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Iraq, Gli americani trattano con la resistenza (e Baghdad è furiosa)

di Ornella Sangiovanni - 27/07/2009



Lo sanno tutti (o quasi), però non si può dire, e quando – ogni tanto – salta fuori scoppia il finimondo.

Gli Stati Uniti stanno negoziando con gruppi della resistenza armata irachena. Non è una novità: i contatti vanno avanti da anni - a singhiozzo: a un certo punto si interrompono, poi ricominciano. E quando la cosa viene alla luce, il governo di Baghdad è furioso.

Adesso ci risiamo. Si scopre che la scorsa primavera americani e gruppi della resistenza si sono incontrati per ben due volte – in Turchia, e hanno firmato addirittura un protocollo: un accordo preliminare, preludio a negoziati veri e propri, che però non sono mai iniziati.

La rivelazione arriva – con una tempistica perfetta – a pochi giorni della visita a Washington del premier iracheno Nuri al Maliki – attraverso gli schermi di al Jazira. A parlare è lo sceicco Ali al Juburi, portavoce del “Consiglio politico della resistenza irachena”, una coalizione nata nell’ottobre 2007 che raggruppa alcuni dei principali gruppi della resistenza armata – quelli che vogliono giocare un ruolo politico, e non ne hanno mai fatto mistero.

Gli americani “non fanno sul serio”

Juburi parla di due incontri con gli americani – a Istanbul, per la precisione – in marzo e in maggio. Il terzo incontro, che avrebbe dovuto dare avvio ai negoziati veri e propri, era previsto in giugno, ma non se n’è fatto nulla. Il motivo? La parte statunitense ha mostrato “di non fare sul serio” per quanto riguarda le condizioni poste dai gruppi armati, dice Juburi.

Non è la prima volta che succede. In diverse altre occasioni, trattative in corso fra americani e resistenza irachena avevano avuto una battuta d’arresto per la stessa ragione.

Ma quali sono le richieste dei gruppi della resistenza armata? Stando a Juburi, essenzialmente quattro:

-scuse ufficiali al popolo iracheno da parte degli Stati Uniti per l’invasione del marzo 2003 e la successiva occupazione
- il rilascio di tutti i prigionieri
- impegno a ricostruire l’Iraq
- sostegno di Washington a riforme che riportino i gruppi armati all’interno del processo politico.

Solo che le trattative vere e proprie non hanno mai preso il via. Ed è proprio questo il motivo che avrebbe spinto Juburi a rendere pubblici i contatti in corso - con l’obiettivo di fare pressione sugli americani. Mettendoli in imbarazzo (e peggio), in particolare con le autorità di Baghdad. Che di negoziati con i gruppi armati (sunniti) non vogliono sentire parlare – almeno pubblicamente: per il governo Maliki, infatti, si tratta di “terroristi”.

Le rivelazioni via etere non potevano arrivare in un momento più adatto – o inopportuno, a seconda dei punti di vista. Dai media arabi la notizia degli americani che trattano con la resistenza irachena finisce su quelli statunitensi, proprio mentre Maliki si trova in visita a Washington.

Washington: Baghdad sapeva

Dal Dipartimento di Stato sono costretti a confermare: gli incontri ci sono stati – anche se le date di cui si parla sono leggermente diverse: marzo e aprile. Dettagli non ne vengono forniti, mentre Robert Wood, un portavoce del Dipartimento, sottolinea che “gli incontri in questione sono avvenuti alcuni mesi fa, e funzionari del governo iracheno ne erano a conoscenza”.

Ovvero: Baghdad sapeva. “Avendo passato gli ultimi sei anni ad aiutare l’Iraq a costruire un governo democratico rappresentativo ed efficace, l’ultima cosa che faremmo è compiere qualsiasi azione che potesse danneggiarlo”, sottolinea Wood.

E mentre funzionari turchi confermano che gli incontri fra americani e resistenza si sono svolti in Turchia, gli iracheni reagiscono male: chiedendo spiegazioni a Washington e ad Ankara, in particolare riguardo a un “protocollo” che sarebbe stato firmato fra un rappresentante dei gruppi della resistenza e un funzionario statunitense, come preludio appunto all’avvio di negoziati veri e propri.

Un protocollo preliminare

Protocollo che il governo Maliki avrebbe ricevuto qualche giorno dopo l’intervista di Juburi ad al Jazira, andata in onda il 15 luglio.

Il protocollo costituisce “una interferenza negli affari politici interni dell’Iraq”, dice un comunicato diffuso da Baghdad, che chiede “spiegazioni chiare” ai funzionari Usa e a quelli turchi attraverso le rispettive ambasciate nella capitale irachena. Che per ora tacciono.

Il governo Maliki continua a sostenere di essere stato tenuto all’oscuro dei contatti in corso fra americani e resistenza: a detta di Juburi agli incontri in Turchia avrebbero preso parte almeno tre rappresentanti dei gruppi armati (lui ha non era fra questi, ha precisato) e almeno tre funzionari del Dipartimento di Stato. Chi erano non lo dice – per il momento.

L’iniziativa di avviare i contatti, secondo Juburi, è partita dalle forze armate Usa, agli inizi di quest’anno. I diplomatici americani sarebbero stati inviati dopo che i gruppi della resistenza si erano rifiutati di negoziare con quelli che considerano “occupanti”.

Ora è di nuovo tutto fermo. Mentre Baghdad strepita, e Washington cerca di ricucire.

Hillary Clinton, Segretario di Stato Usa, in conferenza stampa con Maliki, sostiene di aver saputo delle trattative solo di recente, e promette di tenere il governo iracheno “pienamente informato” in futuro.

Ma ai giornalisti che le chiedono del protocollo, risponde solo che nessun funzionario Usa è stato autorizzato a firmare alcunché. Altri commenti non vuole farne.

Maliki, da parte sua, si dice soddisfatto dell’impegno in base al quale “l’Amministrazione [Obama] non negozierà né concluderà accordi con coloro che hanno ucciso soldati, americani, soldati, iracheni, e iracheni”.

Hoshyar Zebari, ministro degli Esteri iracheno, intervistato da al Hurra, Tv in lingua araba finanziata dagli Usa, definisce “scioccante” e "incredibile" il fatto che funzionari statunitensi e turchi (secondo le informazioni in suo possesso, agli incontri di Istanbul sarebbero stati presenti anche rappresentanti di Ankara) abbiano incontrato "sostenitori del passato regime, gruppi che adottano la violenza e il terrorismo come modo per cambiare la situazione, e le reti che credono nell’uccidere, colpire con le bombe, e prendere di mira gli innocenti".

La “mano della CIA”

Analisti iracheni vedono dietro tutto questo “la mano della CIA”, che avrebbe cercato di fare pressioni su Maliki proprio nel corso della sua visita negli Stati Uniti.

“Se fossi stato in lui, avrei interrotto la visita”, dice Jawad Talibi, un analista politico, dagli schermi di al Alam TV, televisione iraniana in lingua araba. A suo avviso, gli americani vogliono costringere il premier iracheno a riconciliarsi con i ba’athisti. E dietro questo tentativo, ci sarebbero altre potenze regionali - che vogliono il ritorno dei ba’athisti in Iraq, aggiunge Talibi.

Un riconoscimento della legittimità della resistenza

Juburi, da parte sua, considera comunque il protocollo preliminare firmato un “successo”, e un “riconoscimento” da parte degli americani della legittimità della resistenza armata irachena.

Nel documento, l’amministrazione Usa si impegnava, fra l’altro, a facilitare i movimenti di 15 rappresentanti dei gruppi della resistenza irachena che avrebbero preso parte ai negoziati, e anche a far pressioni sul governo di Baghdad per il rilascio, nel caso in cui qualcuno di loro fosse stato arrestato.

“Le nostre richieste non erano impossibili”, commenta Juburi, “Pensiamo tuttavia che gli americani abbiano perso la loro influenza e il loro potere all’interno dell’Iraq, a favore di Paesi come l’Iran”.


Fonti: Washington Post, New York Times, Reuters, Associated Press, Open Source Center