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Cronache di un'America "in denial" (fuori dal mondo)

di Daniel John Angrisani - 18/07/2007

 

Nel suo ultimo libro, Bob Woodward, uno dei maestri indiscussi del giornalismo americano, nonché colui che, assieme a Carl Bernstein, ha contribuito a suo tempo alle dimissioni di Nixon scoprendo lo scandalo Watergate, ha definito George W. Bush presidente di una America "in denial", in sostanza fuori dal mondo. A distanza di circa un anno dalla pubblicazione di questo libro, questa affermazione è sempre più confacente a descrivere gli Stati Uniti d'America di George W. Bush nei suoi ultimi anni alla Casa Bianca. Prendiamo ad esempio il teatrino politico dell'ultima settimana. Dopo che il New York Times ha pubblicato un pesantissimo editoriale chiedendo il ritiro immediato delle truppe, e dopo che i sondaggi d'opinione hanno mostrato che ormai la stragrande maggioranza degli americani appoggia questa posizione (oltre il 70%) e persino che buona parte degli americani sarebbe pronta ad appoggiare l'impeachment contro il presidente Bush (51% favorevoli) e contro il vicepresidente Cheney (54%), da parte della Casa Bianca l'unica risposta è stata quella di affermare la necessità di continuare sulla strada finora intrapresa come se nulla fosse accaduto.

Nonostante nei giorni passati si parlasse della possibilità che qualche senatore/deputato repubblicano potesse “tradire” la Casa Bianca e votare gli ordini del giorno democratici che chiedono un calendario per il ritiro delle truppe, tutto ciò non è avvenuto, almeno per questa settimana. Alla Camera dei Rappresentanti l'ordine del giorno in questione è stato approvato con un margine di 223 voti a favore e 201 contrari. Si è trattato di un voto basato in gran parte sull'appartenenza partitica dei parlamentari, in quanto solo quattro deputati repubblicani hanno appoggiato il provvedimento, che ha però raccolto il voto negativo di dieci deputati democratici. Al Senato invece tale ordine del giorno è stato invece bloccato dall'ostruzionismo della rumorosa minoranza repubblicana.

Secondo le regole del Senato USA per bypassare l'ostruzionismo e porre un ordine del giorno al voto dell'aula c'è bisogno di una maggioranza di almeno 60 senatori su 100. Si deve tener conto che i democratici al Senato hanno la maggioranza di 1 solo seggio e, se consideriamo che uno dei senatori che viene solitamente attribuito ai democratici, Joseph Lieberman, in realtà ha votato la stragrande maggioranza delle volte come i suoi colleghi repubblicani, è facile comprendere come sia difficile porre al voto questioni del genere anche al Senato. L’unica soluzione che si prospetta è quindi quella di trovare un accordo con la parte più moderata del partito repubblicano, cosa che però comporterebbe la modifica sostanzialmente del testo approvato dalla Camera bassa. E' questa l'ipotesi indicata come percorribile, ad esempio, da due pezzi da novanta del partito repubblicano, come i senatori Warner e Lugar, che si sono detti disponibili a votare assieme ai loro colleghi democratici una mozione che preveda il riallocamento delle truppe in Iraq a partire dal 31 dicembre di questo anno, e la necessità da parte della Casa Bianca di richiedere al Congresso una nuova autorizzazione all'uso delle truppe in Iraq, in quanto "quella del 2002 è sorpassata ed obsoleta".

La mozione Lugar-Warner, sebbene sia innovativa per gli standard repubblicani, manca però di qualsiasi riferimento alla possibilità di stabilire un calendario per il ritiro delle truppe, cosa che la rende molto poco facilmente digeribile per i democratici, che iniziano sempre di più ad essere sotto attacco da sinistra per quella che viene considerata la loro "inazione" sulla questione della guerra in Iraq. I democratici hanno assoluto bisogno di dimostrare dinanzi all'opinione pubblica americana la loro assoluta contrarietà alla continuazione di questa avventura militare per mantenere intatta la propria base elettorale. Cindy Sheehan, l'ex madre coraggio che ha perso un figlio in guerra in Iraq e che con la sua rivolta contro la guerra ha contribuito ad aprire gli occhi di una opinione pubblica americana per troppi anni sonnolenta riguardo l’avventura militare irachena, ha affermato pubblicamente di essere pronta a candidarsi al Congresso nel 2008 per conto di una nuova formazione politica di sinistra, sfidando nel suo stesso seggio la speaker democratica della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, se lei non deciderà di porre all'ordine del giorno del Congresso la questione dell'impeachment di George W. Bush e del suo vicepresidente Dick Cheney. Tale ultima proposta ha il pieno appoggio dell'ala liberal del partito democratico, ma è causa di profondo dissenso all’interno del partito medesimo in quanto è vista come il fumo negli occhi dall'estabilishment moderato, che invece considera la permanenza di George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti come la migliore garanzia di un futuro successo democratico alle prossime elezioni presidenziali.

In questo clima, la Casa Bianca ha già fatto sapere di essere pronta, come già avvenuto in passato, a mettere il veto su qualsiasi proposta di legge che preveda anche solo l’ipotesi di un calendario per il ritiro delle truppe dall’Iraq, sfidando così apertamente sia l'opinione pubblica che la maggioranza del Congresso. Il 'casus belli' che questa settimana ha permesso alla Casa Bianca di ribadire la sua posizione è stato il rilascio di un rapporto sull'Iraq in cui si parla di fantomatici progressi effettuati dalle autorità irachene in questi ultimi mesi. Tale rapporto, rilasciato per ordine della Casa Bianca, stride, e non poco, con quello dei servizi segreti, reso pubblico negli stessi giorni, che invece afferma che la situazione in Iraq peggiora sempre di più. Inoltre, secondo i servizi segreti, la stessa strategia della guerra al terrorismo globale, come implementata sinora, è stata fallimentare, in quanto Al Qaeda è più forte oggi che nel settembre 2001 e sarebbe perciò, pronta a colpire nuovamente, in maniera ancora più distruttiva, il territorio degli Stati Uniti d'America.

Il presidente Bush, in una delle sue migliori dimostrazioni di acrobazia politica, è riuscito comunque a prendere spunto anche da questo nuovo rapporto dei servizi segreti che, a logica, sembrerebbe essere una accusa senza appello della sua gestione, per affermare che "Al Qaeda in Mesopotamia" minaccia gli Stati Uniti e che quindi bisogna continuare a combattere in Iraq e mantenere la linea sinora seguita, per evitare che un secondo 11 settembre. Questo sebbene Al Qaeda in Mesopotamia sia un gruppo di guerriglieri iracheni che, a parte il nome, poco c'entra con coloro che hanno organizzato gli attacchi terroristi di New York e Washington nel 2001. Si tratta di una menzogna, senza dubbio, ma in questi anni ne abbiamo sentite così tante da parte della Casa Bianca che ormai non fanno neppure notizia.

Considerando comunque l'ineluttabilità delle vacanze in arrivo, unica questione bypartisan che al momento unisce sia i repubblicani che i democratici, è facile prevedere per le prossime settimane una pausa nello scontro politico. Ma al ritorno dalle ferie, a settembre, al Congresso si tornerà a far sul serio: per metà del mese è atteso il rapporto definitivo del generale Petraeus sui progressi in Iraq. Sarà l'occasione per la Casa Bianca di ribadire che è vitale tenere la rotta in Iraq verso l'obiettivo della impossibile vittoria finale e, per i democratici al Congresso, di dimostrare la necessità di ritirare le truppe dall'Iraq, in quanto non vi è alcuna prospettiva di risolvere la crisi in futuro e quindi bisogna che gli iracheni se la sbrighino da soli senza l'aiuto delle truppe americane.

Quale sarà la posizione che uscirà vincente dallo scontro politico, dipenderà sostanzialmente da due fattori: anzitutto la tenuta della minoranza repubblicana, sempre più riottosa ad aiutare la Casa Bianca, per paura di una sconfitta, che molti ritengono inevitabile, alle prossime elezioni, ma anche la pressione che verrà dall'ala liberal e progressista del partito democratico, che rischia, per la prima volta da anni, di perdere molti voti a favore di una ipotetica nuova forza politica pacifista, coagulata attorno alle posizioni della Sheehan, alla sua sinistra. Il tutto mentre la campagna elettorale per le presidenziali inizierà ad entrare nel vivo, con le primarie dei due partiti.