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Afghanistan: perché ci odiano

di Alessandra Colla - 11/05/2009

Leggo stamattina questa notizia che ha un sapore allarmante:

Basta proselitismo cristiano in Afghanistan o ci saranno gravi conseguenze. La minaccia arriva dai talebani che hanno chiesto a papa Benedetto XVI di «fermare i crociati» in Afghanistan, all’indomani dell’uccisione di oltre cento civili nella provincia occidentale di Farah nel corso dei raid aerei americani e alla vigilia della visita del pontefice in Giordania e in Israele. Il comunicato si apre con un versetto del Corano non propriamente ostile (al-Baqara 109), che recita: «Tra la gente del Libro (ebrei, cristiani e islamici ndr), ci sono molti che, per invidia, vorrebbero farvi tornare miscredenti dopo che avete creduto e dopo che anche a loro la verità è apparsa chiaramente!». Poi il messaggio prosegue in forma istituzionale. [continua]

Non faccio in tempo a commentare che il mio occasionale interlocutore m’interrompe: «Calma, calma! Guarda che in Afghanistan l’islam l’hanno imposto, hanno fatto proselitismo anche loro!». Cavolo. Sta’ a vedere che se non me lo diceva mica lo sapevo.

Non so che farci, ma resto sempre stupita dall’incapacità di leggere gli avvenimenti al di là della mera lettera: ci vuol tanto a capire che se i talebani chiamano “crociati” gli occidentali (grazie, Bush) è perché vedono nel cristianesimo la forma più insidiosa assunta dall’aggressività islamofoba che caratterizza l’Europa e l’Occidente?

Nel 2006 Paolo Barnard ha pubblicato un testo che io considero preziosissimo, intitolato appunto Perché ci odiano: ignorato dalla quasi totalità dei media italiani (mi vanto di essere stata una delle poche persone a parlarne su un mensile regolarmente registrato che si chiamava “Orion”), lo descrive così lo stesso Barnard:

Il libro è scritto per poter essere capito da tutti, e contiene una spiegazione fruibile da chiunque di tutto ciò che è essenziale sapere per comprendere le crisi mediorientali e la criminosità della Guerra al Terrorismo.
Israele viene svelato per ciò che è senza mezzi temini o tentennamenti: il più grande Stato terrorista della Storia mediorientale contemporanea, con prove alla mano che smontano pezzo su pezzo la narrativa che oggi permette a Tel Aviv di agire con impunità assoluta di fronte al mondo intero. Le fonti sono solo ebraiche, proprio per essere ‘blindate’.
In ultimo, oggi che la Guerra al Terrorismo ci sta portando sull’orlo di una deflagrazione senza precedenti, ritengo vitale che sia divulgato al pubblico il senso ultimo del libro, che è: “Quasi tutto ciò che sappiamo sul Terrorismo islamico è falso, e ci può uccidere. Smettiamo di crederci. Se non ci racconteranno la verità sulle radici dell’odio contro di noi, quell’odio non si fermerà mai, perché mai sapremo affrontarlo. Vi offro gli strumenti per capire l’odio, per affrontarlo e per fermarlo. Ne va della nostra vita, come di quella di tanti cittadini del mondo”.

Il punto è che quello che sta accadendo in Afghanistan (proprio come in Iraq, per esempio, o nella Palestina occupata) noi qui non ce lo possiamo nemmeno immaginare:

Intervenendo alla Camera dopo l’informativa urgente del governo, la capogruppo del Pd in commissione Difesa, Rosa Villecco Calipari, ha detto: «Aspetteremo l’esito delle inchieste della magistratura, ma non possiamo nasconderci dietro ad un dito: in Afghanistan sono cambiate molte cose e la missione di pace dell’Italia ha bisogno di una nuova strategia politico diplomatica, che il Pd chiede da tempo». La situazione è così complessa nella zona di Farah che l’Italia sta pensando di spostare le proprie basi avanzate, come ha confermato il capo di Stato maggiore dell’Esercito generale Castagnetti, verso nord lasciando ai militari Usa il controllo di Bala Boluk, Bakwa e Gulistan. [qui]

E ripetere ossessivamente come un mantra salvifico che «gli italiani sono in Afghanistan in missione di pace e rispettano scrupolosamente le regole d’ingaggio» non basta a cambiare la realtà delle cose. Tanto più che queste famose regole d’ingaggio sembrano essere una coperta buona per tutte le stagioni: laddove, invece, si scopre che una cosa sono le parole e un’altra i fatti.

È ancora Barnard a spiegare di che si tratta, commentando i fatti inerenti alla liberazione di Giulia Sgrena e alla morte non tanto accidentale di Nicola Calipari: e il quadro che emerge della situazione irachena non sembra poi così diverso da quello della situazione afghana, in cui i militari italiani sembrano travolti da un gioco più grande di loro e si ritrovano a portare le armi — ancora e sempre — per conto dei soliti altri.

Tutto sta, allora, a vedere se si vogliono capire le regole di quel gioco, e, una volta capite, se le si vogliono accettare oppure no. Perché a quanto pare e fino a prova contraria, si può ancora scegliere.