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Il generale Mini: il Kosovo indipendente, un porto franco per il denaro

di Francesco Battistini - 16/02/2008

Il generale Mini: «Il nuovo Stato conviene solo ai clan Sarà un porto franco per il denaro che arriva dall'Est»

 

PRISTINA — Generale Mini, ma alla fine a chi conviene quest'indipendenza?
«Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato solo il 45% e Hashim Thaci ha preso il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja, ad Agim Ceku che vuole diventare il generalissimo di se stesso... Del Kosovo indipendente, a questi non gliene frega niente. Come non gliene frega ai serbi. Quel che serve ai clan, d'una parte e dell'altra, è un posto in Europa che apra nuove banche. Un porto franco per il denaro che arriva dall'Est. Montecarlo, Cipro, Madeira non son più affidabili. Ecco perché pure Belgrado ci tiene tanto. Altro che terra sacra: non entra nell'Ue, se prima non sistema i soldi da qualche parte».
Fabio Mini sa di che cosa parla: nel 2002-2003, è stato il comandante della Nato in Kosovo. E non ha molta stima della nuova dirigenza di Pristina: «Da lavarsi le mani, dopo avergliela stretta. Spero che la nuova generazione se ne liberi presto. L'anima nera è un signore di cui non le dico il nome, perché se lo scrive vengono lì e la ammazzano. È il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti dei capi Uck, non ha mai spiegato la fine d'un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos
negli anni del primo dopoguerra. A Pristina, si dice che se i pesci d'un certo lago potessero parlare...».
Però quest'indipendenza è stata pagata con la pulizia etnica. Con anni di apartheid sotto Belgrado. Era impossibile rinviarla ancora...
«Io capisco la fretta dei kosovari. È giustificata. Pensano a se stessi. È legittimo avere uno status definito, dopo anni di prese in giro e tante promesse da Stati Uniti e Gran Bretagna. Quella che non capisco è la fretta della comunità internazionale. Questi processi non si risolvono in pochi anni. E non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che ora all'Aja non testimonierà più nessuno, contro gente che comanda uno Stato? E le modifiche al quadro internazionale? La minaccia d'una proclamazione unilaterale c'è sempre stata. Questa è la quarta volta che il Kosovo la mette in pratica. Quando c'ero io e la proclamò Rugova, dovetti scrivere a mezzo mondo: attenzione, ci saranno conseguenze sul campo... Nei Balcani non sai mai quale mano arma il coltello: al primo incidente, sarà uno scarico di responsabilità. Lo sto notando con le bombe di questi giorni: le bombe non sono tipiche dei Balcani. Le hanno sempre messe personaggi venuti da fuori. Quando scoppiano, è il segnale che qualcuno sta ficcando il naso».
Si teme un effetto domino.
«Certo, questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani... I primi ad agitarsi sono già i serbi di Bosnia: hanno uno status di Repubblica più alto del Kosovo, possono staccarsi subito dalla federazione bosniaca. In fondo, chiedono la secessione che voleva Milosevic. Per bloccare Milosevic, però, sono morte decine di migliaia di persone. E noi ora gliela regaliamo così?».
D'Alema ha detto in commissione Esteri che l'Italia riconoscerà quest'indipendenza.
«Sarebbe un errore fatale, peggio di quando si riconobbe in tempi record la Croazia. Quella almeno era una Repubblica federata, non un territorio sottratto a uno Stato membro dell'Onu. Non credo che l'Italia ci cascherà: il riconoscimento non spetta ai singoli Paesi, basta l'ombrello Ue».
E Putin?
«Dal 1989 i russi non contavano più niente nei Balcani. E oggi non gliene frega niente del Kosovo. Però stiamo facendo loro un regalo grande: la Serbia. Buttiamo via vent'anni di lavoro. Toccasse a me, andrei a Belgrado dal presidente Tadic e lo prenderei per la collottola: concedi l'indipendenza prima che la proclamino i kosovari, ti conviene. Salvi il tuo Paese. E la comunità internazionale».