Alchimia per i giorni nostri
di Lorenzo Merlo - 11/05/2025
Fonte: Lorenzo Merlo
L’alone che avvolge di mistero e conferisce segreti a quanto non conosciamo, in particolare a ciò che lo scientismo – idolatria della scienza – ci vieta di avvicinare, pena la derisione e la condanna di superstizione e ignoranza, si scioglie al cospetto della purezza con la quale possiamo avvicinarlo.
La formuletta
Così in basso come in alto è una formula alchemica che allude alla consapevolezza che quanto accade nello stato materiale ha una corrispondenza spirituale e viceversa, cioè che quanto possiamo osservare nella cosiddetta realtà concreta contiene ed esprime ciò che è presente in quella sottile o metafisica. Una dualità che cessa di essere tale, la consapevolezza della quale permette di esorcizzarla, fino a riconoscere in tutte le parti, apparentemente separate, l’intero che le contiene e mostra.
La presenza nelle nostre coscienze di quanto non è misurabile, dell’assoluto, dell’infinito, del mistero o di Dio permette di dare verità al motto alchemico, in quanto è dall’informe e uniforme vuoto che anima l’eterno, che avviene il pieno delle forme difformi della storia.
Ed è per la medesima prospettiva che per il buddhismo “non conta l’atto in sé ma quello dotato di intenzione” (1), tanto nel bene quanto nel male. Dunque l’innocenza, qualsiasi effetto comporti, non ha effetti sull’evoluzione umana, ma ne ha invece l’intenzione interessata, egoica, tanto da mantenerci nel ciclo del samsara, cioè legati alla sofferenza.
Il cambio di paradigma dalla concezione della realtà oggettivata – univoca e per tutti identica, nonché separata da noi – a quella soggettivata – che si realizza al nostro cospetto e che dipende dal nostro stato, dal corpo organico in cui siamo presenti – scaturisce nel momento in cui possiamo pronunciare la formuletta quale nostra creazione e non come slogan, scimmiottatura, luogo comune o vanto d’erudizione intellettuale.
Capire non basta, ricreare è necessario. È un discorso inaccessibile a chi risiede, per ideologia cioè per carenza di consapevolezza, nel piano razional-positivista e material-meccanicista. Un territorio che, come tutti gli altri, genera le sue verità. Tra queste, la negazione che altro ci sia oltre alla cosiddetta materia.
Manca però un’ulteriore considerazione. L’avvento della consapevolezza necessaria per riconoscere in che termini la formula alchemica sia rappresentativa dell’identità umana e contemporaneamente della realtà che gli uomini descrivono, richiede il simbolo e l’archetipo. Più esattamente e rispettivamente, il riconoscimento del potere energetico delle forme e l’identità sostanziale celata dalle forme stesse.
Cessare la concentrazione sulle forme permette di vedere le forze, i veri moventi, che giacciono e agiscono sulle e nelle persone, quali l’orgoglio, l’ideologia, il risentimento, il sentimento, l’esigenza, la morale, il senso di colpa, ecc., non quando questi sono evidenti o dichiarati, ma quando celati, anche a noi stessi, sotto il tappeto della cosiddetta buona educazione, dell’ipocrisia, della bugia, dell’orgoglio, della debolezza, del vittimismo.
Ermete
Nella letteratura ermetica, la formuletta è normalmente attribuita e Ermete Trismegisto (tre volte saggio). Ma Ermete, sempre secondo la letteratura, più che un essere storico è figura divina estrapolata dalla cultura greca, a sua volta derivata dal dio Thot della cultura egizia. Entrambi, tra le numerose doti di cui sono ricchi, dispongono della consapevolezza della comunicazione, del logos creatore di realtà, dell’emozione quale madre partoriente del solo mondo che possiamo narrare.
Le emozioni, fondamenta di ogni nostro ordinario e straordinario, possono dirsi anche il territorio, da esse ben delimitato, in cui ci muoviamo, tanto nel particolare quanto in generale, ovvero tanto nel credere e pensare concreto quanto nelle consapevolezze o inconsapevolezze che impongono quel fare e quel pensare.
Tra le opzioni offerte dall’etimologia del lemma alchimia, quella greca che allude a fusione pare la più funzionale a cogliere la via per la conoscenza – appunto – seguita dagli alchimisti.
I suoi segreti – chiamiamoli così – iniziano a svelarsi, cioè a divenire banalità a tutti accessibili quando, a partire dalla sua missione di trasformare il piombo in oro, invece di ridere e deridere, si assume l’intento fino a trovare il contenuto che quella formula – appunto – nasconderebbe.
Solo il materialista ride e deride, ma si avvia al processo evolutivo quando riconosce che ogni affermazione allude a una prospettiva che la impone, quando capisce di aver scambiato l’interpretazione per la realtà. Se in quel momento avvia la ricerca, giungerà a vedere in che termini – allegorici – è effettivamente possibile trasformare in oro il piombo. Gli alchimisti lo narrano a loro modo.
Tre
Secondo il pensiero alchemico, tre sono le emozioni che corrispondono ad altrettante fasi dell’evoluzione esistenziale, il cui culmine implica – appunto – la fusione con il tutto, o la consapevolezza della natura della cosiddetta materia quale espressione del cosiddetto spirito, cioè la conoscenza, da loro simboleggiata dalla quintessenza o pietra filosofale, simbolica fucina della ricetta di tutte le cose del mondo tanto in basso quanto in alto.
I tre stadi, che chiamano nigredo, albedo e rubedo, rappresentano ognuno uno stato, un’emozione avviluppante in cui, come nelle palle di vetro dei souvenir, concepiamo il mondo ed effettivamente ci sembra di constatarlo nell’osservazione.
Nigredo indica lo stato in cui nella palla di vetro troviamo la cosiddetta realtà oggettiva, in cui la verità è scientificamente dimostrabile e ciò che non lo è non esiste, è una suggestione, o non è verità.
È la fase dell’arroganza umana, per eccellenza di stampo illuminista, e della sofferenza.
Albedo indica la fase in cui prendiamo coscienza della palla o dell’emozione che ci contiene, quindi anche della riduzione della conoscenza entro la modalità analitica, logica, razionale e materiale, nonché della vita esaurita nella modalità egocentrica e antropocentrica. Un criterio nel quale l’io e l’uomo sono considerati indipendenti dal mistero, tanto che credono di poterlo indagare con gli inadeguati strumenti del materialismo.
È la fase della sorpresa e della rivoluzione, tuttavia, in particolare nella prima parte, spesso troppo concentrata sulla ricerca cognitiva e intellettuale, cioè con l’impiego di modalità inadeguate.
Con Rubedo il diametro del souvenir tende all’infinito, eppure in ogni istante siamo consapevoli della sua dimensione. Dunque, con rubedo si intende l’avvento della consapevolezza della circolarità del tempo, quindi della ripetitiva necessità di attraversare tutte e tre le fasi al fine della trasmutazione, o della morte dell’ignoranza e della rinascita nella conoscenza. Conoscenza del proprio e altrui stato, dell’assoluta nostra responsabilità di tutto, della dinamica che vincola e muove le relazioni, della percezione delle energie di un luogo, di una persona, della possibilità di cogliere dal particolare l’intero, della chiaroveggenza, dell’attendibilità dell’oracolo e della dinamica del miracolo. I veri reconditi motivi, spesso vanitosi e orgogliosi, per cui restiamo concentrati su un progetto, siamo o non siamo disciplinati, la ragione delle distrazioni, la causa della ressa di pensieri, l’origine inconfutabile e necessaria di ognuno di questi, il loro necessario avvento, l’origine e il movente tutto autoctono della nostra sofferenza e del nostro benessere.
È la fase in cui si svela anche un altro segreto – continuiamo a chiamarlo così – quello del solve et coagula, sciogli e riunisci, il cui significato è la consapevolezza della permanente mobilità delle prospettive con cui guardiamo il mondo e, quindi, contemporaneamente della loro inettitudine all’evoluzione. Una premessa da sfruttare al fine di farne scuola e mutare l’esperienza storica in conoscenza. Un senso che viene alla luce quando si riconosce la necessarietà della storia, della sua brutale grevità, inevitabile emozione di partenza per la salita alle vette della sublimazione. Cioè per riconoscere l’Uno ed esserlo.
Note
1. https://www.ereticamente.net/la-liberazione-marco-calzoli/