insegnarci a ragionare, ma insegnarci a servirsi della ragione altrui, insegnarci a credere in molte cose e a non sapere mai nulla”.