Esercito europeo: chi comanda?
di Mario Porrini - 11/05/2025
Fonte: Italicum
Difesa comune europea: è questo l’argomento che tiene banco in ogni discussione politica da quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Il nuovo inquilino della Casa Bianca, riconoscendo molte delle ragioni che avevano spinto Mosca a dare inizio al conflitto ma, soprattutto, rendendosi conto della netta superiorità militare della Russia, subito dopo la rielezione, ha dichiarato di voler porre fine al più presto alla guerra in Ucraina, sospendendo, contestualmente, gli aiuti a Kiev. La virata di 180° del neo-presidente americano rispetto al suo predecessore, ha provocato ira e delusione presso le cancellerie del Vecchio Continente che considerano la nuova linea politica statunitense un vero e proprio voltafaccia, dopo che le stesse avevano assecondato le pressanti richieste di Biden di sostenere militarmente l’Ucraina attraverso generose concessioni di armamenti, depauperando peraltro gli arsenali nazionali e di applicare sanzioni nei confronti della Russia. Questa decisione è stata molto sofferta in quanto si scontrava contro gli stessi interessi di chi le applicava. È ormai acclarato come l’embargo abbia avuto effetti devastanti soprattutto per l’economia dei paesi europei e vedere Trump riallacciare cordiali rapporti personali con Putin, premessa di una ripresa di relazioni diplomatiche e commerciali, è frustrante per chi deve mantenere il punto, costi quel che costi, per non squalificarsi definitivamente di fronte all’opinione pubblica dei rispettivi paesi. Nei giorni scorsi, Trump ha sbloccato l’export di 50 milioni di dollari di armi all’Ucraina soltanto dopo la firma degli accordi con Kiev per la gestione e lo sfruttamento delle terre rare a dimostrazione di come gli americani, molto più pragmatici degli europei, sappiano curare con molta attenzione e realismo i propri interessi. La nuova politica USA, rappresenta il preludio, nel breve-medio termine, di un sostanziale disimpegno militare americano dal teatro europeo, disimpegno che lascerà un vuoto enorme che, in qualche modo, dovrà essere riempito. Ma in che modo? La risposta unanime è stata quella più banale: costituire una difesa europea comune.
Questa idea non è una novità, nel 1950 la Francia propose la creazione di un esercito europeo transnazionale, dotato di un comando integrato, a cui ogni nazione aderente avrebbe dovuto fornire una parte del proprio budget per la difesa e, almeno inizialmente, un’aliquota di forze nazionali che successivamente sarebbero state sostituite da reparti appositamente arruolati. Con una visione al tempo stesso ottimistica quanto visionaria, il piano prevedeva una cessione di sovranità da parte delle nazioni partecipanti, a vantaggio della nuova realtà sovranazionale. Le Forze Armate così costituite, sarebbero state sottoposte all’autorità di istituzioni comuni dei Paesi aderenti rappresentati pro – quota in termini di finanziamenti e di forze messe a disposizione. Al progetto denominato Comunità Europea d Difesa (CED) aderirono Francia, Italia, Germania Federale, Belgio, Olanda e Lussemburgo che, assieme, avrebbero dispiegato 43 divisioni (14 francesi, 12 ciascuno Italia e Germania, 5 dal Benelux ) oltre a 1.800 velivoli da combattimento. La CED, come soggetto unitario, avrebbe poi sottoscritto un patto di reciproca difesa con NATO, Usa e Regno Unito, caratterizzandosi come vero e proprio pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica. I reparti sarebbero stati inseriti in un complesso sistema integrato che non avrebbe dovuto comprendere soltanto le forze combattenti ma l’intero apparato della difesa e rendere il tutto un complesso inscindibile: reclutamento e addestramento comuni; scuole internazionali; depositi logistici e organizzazione di acquisizioni comuni. Nel 1954, dopo che Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo avevano già ratificato il trattato e l’Italia aveva avviato il procedimento, l’Assemblea Nazionale francese negò la sua approvazione per le modifiche nel frattempo inserite – in primis la totale subordinazione delle forze CED al Supreme Allied Commander Europe della NATO – che avrebbero eccessivamente compromesso la sovranità nazionale francese. La Comunità Europea di Difesa era un progetto concepito e nato a Parigi e la Francia, come potenza nucleare uscita formalmente vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, pensava fosse sottinteso che ne avrebbe assunto il comando, riuscendo in tal modo a controllare buona parte del ricostituito esercito tedesco del quale aveva ancora timore. Nel momento in cui si era resa conto che le cose non andavano nella direzione voluta, aveva mandato tutto a monte. Come conseguenza del diniego francese, il Parlamento italiano negò la ratifica di un trattato ormai privo di senso e l’intero progetto andò definitivamente in pezzi.
Oggi, sulla base di una presunta minaccia russa, si torna a parlare di esercito europeo, con la Von Der Leyen che impone un potenziamento militare pari a 800 miliardi mentre Draghi invoca di “agire come se l’Ue fosse uno stato” con un proprio esercito in grado di difenderla. Ma possiamo considerare reale la minaccia delle armate di Putin, pronte a dilagare nelle lande dell’Europa occidentale? Sembra credibile che una nazione come la Russia, con 150 milioni di abitanti e già duramente impegnata in un difficile conflitto, possa minacciare di invasione un intero continente che conta 450 milioni di cittadini? Appare evidente come questa presunta minaccia non sia altro che un pretesto per disgregare e distruggere quello che per il sistema globalista rappresenta il nemico da abbattere: lo stato nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, si rende necessario privarlo dello strumento sul quale si fonda la sua libertà ed indipendenza: le Forze Armate. È attraverso di esse che si salvaguardano gli interessi vitali della nazione, giusti o sbagliati che possano sembrare ed è nella capacità di confliggere con gli altri per difendere i propri diritti/interessi che risiede il fondamento della sovranità. Ecco allora la proposta di agire “come se l’Unione europea fosse uno stato”, con un suo esercito sottratto alla disponibilità delle singole nazioni. Una entità europea senza alcun fondamento giuridico e morale, calata dall’alto in modo da soffocare le fastidiose sovranità nazionali. Uno stato senza esercito non può sopravvivere ed allora togliamo l’esercito e finirà lo stato.
Fortunatamente le nazioni ancora esistono, viceversa non esiste uno stato europeo ed allora viene da chiederci alle dipendenze di chi dovrebbero sottostare le costituende forze armate? In definitiva: chi comanda? Quale autorità dovrebbe decidere quando, come e contro chi impiegare l’esercito europeo? Forse il presidente del consiglio europeo Ursula Von der Leyen che per decreto ha imposto il piano REARM? Oppure Francia e Gran Bretagna, certamente le più potenti militarmente, forti anche del proprio deterrente nucleare, oltreché le più attive e risolute nel sostenere le ragioni dell’Ucraina? Macron, che agisce con la supponenza di una grandeur che la Francia crede di avere ancora ma non ha più o Londra che, uscita dall’Ue sbattendo la porta, vuole rientrare dalla finestra e comandare. Dovrebbero essere questi paesi a decidere se l’esercito europeo debba intervenire militarmente, come nel 2011 in Libia quando posero in atto una vera e propria azione di guerra per tutelare i loro interessi a discapito dei nostri? Le nazioni europee, storicamente, hanno avuto spessissimo rapporti conflittuali. Da secoli, i loro interessi sono in contrasto ed anche le prospettive geopolitiche non coincidono. Alcune guardano ad est, altre sono rivolte verso il bacino mediterraneo in un intreccio di relazioni, molto spesso, di natura bilaterale con accordi commerciali dove la concorrenza di altri paesi europei è sempre serrata. Ogni mezzo per scalzare il rivale è consentito, anche l’intervento militare e la vicenda libica che ricordavamo lo dimostra ampiamente.
In Italia l’entusiasmo per la creazione di un esercito europeo è grande, soprattutto da parte di chi ha sempre avversato le FF.AA., disprezzando i valori sui quale le stesse di reggono, primo fra tutti l’Amor di Patria. La nostra classe è la più anti-nazionale d’Europa oltreché la più asservita ai poteri finanziari mondialisti e lo dimostra l’insistenza con la quale, da anni, si invoca la cessione di sovranità all’Ue. Stupisce che questo auspicio provenga anche da parte di chi dovrebbe essere il supremo garante della nostra indipendenza.
Mettere a disposizione le nostre Forze Armate, o parte di esse, a personaggi equivoci che nessuno ha mai eletto e che perseguono interessi in netto contrasto con i nostri sarebbe un suicidio. Da anni, la politica militare del nostro paese è stata penalizzante in tutti i settori: nell’addestramento del personale, deficitario per limiti di bilancio oltreché per l’impiego dei militari nell’operazione “Strade sicure” utilizzati alla stregua di guardie giurate a piantonare edifici o monumenti. Per non parlare della mancanza di programmazione degli investimenti dei mezzi e dei sistemi d’arma, troppo spesso decisi su influenze dei vertici NATO, acquistando magari carri armati in funzione anti-russa mentre la nostra proiezione mediterranea consiglierebbe di investire maggiormente su mezzi aeronavali. Comunque, questa nuova situazione venutasi a creare, dall’azione militare russa in Ucraina e sviluppatasi in una lunga guerra al recente annunciato disimpegno americano, ha il merito di aver riportato in primo piano la necessità di avere delle Forze Armate in grado di difendere la nazione da qualsiasi tipo di aggressione, senza questo deterrente, ogni paese sarebbe in balia di chiunque. Ben venga una più stretta collaborazione tra gli Stati europei per una difesa comune che sia finalmente svincolata dalla tutela americana ma la parola ultima per l’impiego dei nostri militari deve essere sempre e comunque tassativamente appannaggio del nostro governo su mandato del Parlamento.
In conclusione, alla domanda: chi comanda? La risposta deve essere senza discussioni una sola: gli italiani!