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Iran! Iran! O forse Pakistan...

di Simone Santini - 30/04/2009

 
 
Segnali contrastanti giungono dallo scenario mediorientale e centro-asiatico. Se gli equilibri della regione sembravano ormai decidersi sulla sfida egemonica tra Israele e Iran, l'instabilità di un potente attore regionale come il Pakistan rischia di rimescolare tutte le carte, ridefinire gli equilibri, e determinare una nuova agenda delle priorità.
Hanno spiazzato un po' tutti gli osservatori le recenti dichiarazioni del neo ministro degli esteri israeliano, Avigdor Lieberman, in una intervista rilasciata al quotidiano russo Moskovski Komsomolets, che ha declassato il pericolo del nucleare iraniano in terza fila rispetto alla destabilizzazione del Pakistan ed il disordine che ancora regna in Iraq. Lieberman ha rimarcato che se la bomba degli Ayatollah deve ancora arrivare, molto più concreto il timore che l'arsenale atomico pakistano possa cadere nelle mani del fondamentalismo islamico, e dunque del fronte anti-sionista.
Non è chiaro se l'esternazione di Lieberman possa significare un sostanziale mutamento nella politica di Israele. Da ultimo le reazioni del primo ministro Netanyahu all'intervento di Ahmadinejad alla Conferenza sul razzismo di Ginevra sono state durissime: "Non permetteremo a chi nega l'Olocausto di portare avanti un altro Olocausto contro il popolo ebraico. Questo è il dovere supremo dello Stato di Israele, questo è il mio dovere supremo come primo ministro di Israele". Tuttavia Lieberman si trova di un delicato passaggio diplomatico e la sua dichiarazione sul Pakistan ha una favorevole sponda nell'Amministrazione Obama che soffre di una impasse su come affrontare il dossier iraniano, se con il dialogo come vorrebbe la componente nazional-militare di Robert Gates e del vecchio generale Brent Scowcroft, o con lo scontro come propugnato dalla cosiddetta lobby filo-israeliana, fortissima al Dipartimento di Stato di Hillary Clinton.
Le due fazioni potrebbero ritrovarsi d'accordo nel posticipare la definizione del dossier Iran per concentrasi da un lato sul Pakistan, e dall'altro continuare il dialogo con la Russia di Medvedev e Putin. Sotto questo aspetto, nella già citata intervista, Lieberman si è detto prontissimo ad essere l'anello di congiunzione di una nuova intesa russo-americana, vista la tradizionale vicinanza di Tel-Aviv con Washington e i buoni rapporti col Cremlino essendo Lieberman il leader della forte componente russofona di Israele.

Così, in seguito all'avanzata delle milizie talebane in Pakistan, dalla regione settentrionale dello Swat verso il centro del paese, arrivando ad un centinaio di chilometri dalla capitale Islamabad ed il centro delle forze armate a Rawalpindi, la Segretaria di Stato Hillary Clinton ha lanciato l'allarme dichiarando che l'instabilità del paese è una "minaccia mortale" alla pace nel mondo. La Clinton ha accusato senza mezzi termini le autorità pakistane di essere incapaci di fare fronte alla crisi e di stare perdendo progressivamente il controllo dello stato a favore degli estremisti islamici.
L'allontanamento dell'uomo forte Pervez Musharraff dal potere e l'omicidio di Benazir Bhutto sembrano aver gettato il paese nel caos e questo potrebbe spianare la strada ad un intervento diretto statunitense, sia politico che militare, se la situazione dovesse degenerare ancora.

Un deciso intervento militare in Pakistan in appoggio all'attuale e debole presidente Zardari, e che metta sotto tutela diretta il paese, potrebbe rappresentare per gli Stati Uniti un ottimo surrogato di un intervento occidentale in Iran, con molteplici risultati strategici. È evidente che la stabilizzazione dell'Afghanistan passa per il Pakistan ed il paese si trova al centro delle vie energetiche che uniscono l'Asia centrale ad un suo storico alleato, la Cina. Nondimeno Teheran continuerebbe a restare nel mirino e sarebbe ancor più accerchiato su tutta la linea dei propri maggiori confini (Iraq, Afghanistan, Pakistan appunto) dalla presenza militare e diplomatica americana.
Un altro che non crede ad un imminente attacco all'Iran è l'analista francese Thierry Meyssan, attualmente "rifugiato" a Beirut dove si è posto, per sua stessa dichiarazione, al servizio della resistenza libanese, ovvero l'alleanza tra il partito cristiano del generale Michel Aoun e gli sciiti filo-iraniani di Hezbollah, in predicato di vincere le prossime elezioni nel Paese dei Cedri. Dal suo osservatorio privilegiato, probabilmente con possibilità di accesso a fonti di intelligence riservate, Meyssan ritiene che: "Il progetto di attacco all'Iran rispondeva solamente all'agenda dei fautori del rimodellamento del Medio Oriente, sarebbe a dire le lobby dei petrolieri e il movimento sionista [...] Quando abbiamo sfiorato il bombardamento nucleare dell'Iran, l'opzione è stata respinta da quelli che sono stati definiti "i generali ribelli", nel dicembre 2007. Obama si è messo al loro servizio nel 2008, come ha reso pubblico il generale Colin Powell, e l'hanno aiutato ad installarsi alla Casa Bianca. Non vi è dunque alcuna ragione di pensare che l'attacco all'Iran verrà rimesso in programma" (1).

Comunque stiano le cose, altri eventi segnalano invece che Israele si sta sempre più massicciamente preparando ad una guerra, anche con proiezioni aeree a lunga distanza, come dimostrano le esercitazioni nel Mediterraneo della scorsa estate, gli attacchi alle istallazioni siriane e le incursione in Sudan (2).
E per il prossimo 2 giugno Israele ha previsto la mobilitazione generale delle forze armate e della popolazione per quella che si annuncia essere la più grande esercitazione nella storia del paese. Il responsabile del comando del fronte interno, il colonnello Hilik Sofer, ha dichiarato che una settimana di manovre che riguarderà anche la cittadinanza "trasformerà la popolazione d'Israele da passiva ad attiva... vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può scoppiare domani mattina".

Secondo quanto riportato dal sito informativo Debka, ritenuto collegato ai servizi segreti del Mossad, il premier Netanyahu avrebbe sul tavolo un dossier che prospetta la concreta possibilità di un grosso confronto militare nei prossimi mesi con l'Iran, o Hamas, o Hezbollah, o addirittura tutti tre insieme.
Il futuro di guerra e pace nello scacchiere mediorientale passa sicuramente per le decisioni che verranno prese a Tel Aviv. È anche possibile, per quanto delineato, che possa assistersi al paradosso che l'irruente Lieberman possa frenare sulla guerra Netanyahu, in particolare il suo desiderio di forzare la mano agli Stati Uniti.
Di certo, gli israeliani sono sicuri che tutto dipende da loro. Come ha ricordato lo stesso Lieberman all'intervistatore della Moskovski Komsomolets, "mi creda, gli americani accettano tutte le nostre decisioni".