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Una Guantanamo in Kosovo

di Riccardo Staglianò - 26/11/2005

Fonte: repubblica.it

La denuncia del commissario Ue

Gil Robles, responsabile a Bruxelles per i diritti umani a "Le Monde"
"Detenuti islamici sospettati di terrorismo in una base Usa a Pristina"

 
Prigionieri a Guantanamo
UNA piccola Guantanamo dei Balcani. Una "Gitmo" in sedicesimo con le montagne innevate del Kosovo sullo sfondo e non l'abbacinante baia caraibica che divide e moltiplica i raggi di sole sulle gabbie d'acciaio della "casa madre". Ma se la location è agli antipodi, tutto il resto sembra imbarazzantemente simile. "A Camp Bondsteel ho visto piccole baracche in legno circondate da filo spinato. E 15-20 prigionieri, rinchiusi in queste casupole, vestiti con tute arancioni", racconta a le Monde il commissario ai diritti dell'uomo del Consiglio europeo Alvaro Gil Robles.

La similitudine tra la "madre di tutte le basi americane", la più grande mai costruita all'estero dai tempi del Vietnam, con la prigione a stelle e strisce a Cuba è sua. Aggiunge che i carcerati non sembravano incatenati ma "per la maggior parte erano seduti, alcuni chiusi in celle isolate. Tra loro ce n'era di barbuti. Altri leggevano il Corano. E una soldatessa Usa, una secondina, mi spiegò che era appena arrivata dopo aver prestato servizio a Guantanamo".

La visita avvenne nel 2002, perché al commissario era arrivata voce che uomini della forza Nato Kfor avessero effettuato "arresti extragiudiziari", fuori dal diritto internazionale. E si fece accompagnare dal suo comandante, il generale francese Marcel Valentin, lui stesso infine "visibilmente contrariato dalla sorte riservata ai prigionieri".

Mai quanto Gil Robles: "Ero scioccato - dice ancora al quotidiano parigino - e l'indomani chiesi che quei metodi di detenzione cessassero e quelle installazioni fossero smantellate". Ricevette assicurazioni, per tutto il 2003, che la richiesta era stata accolta. Ma nessuno, neppure lui, andò a controllare. Sono state le polemiche crescenti sui "siti neri" della Cia a fargli tornare in mente quell'ispezione e quelle immagini per tre anni accantonate in qualche cassetto della memoria. E rispolverate oggi dalla bufera sulle "nowhere land" sparse per il mondo dove i servizi statunitensi hanno custodito e interrogato sospetti terroristi. E sicuri rapiti, come nel caso dell'imam Abu Omar prelevato a Milano.

Cosa succedeva, quindi, in quella fortificatissima provincia d'America dove 6000 soldati vivevano su 300 ettari a poche decine di chilometri da Pristina? Al riparo dei rotoli di concertina wire, l'affilatissima evoluzione del filo spinato, nelle tende verdi vicine al Burger King che dava l'illusione di non essere così lontani da casa, il diritto poteva essere diventato un optional.

"Molte domande rimangono aperte" dice Gil Robles, e chiede di sapere se la base fu usata come scalo per le "consegne straordinarie" di sospetti consegnati per le torture nei loro paesi d'origine. O ancora se vi fossero prigioni segrete. E quale giurisdizione vigesse davvero in quel territorio teoricamente sotto gestione Nato. Il commissario ricorda di aver visto allora quattro uomini di origine nordafricana.

Alla domanda sul perché erano stati arrestati gli fu risposto laconicamente: "Motivi di sicurezza". Ma una testimonianza più forte viene da Mark Almond, ricercatore di storia moderna all'Oriel College di Oxford che nel 2002 si trovava in Kosovo con il British Helsinki Human Rights Group. Nel febbraio di quell'anno scrisse sul settimanale inglese New Statesman un articolo di denuncia sui "danni collaterali" della guerra al terrorismo di cui anche i carabinieri italiani sarebbero stati - nella fase della cattura - inconsapevoli coprotagonisti. Tre uomini, due esiliati iracheni e un terzo europeo, furono arrestati, sottoposti a sfinenti interrogatori notturni e a un isolamento lungo sino a 5 settimane a Camp Bondsteel.

Un assaggio di un trattamento destinato a diventare celebre che si concluse con la scarcerazione per totale assenza di prove. "Pochi giorni prima che venissero rilasciati - scrive Almond - sei algerini dalla Bosnia, contro il parere delle corti locali, furono deportati a Camp X-Ray, a Guantanamo". Ora Bruxelles vuole capire. "Non abbiamo alcuna prova dell'esistenza di prigioni segrete in Europa" ha detto a Spiegel un portavoce della Commissione. "Sappiamo che questi posti esistono - lo smentisce, sulla stessa rivista, un funzionario di un'intelligence occidentale - ma sono i dettagli ad essere tenuti estremamente nascosti". La ricerca è solo all'inizio, ma si è messa in marcia.


(26 novembre 2005)