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Le ambiguità dell’UE nei confronti di Israele

di Isabelle Avran* - 03/07/2009

Alla fine di aprile il Consiglio degli affari generali e relazioni estere dell’Unione europea, riunito a Lussemburgo, ha preferito attendere prima di rinsaldare le relazioni dell’Europa con Israele. Decisa durante la presidenza francese dell’Unione europea l’8 dicembre 2008, la messa in cantiere di questa ripresa è stata di fatto interrotta bruscamente in seguito all’offensiva omicida israeliana contro la Striscia di Gaza tra la fine di dicembre 2008 e l’inizio di gennaio 2009.
Il 15 giugno 2009, il Consiglio — in margine al quale si teneva la nona sessione del Consiglio per le relazioni fra UE e Israele — ha riaffermato questo orientamento.
Questa scelta indica soltanto una pausa contingente nell’approfondimento delle relazioni fra Bruxelles e Tel Aviv, o è la dimostrazione di una svolta concreta della politica europea nei confronti del Medio Oriente?
Già il 23 aprile 2009, tre mesi dopo la fine dell’attacco israeliano e poche settimane dopo l’investitura del governo di Benyamin Netanyahu, uno dei più dichiaratamente di estrema destra nella storia di Israele, in un comunicato al Parlamento europeo e al Consiglio la Commissione europea, peraltro attivamente impegnata nel riavvicinamento euro-israeliano, notava: «Ogni riesame delle relazioni bilaterali UE-Israele […] deve tener conto della persistenza del conflitto israelo-arabo e degli sviluppi politici in Medio Oriente nel loro complesso. Il perdurare, anzi l’estensione accelerata delle colonie di popolamento nel 2008 ha avuto un’incidenza negativa sia sul processo di pace sia sulla libertà di circolazione dei Palestinesi e sull’economia palestinese. Questa situazione è ancor più aggravata dall’assenza di progresso registrata in merito a numerosi impegni sottoscritti nel quadro del piano d’azione relativo, come la facilitazione degli scambi commerciali palestinesi» [Comunicazione della commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, «Messa in opera della politica europea di buon vicinato nel 2008», Bruxelles, 23 aprile 2009, COM (2009) 188]. E il rapporto cita l’aggravarsi della situazione della popolazione palestinese, «già in situazione di grave impoverimento prima dell’offensiva militare a causa del blocco totale della Striscia di Gaza», come pure il contesto politico avvelenato dallo scatenamento dell’operazione “Piombo fuso”.
[…]
Un diplomatico palestinese l’aveva rilevato già da tempo: nei riguardi degli Stati che violano il diritto internazionale, coesistono due strategie molto diverse tra loro. Una consiste prima nel minacciare di usare il bastone, e poi nel farlo davvero. L’altra, invece, promette una carota supplementare per ricompensare o incoraggiare i progressi, benché incompleti o temporanei. L’aggiornamento della messa in opera del rinsaldamento delle relazioni con Israele si limiterà dunque a quest’ultimo scenario?
La senatrice Nathalie Goulet (Union pour un mouvement populaire, UMP) ricorda che, «secondo i termini dell’accordo di partenariato euro-mediterraneo, gli Stati partecipanti si impegnano a conformarsi alle norme del diritto internazionale. Segnatamente, essi sono tenuti ad “agire in conformità con la Carta delle Nazioni unite e con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonché con le altre obbligazioni derivanti al diritto internazionale (…). I partner devono del pari rispettare l’integrità territoriale e l’unità di ciascuno degli altri partner e regolare le reciproche controversie con mezzi pacifici”» [«Proposition de résolution européenne sur les relations entre l’Union européenne et l’Etat d’Israël», presentata da Nathalie Goulet, senatrice, registrata alla presidenza del Senato il 23 aprile 2009.]. Per la senatrice, questa proposta d’approfondimento delle relazioni con Israele, «totalmente inaccettabile a partire dal dicembre 2008, è ancora meno difendibile dopo i massacri di Gaza della fine di dicembre 2008 e del gennaior 2009». La senatrice auspica il congelamento di ogni processo di ripresa e la sospensione dell’accordo di partenariato. E lo stesso propongono, in Francia e in Europa, un gran numero di associazioni e organizzazioni non governative impegnate in favore di una pace tra Palestinesi e Israeliani fondata sul diritto, così come numerosi eurodeputati. In sostanza, sottolinea la senatrice Goulet, se «il processo politico di risoluzione del conflitto ha fallito», è «per la mancanza di una volontà forte della comunità internazionale, particolarmente degli Stati Uniti, di far sentire il suo peso in favore del dialogo e del riconoscimento effettivo del diritto di due popoli a vivere in pace». […]

*Un articolo di Isabelle Avran apparso su “Le Monde diplomatique” - giugno 2009.

(Il testo completo, nell’originale francese, si trova qui; la traduzione dei brani è mia).