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Euroil... la borsa iraniana di Kish: attacco al petrodollaro

di Federico Dal Cortivo - 21/02/2008

Fonte: italiasociale

                   

 

E’ di questi giorni la notizia riportata dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, che il rublo potrebbe essere utilizzato come valuta per gli scambi petroliferi, il ministro delle fonti energetiche iraniano Gholam Hussein Nozari ha così riproposto un tema di primissimo piano a livello mondiale, la sostituzione del dollaro come valuta per gli scambi petroliferi, il che avverrebbe con il lancio della nuova borsa petrolifera nell’isola di Kish, inaugurata il 17 febbraio, tramite una video conferenza dalla capitale Teheran, con una cerimonia a cui hanno partecipato i ministri delle finanze, petrolio ed economia, il presidente della Borsa Iraniana e funzionari governativi. Al momento gli scambi saranno fatti utilizzando  il “rial “ iraniano. Non solo l’Iran preme per arrivare alla totale indipendenza dal dollaro, imposto fino ad oggi dagli Usa come unica moneta di scambio per acquistare il petrolio, ma anche la Russia , il Venezuela e la Cina sono sempre più insofferenti al monopolio Usa –$ .

 

L’isola di Kish si trova nel Golfo Persico,Iran meridionale,  18 km dalla costa iraniana, vicinissima all’imbocco dello stretto di Hormuz, dove ogni giorno transitano le enormi petroliere con gran parte del petrolio venduto nel mondo. Già nella vittoriosa campagna elettorale  del 2005, il presidente Ahmadinejad diede l’annuncio  che nella piccola isola sarebbe sorta la nuova borsa per gli idrocarburi. I proprietari azionisti sono la National Iranian Oil Refing and Distribution, la National Iranian Oil, l’Iran Oil Industry Pension ad Deposit Fund, la Theran Stock Exchange, la Mostazafan Foundation e la Kish Free Zone, ciò darebbe all’Iran il controllo totale sull’operazione, ponendosi in alternativa alle due piazze che ora hanno il monopolio sulla vendita dell’oro nero: La International Petroleum Exchange di Londra e la statunitense New York Mercantile Exchange, ma ambedue controllate da capitale Usa. Di fatto sono gli Stati Uniti i veri controllori di tutte le transazioni petrolifere sul pianeta, un’eredità avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale e capitalizzata fino ad oggi.

Ma il pericolo ora rappresentato dalla borsa iraniana è doppio: la creazione di un polo antagonista ai due anglo americani e l’eventuale utilizzo dell’Euro, un domani, coma valuta primaria.

Tutto ciò a prima vista potrebbe sembrare solo l’effetto della logica del “mercato”, tanto strombazzata da chi detiene il potere finanziario e usurocratico mondiale per poi entrare nei sistemi economici delle nazioni, quanto poi ostracizzato quando invece mette a rischio l’egemonia Usa e della sua moneta.  Prima però un passo indietro , al luglio del 1944, a Bretton Woods ,nel New Hampshire, dove si trovarono a convegno i futuri vincitori della Seconda Guerra Mondiale, con l’obiettivo dichiarato di “ ricostruire  il sistema economico internazionale”, dopo l’attacco che le potenze dell’Asse ed i loro nuovi sistemi economici gli avevano sferrato. Al Gold Standard, sistema di cambi basato sull’oro, in auge fino ad allora, gli americani imposero di trasformare il dollaro come moneta di riserva internazionale, con un valore fisso dollaro-oro, da qui di seguito la creazione del FMI, che si sarebbe poi trasformato nel braccio armato della finanza internazionale, per scardinare le economie non capitaliste. Alla fine si raggiunse un accordo che basava la convertibilità del dollaro in oro a 35 dollari per un’oncia d’oro. In teoria chiunque avrebbe potuto chiedere in cambio dei dollari in suo possesso, l’equivalente in oro, ma questo solo in teoria…Nei primi anni “70 si intravidero le prima crepe del sistema creato a Bretton Woods. La nuova concorrenza dell’Europa, risorta dopo la guerra, la guerra del  Viet Nam, crearono un deficit enorme nelle casse Usa, con un disavanzo medio di 3 miliardi di dollari, che divennero 25 miliardi nel 1968 e  quando gli investitori esteri iniziarono a chiedere la restituzione dell’oro in cambio dei dollari, il presidente Nixon prese la drastica decisione di bloccare la convertibilità del dollaro con l’oro. In pratica chi aveva accumulato dollari , perché imposti dalla potenza dominante nelle transazioni internazionali, si venne a  ritrovare carta che non poteva più essere scambiata con il prezioso metallo giallo.

Ma per il dollaro si aprivano nuovi scenari, esso fu allora ancorato al petrolio, in altre parole tutte le transazioni dovevano avvenire in moneta Usa, in cambio di questo le amministrazioni americane s’impegnavano a “proteggere gli stati produttori del Golfo” da ipotetiche guerre, l’Opec che stava valutando l’utilizzo di monete alternative, anche alla luce dell’elevata instabilità della regione percorsa dalle guerre arabo-israeliane, alla fine accettò “l’imposizione statunitense”. La presenza d’Israele, cuneo destabilizzante nel Vicino Oriente e le guerre con gli arabi portarono così solo vantaggi alla politica economica degli Usa nella regione: controllo delle fonti petrolifere e imposizione del dollaro come unica moneta di scambio di tale bene.” Chi controlla il dollaro, controlla il petrolio e chi controlla il petrolio governa il mondo o quasi…”I petrodollari danno a tutt’oggi un potere enorme agli Stati Uniti , il potere sulla moneta e sulla possibilità di stampare biglietti infinite volte, anche a fronte di un’ economia in recessione, rende gli Usa di fatto un “impero”, anche se non nel significato classico che diamo noi europei, perciò non portatore di valori e civiltà ,ma teso unicamente ad accaparrarsi le ricchezze mondiali per sostenere un  sistema di sviluppo liberal capitalista che non può fermarsi, pena la sua fine. Il Fondo Monetario Internazionale fu il lungo braccio per gestire questo enorme potere, molte ,dopo la crisi petrolifera del 1970, le nazioni che dovettero indebitarsi  per acquistare petrolio, cosa che fu gestita egregiamente dal FMI, che impose sempre il dollaro come mezzo per ripianare i debiti contratti . “Si creava così un giro perverso dove il dollaro divenne sovrano, elemento anche di controllo politico, e perquesto gli Usa non hanno mai accettato di cancellare i debiti dei paesi in via di sviluppo, cosa che impedirebbe loro d’interferire negli affari interni degli stessi”. Un dato emerge eloquente: se nel 1971 era l’oro a rappresentare  almeno il 50% delle riserve finanziarie mondiali, oggi al 95% è il dollaro.

L’economia americana, sia pure con una bilancia dei pagamenti negativa, che la vede al primo posto con 862 miliardi di dollari nel 2006, continua ad espandersi, anche se il punto di rottura parrebbe non lontano. Un esempio per meglio comprendere il sistema: Se la nazione x  ha necessità di petrolio e lo acquista dall’Opec,  deve prima acquistare dollari dagli Usa perché il petrolio si compera solo in dollari e per fare questo cede agli Usa beni come auto, macchinari ecc..Gli Usa non  fanno altro che emettere dollari e li danno alla nazione x in cambio  delle  merci, quindi l’Opec riceve dollari da x  per il petrolio. Poi il giro continua, perché una parte della valuta Usa è utilizzata nei paesi produttori di petrolio, ma una parte viene reinvestita negli stessi Usa. In pratica tutto parte dalla Federale Reserve e tutto ritorna negli Stati Uniti tramite investimenti in beni immobili, buoni del tesoro, azioni, andando ad aumentare il debito pubblico Usa, che continua a crescere.

Questo giocattolo, come lo si potrebbe definire, rischia di essere rotto se qualcuno decidesse finalmente di utilizzare un’altra moneta e non più i dollari per le transazioni petrolifere. Come si è visto il gioco sembra infinito, perché dietro vi è anche la potenza militare e la forte influenza che gli Stati Uniti hanno acquisito dopo la Seconda Guerra Mondiale, imponendo le loro ricette economiche, ma basta un granello ed il meccanismo, per quanto oliato s’incepperebbe costringendo la superpotenza a trovare altre strade per sostenere la propria economia ed il tenore di vita.

E per mantenere questo vantaggio gli Usa sono disposti a tutto , anche a scatenare una guerra preventiva, cosa che  hanno già fatto contro l’Iraq di Saddam. La chiave di lettura che spesso si da all’invasione dell’Iraq è quella del controllo del prezioso oro nero, ma un’altra lettura più attenta può esser data senza tema di smentite: l’Iraq stava per abbandonare le transazioni in dollari nella vendita del suo petrolio e la cosa poteva contagiare altri esportatori mondiali, con conseguenza catastrofiche. Nell’ottobre del 2000 Saddam prese la decisione di convertire in euro il fondo  che l’Iraq aveva presso l’Onu come finanziamento per acquistare cibo in cambio di petrolio. Numerosi furono i problemi durante la gestione di questo fondo, molti gli scandali che  videro coinvolti funzionari delle Nazioni Unite, ma il detonatore contro il dollaro era stato innescato, attraverso un conto aperto presso la banca francese Bnp Paribas in euro, l’Iraq di fatto convogliava i soldi ricavati  dalla vendita del petrolio,dal fondo Onu alla banca francese creando così i primi petroeuro.

Per gli Stati Uniti questo equivaleva ad una vera e propria dichiarazione di guerra, peggio di una atomica, ed appena invasa Baghdad si affrettarono a far chiudere il fondo al loro burattino Kofi Annan e cambiare gli euro ancora una volta in dollari. Il tentativo del Rais era stato letto come un’attacco al sistema finanziario anglo americano, a Wall Street e nella City londinese si era temuto il peggio e solo dopo l’invasione dell’Iraq  ritornò la calma, almeno per ora. Le cause spesso identificate nelle armi di distruzione di massa, mai trovate, che vedono tutt’ora gli Usa sul suolo iracheno, non sono altro che falsi scopi per distogliere l’opinione pubblica. La difesa del dollaro, ad oltranza, era la ragione di fondo e con la morte di Saddam, ci fu  un chiaro ammonimento ai futuri dissidenti: non cambiate moneta o vi attacchiamo!

 

 

Ma ora nella contesa sono entrati anche nazioni che non hanno certo l’esiguità militare e demografica dell’Iraq. L’Iran, oltre ad un vasto territorio, conta milioni di abitanti ed un potenziale militare non trascurabile, certamente in un  confronto con gli Usa non avrebbe possibilità di vittoria, ma a fianco della Persia c’è la Russia di Putin, che possiede immensi giacimenti petroliferi e di gas naturale e la forza dissuasiva nucleare , ed inoltre collabora attivamente con Tehran sul piano economico. La cooperazione tra i due stati è fonte di perenne apprensione alla Casa Bianca. Putin ha già fatto capire in più di un’occasione che non accetterà condizionamenti in politica estera ed economica . La Cina, che si sta affacciando da poco nella grande competizione geopolitica, ha la vitale necessità di avere fonti energetiche in gran quantità  e stipula accordi diretti con i paesi produttori, mentre prosegue il rafforzamento della propria flotta, per garantire le rotte mercantili alle proprie navi. Il Venezuela di Chavez  è sempre più insofferente all’influenza Usa nel continente latinoamericano, che gli americani hanno sempre considerato il loro “cortile di casa” , e non chiede di meglio che poter vendere il proprio petrolio ( Caracas è il 5° produttore mondiale) in valute che non siano il dollaro.

La contesa è iniziata, si potrebbe dire, ora senza più l’alibi della cosiddetta” guerra al terrorismo”, vedremo con quali scuse l’amministrazione americana interverrà, contro i cattivi di turno che mettono in discussione la sua moneta.

 

IL PETROLIO, questo sconosciuto verrebbe da dire, spesso si parla di petrolio senza sapere di cosa in realtà si tratti. La benzina ed il gasolio che utilizziamo ogni giorno è solo l’ultimo anello della catena di trasformazione del greggio che ogni anno viene estratto nel mondo, sia in terra che in mare. Molte sono le qualità di petrolio, la cui differenza è data principalmente da due fattori: la presenza di zolfo e la densità.  La presenza di zolfo permette di avere tre categorie di greggio: lo sweet con zolfo inferiore allo 0,5% del peso-medium sour con valori dello 0,55 e 1,55 e sour maggiore del 1,5%- La densità, invece si misura in gradi API-American Petroleum Institute, maggiore è il grado Api , minore è la densità, si hanno così greggi leggeri, fino ad arrivare a quelli più densi , detti greggi pesanti. I greggi leggeri hanno solitamente un basso contenuto di zolfo( Bonny Light- Wti- Brent..). I costi del petrolio sono formati da un insieme di voci che vanno dall’esplorazione ,ai carichi fiscali ed alle spese che sostengono le compagnie per accaparrarsi un contratto. Due le categorie principali: 1)Finding & Development Costs, che rapprensanta il costi di esplorazione, perforazione e sviluppo del giacimento, comprensivi anche dei “costi di scoperta”- discovery costs-, il tutto rappresenta circa il 60-70% del costo globale unitario del barile, di cui i discovery sono il 10-20%. 2) Poi abbiamo i  Lifting Costs, quelli necessari per estrarre, lavorare ed portare il greggio nei depositi o trasportarlo, rappresentano circa il 30-40% del costo totale.

Sommando queste due voci si ha il “costo tecnico di produzione”, a cui dobbiamo aggiungere i costi di trasporto verso i mercati di consumo e l’aspetto fiscale, che non è indifferente.

Tra le varie zone del pianeta ricche di petrolio, il Mare del Nord ha i costi tecnici più alti, mentre il Golfo Persico quelli più bassi, in mezzo possiamo metterci il Mar Caspio.

Anche i contratti per la produzione degli idrocarburi sono diversi e si dividono prevalentemente i tre grandi categorie: Contratto di Concessione- Production Sharing Agreement PSA e Contratti di Servizio. Il Contratto di Concessione, che è nato agli albori dello sfruttamento petrolifero, ancora oggi diffuso , anche se ha perso terreno, prevede che la compagnia petrolifera abbia l’esclusiva sull’esplorazione e sfruttamento delle risorse del sottosuolo, dietro il pagamento di “ royalty” e tasse per la produzione effettiva allo stato che da la concessione. Questo tipo di contratto è legato all’incidenza delle royalty e tasse che possono variare di molto da stato a stato. Il PSA prevede che la compagnia petrolifera si assuma gran parte dei rischi e costi dell’esplorazione, di solito assieme alla compagnia dello Stato ospite, venendo poi remunerata attraverso quote di produzione futura a copertura dei costi sostenuti( cost oil), sia anche come premio per il rischio d’impresa  e del suo successo ( profit oil). Tale contratto è stato tra i più utilizzati negli ultimi anni, perché consente all’industria petrolifera di avere un profitto elevato dall’investimento e di considerare anche la futura produzione, spettante per tutta la durata del contratto( mediamente 20-25 anni), come riserva.

Per ultimo abbiamo i “Contratti di Servizio”, in pratica uno Stato o una compagnia nazionale che non possiedono capitali e mezzi tecnologici, si affidano per l’esplorazione, produzione od anche solo per migliorare le capacità estrattive di giacimenti già esistenti,a compagnie che hanno la capacità di conseguire questi risultati. I contratti hanno una durata solitamente breve, meno di  10 anni, e non danno la possibilità alle compagnie di iscrivere  nei loro libri le riserve e la produzione , sebbene siano poco amati, questi contratti danno però spesso la possibilità di penetrare in aree nuove, con prospettive future di un maggior impegno.

 

 

Fonti:Petrolio di Leonardo Maugeri-Ed. Sperling & Kupfer

         Euroil di Paolo Conte e Elido Fazi

         Ed.Fazi