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Mafia per non dire capitalismo

di Luca Redig - 22/09/2005

Fonte: Rinascita

Mafia per non dire capitalismo

| Giovedì 22 Settembre 2005 -  | Luca Redig |

“Mafia per non dire capitalismo” è il saggio scritto da Carmelo R. Viola ed edito a cura del Centro Studi biologia Sociale (per la ricerca e la denuncia sociale).
Questo testo rappresenta una lucida presa di posizione, suffragata da profondi studi sociologici, contro la rapacità del sistema capitalistico. Quest’ultimo, essendo finito il pericolo comunista con il crollo del Muro di Berlino, appare oggi, in puris naturalibus, cioè senza la correzione socialdemocratica artefice della promozione dello stato sociale nel quarantennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale.
Ovviamente il welfare state serviva per creare una diga contro gli oppositori, che, allora, erano legati a Mosca, e per l’oligarchia era un prezzo da pagare per continuare a dividersi la torta dei grandi affari. Essendo, in seguito, imploso il sistema sovietico, il grande capitale ha ritenuto non più conveniente sostenere l’onere della protezione sociale e sanitaria per tutti i cittadini, adducendo pretestuosi vincoli di bilancio, statali e non, imposti, peraltro, da banche centrali e F. M. I. che sono organici, da sempre, al grande capitale medesimo.
L’autore, a pagina 178 del libro, ci spiega : “Il conto economico è il demiurgo o il demone monetario del nuovo ordine il cui decorso si fa coincidere con la caduta del Muro di Berlino e che prevede la riduzione della società civile in giungla liberista.
Le masse, ubriache di consumismo e di sogni parassitari (stimolato anche dalla politica dei premi-lotterie, quiz, giochi vari ed oggi anche scommesse), non se ne rendono ancora conto mentre i grandi privilegiati giocano tutto per tutto. E forse nemmeno le sconfinate folle di affamati dall’altra faccia del mondo capitalista hanno ancora ben compreso che il loro debito a nodo scorsoio con le multinazionali dei paesi industrializzati diventerà sempre più strozzante proprio per effetto della logica asociale del conto economico estraneo ad ogni ragione umanitaria.
Questo ordine nuovo – che socialdemocratici, socialisti liberali e affini hanno finito per accreditare – è terreno congeniale per quella criminalità economica paralegale che i fautori della criminalità economica legale fingono demagogicamente di distinguere da questa chiamandola con il nome improprio di mafia.
La socialdemocrazia, ultimo miraggio di un vago capitalismo illuminato – si direbbe dal volto umano – è un fantasma che non desta più interesse nemmeno fra coloro che l’hanno partorito. Il capitalismo è un gioco che può continuare solo se rispetta le regole della propria naturale iniquità. Esso non può persistere senza derubare gli uomini del necessario o affogarli nel superfluo, senza produrre disoccupati, barboni, bambini randagi e assassini per denaro, senza distruggere sistematicamente l’ecosistema (dalle foreste ai mari, dal sottosuolo alla stratosfera), senza mentire e vendere le proprie stesse menzogne e senza tradire quelle verità che non può nascondere.
La socialdemocrazia – il socialismo capitalista o il capitalismo socialista – nella misura in cui non è il prodotto di un idealismo ingenuo, e digiuno di scienza sociale, è una menzogna sconcia nata dalla mente di raffinati impostori, se è vero che pretende di far coesistere due fattori (la corsa individuale e individualistica all’accaparramento della ricchezza e la giustizia sociale) che si escludono a vicenda. Tale menzogna non serve più nemmeno agli oppositori della sinistra (non più alternativa al sistema ma polo dell’alternanza interna al sistema stesso), i quali partecipano sempre più a pieno titolo ai cori belanti del neo-liberismo con lo zelo servizievole e masochista dei giuda e di certi neofiti”.
“Mafia” – continua Carmelo R. Viola –“ è la parola con cui i vincitori della giungla neoliberista chiamano la versione paralegale della criminalità strutturale (per altro intrinsecamente non distinguibile da quella legale) così che, polarizzando l’attenzione dei più su un aspetto apparentemente estraneo al sistema, si possa salvare, nell’immaginario collettivo, la credibilità del sistema stesso e consentirgli di resistere ben oltre la soglia della bio-socio-compatibilità. Ove non è possibile spacciare la criminalità economica per “mafia” (cioè per un fenomeno estraneo al sistema), si assimila la legalità alla liceità (morale) così da non considerare crimine la ricchezza illimitata (l’altra faccia dell’indigenza), semmai un merito da premiare magari con il cavalierato, appunto perché conseguita legalmente (con il crisma della legge). Lo scopo è sempre quello di alimentare il sistema opponendosi all’avvento, per crescita, dell’economia del bisogno e della funzione sociale, tacciando il socialismo di utopismo, in quanto presuntivamente incompatibile con la natura dell’uomo e quindi irrealizzabile”.
Le soluzioni proposte dallo scrittore per la sopravvivenza della civiltà sono:
1) quello di contrapporre al protagonismo elitario neo-liberista un protagonismo elitario neo-socialista : un nuovo movimento “rivoluzionario”, possibilmente nonviolento, che sappia compensare (se non debellare) gli effetti devastanti sulle masse del crescente protagonismo reazionario.
2) Trasferire nell’ambito della lotta sindacale i motivi della contestazione e le cause di giustizia, i quali, diventano ordigni esplosivi per la reazione politica se saputi usare come si deve. Recessione, inflazione, disoccupazione e soprattutto fisco con riferimento particolare alle imposte indirette, al taglio delle spese sociali alla progressiva demolizione della mutualità assistenziale, sanitaria e pensionistica, sono fenomeni fra i più consoni a uno scontro frontale con la montagna di menzogne su cui si regge la cosa pubblica della società capitalistica.
Davanti a un’azienda in crisi, che minaccia di licenziare i propri dipendenti, è grottesco piatire indulgenza verso i lavoratori. Infatti, la crisi è fisiologica all’azienda capitalista, la quale cessa di essere efficiente e funzionale appena decresce il volume dei suoi affari. L’azienda capitalista non ha alcun compito istituzionale di dare lavoro a chi non ce l’ha, ha invece bisogno di comprare lavoro al solo scopo d’investire denaro per la moltiplicazione dello stesso.
3) Lo strumento della stampa per mezzo del quale l’opposizione, parlamentare ed extra, politica e sindacale, potrebbe coinvolgere masse e piazze più di qualunque campagna elettorale: Dovrebbe:
– sconfessare il capitalismo attuale come economia incompatibile con le esigenze – e i rischi – della civiltà tecnologica denunciandone la natura di iniquo gioco d’azzardo per speculatori e affaristi – ovvero come gioco di forza da cui emergono necessariamente i più forti i quali costituiscono il potere politico di fatto.
– sconfessare l’uso improprio e persistente della parola “mafia”, quella chiamata in causa essendo solo imprenditoria capitalista paralegale con qualche modalità comportamentale propria di tutte le attività clandestine, anche quindi della mafia propriamente detta.
– Sconfessare le promesse della piena occupazione e di altri progetti universali (quali equità fiscale, assistenza sanitaria, debellamento del crimine economico, riscatto della condizione femminile, riassesto ecologico e così via) essendo altrettanto menzogne per uso interno del sistema.
Lo scrittore, rivolgendosi al pubblico dei propri lettori, sostiene: Ve lo immaginate l’effetto prodotto da affermazioni cubitali sulla prima pagina di un quotidiano d’opposizione così concepite : “Il ministro Tal de’Tali è un bugiardo perché, nel nostro sistema, la disoccupazione non è un fenomeno congiunturale ma strutturale. Pertanto, la sua ventilata soluzione del problema è solo fumo negli occhi ai tanti disgraziati che non sanno in che inferno (capitalista) vivono. Siamo disposti al più ampio confronto teorico e, se necessario, a un pubblico dibattito”. O così: “La tesi, secondo cui per mantenere in vita l’azienda in causa, sia necessario ridurre stipendi e salari ai dipendenti, è la proposta di un atto di violenta prevaricazione a danno dei più deboli, che ci riporta ai primordi del capitalismo. Le difficoltà del sistema non possono essere risolte decurtando il necessario di chi lavora, semmai riducendo il superfluo dei parassiti”.
Carmelo R. Viola, nella postfazione, afferma : “Non ho inteso scrivere (e non ho scritto) un saggio di economia. Ho inteso esprimere (e spero di esserci riuscito) perché – quella che è spacciata per “la” economia, è soltanto un insieme di norme convenzionali, le quali, con il pretesto di rispondere ai diritti naturali dell’uomo e ai suoi bisogni reali (materiali e civili), nella realtà costituiscono solo un gioco alla sopravvivenza e all’arricchimento illimitato. Gioco è termine usato con scrupolosa proprietà: infatti, è solo da un gioco che si può diventare straricchi senza lavoro e senza merito o dei poveri totali senza alcun demerito”.
Concludendo, questo saggio esprime, con grande rigore, un’accusa contro tutto il ciarpame politicamente corretto, che ci tocca vedere sulla maggior parte dei media nostrani ed esteri.