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Bologna paranoica, comunque non vivibile

di Federico Roberti - 09/09/2013



 

Il capoluogo felsineo è lo scenario, imprescindibile seppur non dichiarato, del secondo romanzo di Alessandro Cavazza, documentarista di talento, autore del recente “Questa non è un’esercitazione”, dedicato alla parabola del  gruppo punk-rock Disciplinatha, e inserito nel pregevole cofanetto antologico “Tesori della Patria”.

La storia raccontata da Cavazza, poco velatamente autobiografica, si annoda alle interminabili diatribe novecentesche della vita cittadina, connotata da un tessuto sociale sempre più individualizzato ed etnicizzato, tale che anche quel potere consolatorio che la straordinaria gastronomia nativa possiede, a fronte di una sovranità saldamente in mani straniere, finisce per venir meno.

A. è chiamato a realizzare un documentario sulla vita dell’ingegner Gian Filippo Deodati, ardito combattente nella Prima Guerra Mondiale, diventato successivamente docente universitario, nonché autore di importanti ricerche scientifiche in campo energetico, con concrete possibilità di applicazioni militari.

Né gli amici di vecchia data, né tantomeno una irriducibile spasimante riescono se non momentaneamente a distogliere A. dalla lettura del diario di Deodati, nel quale il professore –dopo la Seconda Guerra Mondiale- aveva descritto le vicende che lo avevano visto protagonista, insieme ai suoi fidati collaboratori, durante i precedenti anni, pressato dalle insistenze germaniche nel mettere le mani sui risultati delle sue preziose ricerche, e dai corrispondenti sforzi di esponenti della Resistenza locale di impedire che ciò avvenisse.

Frattanto, A. prende conoscenza con i rissosi discendenti dell’ingegner Deodati, nonché con le necessità “politiche” dei finanziatori del documentario, appartenenti all’area dell’antifascismo militante che –caso vuole- viene a  trovarsi proprio in quei momenti al centro di sanguinosi confronti con l'estremismo di destra.

Le ingenue speranze di poter realizzare un’opera d’arte naufragano miseramente, ancor prima della scoperta che renderà tragicomico il percorso di A. sino al seguente 25 Aprile, la data strumentalmente prevista per la presentazione pubblica del “filmino”, in pericolosa coincidenza con una provocatoria contromanifestazione indetta dai gruppi identitari. Nel suo personale cammino iniziatico, costellato oltretutto da un venir meno dei patti da parte della committenza, A. incrocia allora la propria strada con quella di chi stava dalla parte del torto, e soprattutto con un ramo della famiglia Deodati, decisivo nel chiarificargli tutti i dubbi emersi durante la lavorazione del documentario.

La storia del protagonista di quest'ultimo alla fine si disvela per quello che era, sgomberando quell’aura di eroicità che il Deodati, ben conscio della propria posizione di “privilegio” accademico, si era voluto attribuire non solo, e non tanto, per mettere nell’ombra aspetti umani molto umani della sfera privata,  quanto piuttosto per presentarsi con una limpida patente di democratico all’indomani della prevedibile disfatta dell’Italia fascista.

Ma A. capisce bene che tutti, e lui per primo, avrebbero da rimetterci dal raffigurare la realtà quale essa era, troppo scandalosa e sconveniente, e si prepara, tra infausti presagi, al parossistico finale: a salvarlo, inaspettatamente, sarà proprio quella diffusa e radicata stupidità che fino a un istante prima lo aveva afflitto senza riguardo.

Definitivamente spogliato degli orpelli ideologici dettati da scritture ormai dissacrate, al nostro antieroe non rimane che rialzarsi dalla corrente delle schiene piegate e (tornare a) vivere.

E a noi con lui, con rinnovata lucida rabbia.

Settant'anni, quasi, di pace sono stati in verità la guerra più dura.

 

Il tardo impero di A.

di Alessandro Cavazza

Parallelo45 edizioni

2013, Piacenza