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Smascheriamo nuove menzogne

di Gianfranco La Grassa - 27/04/2009

 


1. La sinistra può festeggiare fin che vuole il 25 aprile (non a caso riducendo la Resistenza a semplice lotta di liberazione nazionale, il che è un insulto a quei tre quarti almeno dei suoi morti, confinati, arrestati, ecc., che si sono sacrificati per ben altri motivi), ma ormai è e resta la parte più reazionaria della politica italiana. La critica che essa rivolge non tanto al centrodestra quanto al so-lito Berlusconi – vera ossessione e malattia di questa sinistra non solo reazionaria ma ormai anche insipida e priva di idee – è sempre fondata sul sedicente “conflitto d’interessi”. Noi invece (e non è plurale maiestatico) lo critichiamo perché ondivago, privo di una strategia precisa, pronto a varie giravolte pur di galleggiare e durare. La schiacciante vittoria elettorale – in queste imprese il perso-naggio dà il meglio di sé – ha obbligato la GFeID (“grande finanza e industria decotta”, per chi non lo ricordasse; con al vertice certe banche, la Fiat e il nuovo presidente confindustriale, decisamente più intelligente e duttile del suo vanesio e fatuo predecessore) a mostrare la “faccia cortese” al Premier, salvo ringhiare qualche volta per ricordargli che l’accordo durerà finché il centrodestra re-sisterà alle spinte centrifughe provenienti dagli ex An (non importa se confluiti nel calderone detto Pdl) e dalla Lega.
Abbiamo preso atto che la sinistra ciancia piena di livore contro Putin mentre Berlusconi fa l’amico di costui, difendendo la Russia dalle accuse di aggressione alla Georgia, e ristabilendo quindi la verità dell’effettiva aggressione da parte di quest’ultima; egli non ha certo avuto il corag-gio di dire che si è trattato di una mossa d’assaggio compiuta dagli Usa (e non dalla sola ammini-strazione Bush) per provare le reazioni russe, ma è già tanto che abbia asserito con chiarezza da chi è partito l’attacco. Così pure, apprezzabili sono gli intralci mossi all’entrata nella UE di Georgia e Ucraina, le critiche sullo scudo missilistico che, adesso e per ragioni di cambio di tattica, pure gli Usa sono pronti a ridiscutere (vedremo fino a quando). Importante anche l’appoggio dato all’Eni con la Gazprom (e ai loro accordi in direzione delle compagnie libica e algerina), mentre l’altro schieramento ha tentato di tutto per smembrare la nostra grande e meritoria azienda energetica onde assegnare la sua rete di distribuzione alle amministrazioni locali ancora prevalentemente “sinistre”. Sulla Cina, al contrario, destra e sinistra sono unite nel loro reazionarismo miope, cioè accodato agli Stati Uniti.

2. Questa premessa serve ad introdurre il discorso sull’ultima giravolta compiuta a difesa della Fiat – uno dei vertici, lo ripeto, della GFeID e del tuttora potenziale fronte antiberlusconiano e filo-sinistra, potenzialità al momento inespressa solo per manifesta rotta disordinata dell’opposizione – la cui ripresa e rimonta è stata messa in dubbio da un membro della Commissione Europea; adesso, ovviamente, costretto alla solita marcia indietro con l’abituale “sono stato frainteso”, “volevo solo chiedere spiegazioni”, ecc. E ieri è pure iniziata la ritirata dei vari rappresentanti della UE. Mi per-metto di ricordare qui di seguito soltanto poche cose.
Essendo ormai evidente il dissesto totale delle tre grandi case automobilistiche americane, che sembravano destinate a clamorosi fallimenti, l’amministrazione Obama è intanto intervenuta con massicci aiuti finanziari (così come ha fatto con le banche), immettendo nel sistema una tale liquidi-tà potenziale che, se non dovesse ripartire la produzione (l’economia reale), sarebbe facile il verifi-carsi di una crisi di grande ampiezza per di più accompagnata da inflazione. Non è comunque que-sto il punto principale del momento. Ad un certo punto si presenta la Fiat (il cui primo trimestre 2009 è in profondo rosso; ma anche questo non è ancora significativo, vedremo il secondo) e si of-fre di comprare, sia pure a rate, la Chrysler. Dal Governo centrale statunitense (quindi dal presiden-te stesso) viene nominato un team di esperti di economia (anche aziendale) e finanza per valutare, proprio in senso squisitamente tecnico-economico, la validità del possibile accordo. Alla casa auto-mobilistica americana è stato concesso un cospicuo prestito (da restituire in tempi debiti), ma prima di erogarne un secondo, ancor più pingue, ci si voleva accertare della bontà delle nuove prospettive.
Il verdetto della “squadra” di tecnici è stato emesso in tempi brevi con contenuto del tutto nega-tivo, tanto che essa ha ventilato l’ipotesi, quale scelta probabilmente migliore, del fallimento dell’azienda al fine di evitare ulteriori disastri e perdita di soldi pubblici (con danno per tutti i citta-dini, ecc.). Tale parere è stato accantonato e non se ne è fatto più alcun cenno. Obama (il suo staff) ha deciso di assegnare egualmente il nuovo prestito e di favorire l’accordo con la Fiat; solo con una più lenta progressione nell’acquisto delle successive quote azionarie della Chrysler e con la decisio-ne, almeno sulla carta, che, prima di poter eventualmente passare in maggioranza, la Fiat debba o-norare i debiti contratti dall’azienda americana verso l’amministrazione pubblica. Al di là delle cau-tele, è apparso chiaro che qualcosa non quadrava nella decisione del governo statunitense malgrado il negativo giudizio della commissione tecnico-economica.
I soliti patiti del conflitto di interessi, della corruzione, ecc. – degni eredi di tipi alla Michael Moore con le sue tesi di tempo fa, che suggerivano la “compera” dei Bush da parte della dinastia saudita – potrebbero pensare a qualche losco affare (e qualcuno l’ha pensato). Figuriamoci! La Fiat non ha denaro per comprare proprio nessuno. Su questo si può essere tranquilli: è poco probabile ci sia stata corruzione; comunque questo non è l’aspetto su cui sollevare sospetti e chiedere supple-menti di indagine (per chi è in grado di farli). Il dubbio, che si va rafforzando dopo l’ultimo “fatte-rello” della “voce dal sen [del commissario europeo] fuggita”, è ben altro. La Fiat non è più certa-mente “il capitalismo italiano”, ma è pur sempre un capofila del fronte finanziario e industriale più arretrato. Al vertice della finanza sta colui che era importante dirigente della Goldman Sachs (e, al-meno si dice, partecipante al famoso incontro del 1992 sul panfilo Britannia, di infausta memoria; su cui riportiamo nel sito ampia documentazione, già apparsa altrove ma che è bene ripubblicare anche qui, ricordando inoltre quel che disse Cossiga, oltre un anno fa, di estremamente sgradevole su Draghi, senza essere, una volta di più, né smentito né querelato). Vi sono poi le banche i cui alti dirigenti furono fra gli elettori di Prodi alle “primarie”. Infine, ai primi posti si trova appunto la Fiat (un De Benedetti, l’acerrimo nemico di Berlusconi non ha lo stesso rilievo nel Gotha del capitali-smo italiano).
Ho spiegato molte volte – in pratica e in teoria, in miei libri, nel blog e nel sito, ecc. – i motivi per cui i capitalisti dei settori delle passate rivoluzioni industriali sono i più sensibili agli interessi del paese (e sistema economico) predominante con i suoi settori eminentemente avanzati; e che re-stano tali malgrado la crisi finanziaria abbia colpito con particolare virulenza tale paese centrale (anche questo semplice fatto è stato da me spesso trattato e lo riaccennerò in un prossimo intervento nel sito). Ho fatto più volte l’esempio ottocentesco degli Junker tedeschi e dei proprietari di pianta-gioni di cotone nel sud degli Usa favorevoli, e non per mero servilismo, al predominio mondiale dell’Inghilterra (la cosiddetta guerra civile o di secessione tra nord e sud degli Stati Uniti è stata l’evento decisivo per lanciare questi ultimi nel lungo scontro policentrico seguito al declino inglese, da cui uscirono vincitori nel 1945 e predominanti in tutta l’area del capitalismo più avanzato).
Non si tratta di corruzione – questa è semmai fenomeno del tutto sussidiario e derivato – bensì di precisi interessi dei capitalisti subdominanti nei paesi facenti parte dell’area in cui uno di essi (nella seconda metà del ‘900, gli Usa) assume posizione centrale e coordinatrice dello sviluppo d’insieme. Ciò che è avvenuto soprattutto ad est – Russia e Cina in testa, e poi India – ha rimesso in moto negli ultimi anni uno spostamento verso il multipolarismo. Si tratta di un processo oggettivo, ormai a mio avviso pressoché irreversibile. O ci si adegua e si partecipa a tale dinamica o si resta schiacciati, comunque in forte ritardo. Gli Usa fanno i loro giochi; preso atto che l’aggressione di-retta e prepotente non è riuscita a portarli in posizione centrale, preminente, hanno cambiato tattica e strategia: Obama è l’aspetto fenomenico di tale mutamento strutturale. Viene impiegata maggiore duttilità e ipocrisia, salvo laddove si ritiene la situazione talmente deteriorata (Afghanistan e Paki-stan) da dover ricorrere ad un supplemento di violenza; accompagnata però da movimenti vari e “strani” verso il Governo afgano, verso i diversi gruppi talebani, verso quel cattivo amalgama di forze politico-militari che (non) governa il Pakistan, ecc.

3. Anche i subdominanti italiani più arretrati godono di vantaggi (a detrimento del paese nel suo complesso) nel coadiuvare il tentativo degli Stati Uniti di riprendere il predominio mondiale con le nuove modalità strategico-tattiche: usando cioè più spesso il “guanto di velluto” e mettendo meno in mostra il “pugno di ferro”. La stessa maggior pazienza e duttilità dell’attuale governo statunitense cerca di usarla anche la nostra GFeID che quindi, pur restando nel suo “intimo” ostile al centrode-stra (non a tutto, ma senz’altro alle forze berlusconiane), deve tenere conto dello sbandamento dell’intera sinistra, del mutamento di fase in sede internazionale, ecc. Come sospetto che l’incontro sul Britannia, le privatizzazioni successive, il “soffice” colpo di Stato denominato mani pulite, ecc. furono decisi da ambienti americani – non ce ne rendevamo conto, ma Dc e Psi avevano troppi “sfi-zi nazionali” ormai non più sopportati dagli Usa (e Nato) dopo il crollo del “socialismo reale” – as-sieme ai vertici finanziari e confindustriali italiani dell’epoca, che si servirono politicamente dei rinnegati del Pci, salvati dalla fine loro spettante a patto di vendersi senza più ritegno; così sospetto ora che il Governo statunitense, la nostra GFeID e quel che rimane della sinistra (disperatamente alla ricerca di riprendersi, in questo ampiamente aiutata ancora, sia pure sottobanco, dai suddetti gruppi subdominanti) stiano lavorando nell’ombra, con una serie di mistificanti operazioni (anche ideologiche) di copertura, al fine di impedire che si coaguli nel nostro paese la menoma aspirazione ad una maggiore autonomia.
Lo ripeto, questo è nell’interesse degli agenti di un capitalismo arretrato, legato ai vecchi settori delle passate ondate di industrializzazione; essi si oppongono ad una qualsiasi distruzione creatrice (detto in terminologia schumpeteriana), perché altrimenti rischiano se non di sparire, certamente di non contare quasi più niente, di non poter più fare il bello e cattivo tempo. Da subdominanti – in cui il sub esprime la presente sottomissione, per proprio utile, agli interessi statunitensi – passerebbero a subdominanti nel senso di subordinati a nuovi settori predominanti italiani, legati ad una politica più autonoma e magari più strettamente connessa a quella di alcuni paesi europei (in cui però si ve-rificassero svolte importanti rispetto all’attuale dipendenza dagli Usa) e di altri “verso est”. Insom-ma, in un caso del genere prevarrebbero pure in Italia forze che spingerebbero al multipolarismo e quindi al perseguimento di vantaggi assai più lauti, cospicui, sfruttando le più ampie occasioni of-ferte dagli spazi geopolitico-economici, che si aprono tra le diverse aree di influenza dei poli in cre-scita e rafforzamento quali potenze in conflitto.
Gli americani non vogliono tale esito, ma non possono oggi agire come all’epoca del Britannia, di mani pulite, del fortunato incontro con dei rinnegati da salvare dal naufragio “comunistico” per farli diventare loro ze(be)lanti servitori, lo stuoino su cui pulirsi i piedi. Altre mosse sono necessa-rie, fra l’altro approfittando della grave degenerazione della Germania (un tempo nazionalista e oggi una “gelatina molle molle”) e della Francia, passata dal gollismo ad un comportamento sempre più prono all’“occidente democratico” (cioè agli Stati Uniti). L’Italia ha ancora una certa importanza. Purtroppo (ai fini dell’attuale strategia statunitense), essa non è in mano alla sinistra. Allora si agi-sce soprattutto sulla destra (gli ex An, la Lega, pure ampi settori degli ex FI) che non esprime più, nemmeno alla lontana, una qualsiasi dignità almeno nazionale. Essa manifesta un sovrappiù di roz-zo reazionarismo in fatto di costumi, di razzismo, ecc.; è però eguale alla sinistra sulle questioni di fondo: filo-Usa e filo-Israele. Del resto, esistono pure piccoli reparti di “sinistra estrema” atti ad in-gannare alcuni potenziali oppositori “di sistema” predicando la “carità cristiana” (dare il pane agli affamati, vera riedizione del vecchio Servire il popolo), l’amore verso i diversi e i presunti disereda-ti (figli di papà che accolgono individui “poco raccomandabili” nei centri sociali), la simpatia verso gli arabi, ma solo in quanto “reietti” e “miserabili” (autentica forma di razzismo che si finge anti-razzista; si è solo “tanto buoni” invece che cattivi verso i diversi, i diseredati, ecc.).
E’ chiaro che a questa sinistra non devono essere fatti sconti; va però criticato anche l’attuale governo, e pure Berlusconi (in quanto espressione della linea ondivaga e di fatto succube degli ame-ricani e della nostra GFeID). Sintomo preciso dell’incapacità dell’intero arco politico italiane, in merito al nostro preciso interesse all’accelerazione del multipolarismo (in direzione di un effettivo policentrismo), è lo sdegno e la protesta di tutte le forze politiche (degli agenti economico-finanziari è inutile perfino parlare) di fronte alle dichiarazioni del commissario europeo sulla Fiat.
La domanda che ci si dovrebbe invece porre è: esclusa ogni ipotesi di corruzione (che è una semplice copertura del problema cruciale, copertura cui sono addetti alcuni “sinistri” massimamente ambigui), dobbiamo chiederci, tenendo bene aperti gli occhi per poter rispondere appena possibile, se per caso l’aiuto dato dagli Usa alla Fiat – via Chrysler, quindi prendendo fra l’altro “due piccioni con una fava” – non venga a configurarsi come “morbida” apertura di una testa di ponte in ambito italiano (soprattutto), ma con riflessi più generalmente europei. Certo, ben diversa efficacia e am-piezza di orizzonti avevano manovre come mani pulite, come le privatizzazioni dell’industria pub-blica, ecc. Alla fin fine, esse sono però servite solo parzialmente allo scopo a causa dell’“imprevisto berlusconiano” e della poca tenuta della sinistra rappresentata dai rinnegati del Pci (con anche pic-cole quote di Dc e Psi).
Questo fatto è tutto sommato dovuto agli stessi motivi per cui gli Usa hanno dovuto alla fine ri-nunciare alla loro strategia “imperiale” fortemente aggressiva, posta in atto negli anni successivi al crollo del “socialismo” e dell’Urss. Tale aggressività è stata senza dubbio condita con finanziamenti ad ambienti di apparente sinistra radicale, che hanno paralizzato e distrutto anche il minimo poten-ziale critico. Penso ai no global, all’ambientalismo, all’antimodernismo, alle tesi dell’Impero acefa-lo e diffuso, a quelle della fine degli Stati nazionali, ecc. Si è però solo trattato di batterie supple-mentari, di corta gittata e bassa potenza, poiché i veri sforzi sono stati prodotti con le aggressioni all’Irak, all’Afghanistan, alla Jugoslavia, ecc.; si è poi “inventata” la lotta al “terrorismo”. Alla fine, tuttavia, si è provocato soprattutto l’urto con la Russia e sollevato i malumori della Cina, intorno alla quale si tentato di creare cordoni sanitari, ecc. Il tutto, al presente, è sostanzialmente fallito.

4. La mossa in direzione dell’accordo Fiat-Chrysler è di scarsa portata strategica, ma comunque serve a scombinare certi giochi all’interno del nostro paese, costringendo il pavido e incerto Berlu-sconi a schierare l’intero governo a difesa di uno dei leader della GFeID, indebolendo così, sia pure in prospettiva, la sua posizione politica sul fronte interno. Ripeto: manca del tutto, oggi come ieri, una strategia italiana coerente; tuttavia, sia chiaro che nulla si deve concedere alle critiche della si-nistra, in specie a quella dei truffaldini e torbidi arruffapopoli (tipo Idv, “grillini”, rimasugli dei “gi-rotondini”), il peggio del peggio. Tutti oggi fingono di difendere, con la Fiat, gli interessi nazionali mentre stanno proprio facendo il contrario.
Se volevano difendere i nostri interessi, potevano muoversi apertamente e con lo stesso vigore protestatario contro le mene della Commissione Europea, intenzionata a schierare le principali a-ziende energetiche europee (tipo E.on, Gaz de France, ecc.) contro il progetto del gasdotto Sou-thstream patrocinato da Gazprom ed Eni. Ufficialmente per liberarsi di presunti ricatti russi (in me-rito a ricorrenti crisi con l’Ucraina, sobillata dagli Usa e dagli “occidentali” a tale paese subordina-ti); in realtà, per favorire la costruzione del gasdotto Nabucco, patrocinato dagli americani contro i russi. Al momento, non so se tali mene siano o meno fallite, dato che si è stesa sulla faccenda una solida coltre di silenzio. Il Southstream, fortunatamente, sembra ben procedere coinvolgendo anche Algeria e Libia a sud-ovest; ma è pur sempre indispensabile stare con “le orecchie alzate”.
A causa dei problemi concernenti l’occupazione (problema reale, sia chiaro), tutti, anche i sin-dacati, si schierano dietro la Fiat; forse vi sono piccoli gruppi in buona fede – la cui attenzione è de-viata dalla solita e pressoché esclusiva rilevanza attribuita al conflitto capitale/lavoro – ma comun-que essi, oggettivamente, favoriscono la nuova, e più subdola, manovra tendente a schierare al gran completo la politica italiana dietro i settori finanziario-industriali più arretrati, quelli dell’incontro sul Britannia, della svendita del nostro paese, dato che il loro precipuo interesse, da tempo imme-morabile, è di restare subdominanti rispetto ad una predominanza statunitense attualmente in fase di lento (e fortunato) sgretolamento.
Stiamo dunque “in campana”, poiché siamo immersi nella solita melma dell’ideologia falsifica-trice, dell’illusionismo che ci fa vedere bianco ciò che è nero, nerissimo. Gli Usa non aiutano nes-suno per beneficenza; e in questo, fra l’altro, sono a mio avviso da ammirare. Meno lo sono coloro, di casa nostra, che si fingono “nazionali” e stanno danneggiando noi tutti. La sinistra è sugli scudi, proprio quanto a capacità di imbrogliare le carte, di vendere ideologia (che capovolge la realtà) a spron battuto; ma la destra non scherza, la sta rincorrendo, approfittando della sua – credo solo tem-poranea – fortuna elettorale. Fiat-Chrysler è un “patto leonino” da cui tutti noi siamo esclusi: gli utili (secondari) spettano ai due “servi”, che debbono salvarsi dal “licenziamento” (cioè fallimento), il vantaggio principale è per il “padrone” che soprintende a detto patto e lo guiderà con “saggezza”, cioè per i propri scopi (non economici, ma di nuova strategia), com’è nell’essenza di simili accordi. Bravi gli agenti capitalistici dominanti americani, pessimi e perpetuamente in (s)vendita i nostri.