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Il Mediterraneo deve tornare ad essere un luogo di incontro fra i continenti

di Enrico Galoppini - Alessandro Bedini - 22/09/2009

Fonte: L'Eco di Bergamo

L’eurasia è un’idea che ha attraversato
culture, tradizioni e pensatori di diversa formazione.
Torna oggi alla ribalta grazie a un
nucleo di intellettuali che hanno deciso di
riprenderne i tratti essenziali. Ne parliamo
con Enrico Galoppini, saggista e traduttore
dall’arabo. Ha insegnato per anni Storia dei
Paesi islamici presso le Università di Torino
e di Enna. È redattore della rivista di studi
geopolitici «Eurasia» (
www.eurasia-rivista.
org). Collabora e ha collaborato a riviste
e quotidiani tra cui Limes, Imperi, Eurasia,
Levante, La Porta d’Oriente, Kervàn, Africana.
Ha pubblicato «Il Fascismo e l’Islàm»
(Edizioni «All’Insegna del Veltro», Parma
2001) e «Islamofobia. Attori, tattiche, finalità
» (Idem, 2008).
Che cosa si deve intendere per Eurasia e quali
sono i vostri principali autori di riferimento?
«Con Eurasia non s’intende un ipernazionalismo,
né un ambito territoriale di cui andrebbero
definiti i confini. Eurasia non è
la somma di Europa ed Asia. Eurasia è un’idea-
forza evocante la sostanziale unità delle
civiltà del cosiddetto "Vecchio mondo".
Privilegiando ciò che unisce anziché ciò che
divide, tale concetto è antitetico a quello dello
scontro di civiltà: Eurasia è in un certo
senso sinonimo di dialogo di civiltà. Quanto
agli autori di riferimento, non abbiamo
dei guru da seguire deterministicamente.
Il nostro approccio è infatti geopolitico,
quindi improntato a realismo e pragmatismo,
non ideologico, dunque utopico-emozionale.
Ma se vogliamo indicare alcuni autori
per noi importanti, posso citare Lev N.
Gumilëv e Franz Altheim (etnogenesi di vari
popoli europei ed asiatici), Mircea Eliade
(comparazione delle religioni e dei miti),
Georges Dumézil ed Emile Benveniste (studi
indoeuropei), Nicolaj S. Trubeckoj (eurasiatismo
russo), Giuseppe Tucci e vari "tradizionalisti"
come Guénon, Cooramswamy,
Burckhardt e Nasr».
Quali scenari prevede nei rapporti tra il mondo
islamico vicino e mediorientale e quello cristiano-
occidentale?
«È essenziale il recupero del ruolo del Mediterraneo
quale "mare interno" con una naturale
vocazione all’incontro tra culture e al
consolidamento di duraturi rapporti economici
e politici tra i popoli che ne abitano
le sponde e non solo, poiché il Mediterraneo
mette in comunicazione l’Europa propriamente
detta sia con l’Asia che con l’Africa,
per cui si configura come un crocevia
del "Vecchio mondo". Questo spazio,
però, per svolgere questa funzione, deve essere
libero dai condizionamenti di potenze
esterne che con la dottrina (operativa) dello
scontro di civiltà evidenziano l’interesse
a fomentare discordie per privilegiare i
loro disegni. Ma se gli europei continueranno
a concepire se stessi come "occidentali",
considerando la maggioranza dei popoli
dell’Eurasia come "orientali", non vi sono
motivi d’ottimismo. Una puntuale conoscenza
della civiltà islamica è un buon antidoto
contro derive occidentaliste, così come
il superamento di un’idea di un’entità
politico-amministrativa (ma non geopolitica)
circoscritta alla "penisola" estremo-occidentale
dell’Eurasia con caratteri esclusivi
rispetto ai suoi immediati vicini (Turchia
e Russia sono fondamentali per una
pax eurasiatica)».
Secondo lei le guerre che si stanno combattendo
in Afghanistan e Iraq sono anche guerre di
religione?
«Queste guerre sono state scatenate dagli
occidentali per motivi strategici e di dominio.
Ma a livello di opinioni pubbliche
viene data l’impressione che la posta in gioco
sia identitaria. L’Iraq è stato invaso nel
2003 (dopo 12 anni d’embargo) solo grazie
alla debolezza della Federazione russa negli
anni 90. Esso doveva essere annientato
perché il suo governo non era disposto a
compromessi sulla "questione palestinese",
nient’affatto limitata al campo palestinese,
interessando, grazie alla sua portata strategica
e simbolica, l’intera Eurasia. Per quanto
riguarda l’Afghanistan, trovandosi al crocevia
tra Russia, Cina, India e Iran, la sua occupazione
- al di là degli interessi energetici
- rappresenta per gli occidentali una mossa
per procrastinare un’integrazione eurasiatica
per essi esiziale».
«Eurasia» è anche una rivista di geopolitica.
Quali scopi persegue?
«Eurasia è una rivista di studi geopolitici
che differisce da altre riviste di geopolitica
italiane per il suo taglio accademico e non
semplicemente divulgativo e giornalistico.
Non è tuttavia espressione di una particolare
scuola o metodologia interpretativa. Certo,
esiste un orientamento redazionale che
si risolve nell’analisi del presente e nella descrizione
di ipotesi di scenari realistici e alternativi
alla tendenza unipolare. Eurasia,
uno strumento per l’analisi e lo studio del
presente attraverso un approccio geopolitico,
nasce dalla constatazione del fatto che
le analisi economiche e politiche, condizionate
da ideologie e visioni del mondo, non
offrono una rappresentazione globale e realistica
dei nostri tempi; in particolare, non
riescono a fornire riposte ai problemi del
XXI secolo».