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Le Onde e la coscienza

di Marco Margnelli - 24/09/2009


Un panorama della scoperta e delle ricerche di psiconeurofisiologia e delle
ricerche sulle onde elettromagnetiche del cervello

Nel 1924, quasi casualmente, Hans Berger, un ricercatore di origine belga
che si era trasferito in Germania "scoprì" ( sono tentato di scrivere "si
accorse") che il cervello è un produttore di onde elettromagnetiche. Come
prevedibile, il significato della sua scoperta assunse un adeguato spessore
solo molti anni dopo la pubblicazione delle sue osservazioni sperimentali
(circa una decina), allorché i codificatori delle scienze sperimentali (in
questo caso i fisiologi), attivi nelle università, si applicarono alla
ripetizione degli esperimenti di Berger e alla comprensione dei meccanismi
che davano luogo a un "tanto inusitato" o "insospettabile" fenomeno. La
cautela degli scienziati di allora (come quella di quelli di oggi) non era
ingiustificata: Berger non era un fisiologo, la sua preparazione
elettrofisiologica era praticamente nulla e anche di elettrologia ne sapeva
molto poco. C'erano dunque tutte le premesse per agire con cautela. Dapprima
Berger impiegò un galvanometro di Edelman, un strumento assai poco sensibile
in confronto alle odierne apparecchiature; in seguito impiegò ovviamente
degli amplificatori a valvole. Anche ammesso che quanto aveva registrato con
questi strumenti molto primitivi avesse importanza, occorreva innanzitutto
decidere se si trattasse di un vero fenomeno e non di "artefatti", magari
dovuti alla primitività degli strumenti, ma comunque occorreva un lungo
lavoro.

A distanza di più di mezzo secolo, sappiamo che Berger aveva scoperto un
fenomeno genuino, e anche importante, e che la sua scoperta ha avuto
sviluppi ampi e decisamente utili per l'umanità e il progresso delle scienze
mediche.

Nel 1924 l'elettrofisiologia era agli albori: tanto quanto oggi si potrebbe
immaginare tra la fisiologia e il magnetismo (quello vero, quello delle
calamite, e non il "magnetismo animale" di Messmer), sicché la spiegazione
di come il cervello potesse produrre elettricità appariva fantascienza
piuttosto che solido cartesianesimo.

Non di meno molti credettero alla scoperta di Berger e si buttarono nello
studio sperimentale della fenomenologia elettrica del cervello, dando luogo
a una preziosa branca della semeiologia neurologica che oggi è correntemente
usata: l'elettroencefalografia.

L'attività elettrica del cervello come quella di qualunque oggetto
produttore di elettricità, può essere quantificata secondo la legge di Ohm:
E = I x R, ovvero potenziale = intensità per resistenza.

Per varie ragioni che non sono state scoperte da Berger, si è scoperto che è
più utile e significativo studiare le variazioni di potenziale piuttosto che
le altre e queste vengono registrate solo dalla superficie corticale del
cervello piuttosto che da altre regioni. In altre parole,
l'elettroencefalogramma (EEG) è l'espressione delle variazioni di potenziale
della corteccia del cervello in ogni istante di una registrazione.
Naturalmente queste variazioni variano da un punto all'altro della
superficie corticale (per es., dai poli frontali a quelli occipitali), ma si
è scoperto che queste variazioni seguono una logica precisa, o meglio,
seguono una precisa simmetria, che non è solo antero - posteriore ma è anche
speculare tra un emisfero e l'altro, cosicché una volta studiate tutte le
possibili variazioni in funzione di elementi relativamente banali, quali
l'avere gli occhi chiusi o aperti, l'essere seduti o distesi, il non pensare
a nulla o l'essere impegnati in un complicato calcolo mentale, l'aver
assunto certe sostanze piuttosto che muovere una mano ritmicamente, si è
venuti in possesso di uno strumento interpretativo decisamente utile: può
essere usato per fare diagnosi di tumori cerebrali, di epilessia, di lesioni
degenerative di varie strutture profonde, di insufficienze vascolari e così
via.

Il principio fondamentale dell'EEG sembra essere la sincronizzazione o la
desincronizzazione delle migliaia di neuroni la cui attività dà, appunto,
luogo al tracciato elettrocorticale.

Per capire questo concetto, solitamente si ricorre a un paragone
audiovisivo: immaginate un cinematografo o un teatro o, insomma, un luogo
nel quale siano riunite moltissime persone. Immaginate che questo assieme di
individui non sia altro che la corteccia cerebrale, e cioè un'assemblea di
neuroni (di elementi modulari). Se tutti gli individui (tutti i neuroni)
parlano tra loro, a voce alta o bassa, rivolgendosi a un solo altro
individuo, oppure a tre o a quattro persone, il risultato sarà un
chiacchiericcio indistinto e inintelligibile, sarà una "asincronia"
d'attività dei singoli moduli. Se invece un coordinatore salisse sul palco
del teatro e guidasse l'attività dei convenuti, dicendo, per es., "Al mio
comando, urlate la parola Maria", l'attività dei singoli moduli verrebbe
"sincronizzata" secondo precisi schemi spazio - temporali.

L'EEG funziona proprio così: nella veglia, tutti i neuroni scaricano
capricciosamente a caso, uno: indipendentemente dall'altro, in modo
asincrono, dando luogo a un ritmo, chiamato "beta", che è composto da onde
di potenziale piccole, frequenti e diverse una dall'altra. In una condizione
di sincronizzazione, invece, come per esempio nel ritmo alfa, la maggior
parte dei neuroni della corteccia scarica nel medesimo istante in cui
scaricano tutti gli altri e il risultato non può essere altro che una
"ordinata" sequenza di onde ampie e regolari, così come verrebbe avvertita
la voce del pubblico nel cinematografo dell'esempio fatto prima, quando il
coordinatore desse il "via" alla pronuncia della parola "Maria". Sulla
semplice base di queste due condizioni opposte, l'elettroencefalografia è in
grado di diagnosticare un disturbo: è ovvio che se quando ci si aspetta del
ritmo alfa in un determinato punto della superficie corticale si vede invece
un altro ritmo, in quel punto c'è qualcosa che non va. Come se, nel nostro
cinematografo, un gruppo di spettatori si fosse addormentato e non
partecipasse più alla pronunzia collettiva del nome "Maria".

Il fatto è che in condizioni di normalità, in condizioni fisiologiche,
esiste effettivamente un "coordinatore" dei ritmi e che quando esso stesso
non funziona bene, tutta l'attività EEG ne risulta alterata.

Per la verità, esistono diversi coordinatori principali (che regolano I'EEG
degli stati di coscienza; quali la veglia, il sonno o lo stato di sogno) e
dei coordinatori secondari, che partecipano o contribuiscono all'attività
generale, o meglio, finale, perché essendo l'EEG la registrazione
dell'attività della corteccia è come l'espressione dello stato della
superficie di un lago: se nelle profondità si manifestano delle turbolenze,
in superficie si vedranno onde o gorghi in corrispondenza dei punti di
turbolenza profondi.

E', per esempio, il caso dell'epilessia, che si manifesta proprio così: come
una tempesta proveniente dalle profondità, che sconvolge l'ordine elettrico
della corteccia (e non solo quello).

Fin dagli albori dell'elettroencefalografia (ma anche in epoca
contemporanea) si era sperato che lo studio dell'attività elettrica del
cervello potesse aiutarci a capire qualcosa del funzionamento della psiche,
del pensiero o di altri fenomeni, magari straordinari. In realtà il rapporto
tra onde EEG e stati psichici e/o mentali è molto grossolano, anche se, come
si vedrà, tali relazioni possono essere sfruttate con ottimi risultati. La
Convenzione Elettroencefalografica Internazionale codifica quattro ritmi
principali, ai quali sono correlati altrettanti stati di coscienza più o
meno riconoscibili. Il ritmo beta è quello compreso tra i 13 e i 32-45 Hertz
(lo Hertz è l'unità di misura dei fenomeni oscillatori e cioè il numero di
oscillazioni al secondo) Il beta è il ritmo caratteristico dello stato di
veglia e tende alle alte frequenze in funzione dell'attività, mentale in
corso (per es., sforzo attentivo, calcolo mentale, stato emozionale intenso,
ecc.). Le frequenze si abbassano in situazioni inverse, che si avvicinano al
rilassamento. Il beta è anche il ritmo che caratterizza lo stato di sogno:
malgrado il corpo sia profondamente rilassato (addirittura
contemporaneamente paralizzato), il cervello, o meglio la corteccia
cerebrale, sono attivi come durante la veglia. Questa apparente
contraddizione ha fatto sl che il sonno con sogno, negli anni sessanta,
venisse anche chiamato "sonno paradosso".

Il ritmo alfa è quello compreso tra gli 8 e i 12 hertz. E' un ritmo che
nasce spontaneamente nelle regioni posteriori del cervello, con la semplice
chiusura degli occhi. Se dopo ciò, il soggetto si rilassa intenzionalmente,
il ritmo si diffonde a tutto il mantello cerebrale e aumenta di ampiezza. Lo
stato interno che i soggetti in alfa avvertono è generalmente di quiete e
benessere, ma non mancano coloro che hanno un'esperienza sgradevole, di
inquietudine e di lieve angoscia.

Un ritmo alfa stabile di grande voltaggio (con onde ampie) è certamente
associato a un buon grado di "distacco dalla realtà", nel senso che, per
mantenerlo, un soggetto deve essere in grado di non prestare attenzione agli
stimoli ambientali e per riuscire in questo deve essere in grado di
concentrare l'attenzione su "oggetti" interni, siano essi sensazioni,
immagini, pensieri. Poiché una simile pratica è ciò che fanno da secoli i
meditatori sia orientali che occidentali, il rimo alfa è stato considerato
una specie di porta di passaggio verso l'autocontrollo interiore. Ciò è
rigorosamente vero, come dimostrò un esperimento su maestri yoga che
riuscivano a continuare a produrre alfa stabile e di grande ampiezza
malgrado dovessero tenere una mano immersa nell'acqua ghiacciata. I non
meditatori non sono in grado di fare ciò. Tuttavia, l'allenamento a produrre
alfa non ha grandi effetti terapeutici, come dire che calma la mente, ma non
raggiunge il livello somatico, a meno che non venga associato ad altre
pratiche, quali per esempio visualizzazioni fisse o simboliche,
visualizzazioni dinamiche, percezione ragionata di segnali somatici.

Nel 1958 un ricercatore californiano, Joe Kamyia, mise a punto la tecnica di
addestramento per imparare a produrre ritmo alfa stabile e di grande
ampiezza. Oggi questa tecnica fa parte delle tecniche note come Biofeedback
e non è difficile diventare buoni produttori di alfa in dieci sedute. In
pratica, si viene collegati a un encefalografo che registra l'attività di un
intero emisfero. Mediante un sistema di filtri e di conversione dei segnali,
tutte le volte che si entra nel ritmo alfa, lo strumento invia un segnale in
modo che si è in grado di capire come fare e cosa fare per continuare a
produrlo. L'addestramento viene solitamente fatto in posizione distesa e il
segnale di feedback viene ricevuto in una cuffia stereofonica, in modo da
poter tenere gli occhi chiusi e "l'attenzione dentro".

Come si è detto, questa pratica ha scarse virtù terapeutiche (mentre in un
primo tempo si era pensato che potesse avere le stesse virtù di una
qualunque tecnica di rilassamento come il training autogeno) ma può ben
essere considerata come punto di partenza per un percorso di autocontrollo
degli stati interni, la cui utilità va oltre la terapia dell'ansia e dello
stress. Dopo l'alfa, la Convenzione Elettroencefalografica riconosce come
individualizzabile un altro ritmo, il theta, che ha frequenze tra i 4 e gli
8 Hertz e che, in condizioni fisiologiche, viene prodotto in grande quantità
(fino ad occupare il 90% del tracciato EEG) durante la fase
dell'addormentamento, detta anche fase di presonno oppure stato ipnagogico.

Il theta è un ritmo molto interessante: allo stato di veglia, quando se ne
produce un po' per qualche secondo, sembra essere associato all'emersione di
ricordi remoti oppure a uno stato come di sospensione sognante tra due
realtà. Queste sono anche le caratteristiche dello stato ipnagogico, stato
che tutti viviamo prima di addormentarci: sappiamo pertanto che è uno stato
molto piacevole, nel quale l'attività mentale è centrata sul ricordo della
giornata o su fantasie di futuribili. Le ricerche hanno tuttavia dimostrato
che lo stato ipnagogico è anche caratterizzato da altre fenomenologie che
sfuggono a chi lo vive per quei pochi secondi che precedono il sonno, ma che
si riescono ad avvertire se lo si vive più a lungo. Innanzitutto, la
coscienza è come sdoppiata: la coscienza vigile, sebbene in uno stato
crepuscolare, "assiste", per così dire, all'emersione nella scena percettiva
di materiali intrusivi, estranei (non pensati) che sembrano talvolta veri e
propri brani di sogni. E in effetti, la coscienza della veglia può osservare
quella del sogno, perché per questi attimi le due coscienze coesistono. Il
materiale intrusivo consiste in vere e proprie allucinazioni che possono
essere visive, uditive, tattili, cinestesiche e che come tutte le
allucinazioni possono essere talmente vivide da indurci a "controllare" la
loro verità, nel senso che se si era udita una voce si aprono gli occhi per
vedere chi c'è nella stanza, se si aveva avuto una sensazione di "presenza",
si accende la luce per vedere chi si è introdotto in camera da letto, se si
aveva avuto la sensazione di essere toccati, si ha lo spavento di pensare un
estraneo tra le lenzuola. Le allucinazioni visive, molto piacevoli, vengono
ricordate anche nei giorni successivi. Nello stato ipnagogico compare un
tipo di pensiero, detto associativo, o primario, che è caratteristico del
sogno e, quel più conta, la coscienza della veglia che è attiva, registra
ciò che il pensiero associativo ha pensato, e lo ricorda. In pratica, la
situazione assomiglia ad un assopirsi e ad un risvegliarsi continuamente, in
modo dolce e sognante, perché non ci si addormenta come non ci si sveglia
del tutto.

Il pensiero associativo sembra essere quello delle intuizioni geniali,
dell'improvvisa risoluzione di problemi tormentosi, quello delle
illuminazioni esistenziali e da ciò si capisce quali potrebbero essere i
vantaggi di autoindursi lo stato ipnagogico a volontà. L'addestramento a
produrre onde theta non è diverso da quello descritto per il biofeedback
alfa: la strumentazione è la stessa, l'esercizio di concentrazione -
rilassamento è uguale, le difficoltà solo un poco più impegnative.

Gli effetti di un training theta vanno oltre l'autogestione della
creatività. Innanzitutto possono costituire l'inizio di un percorso di
autocoscienza più incisivo di quello che può innestare un training alfa. E
poi si ha la netta impressione di entrare in contatto con una realtà
trascendente al tempo stesso affascinante e paurosa.

Per quel che riguarda le allucinazioni :visive, per es., si tratta di
simboli, volti, occhi oppure di scene, vere e proprie, spesso provenienti da
ricordi di vita vissuta, da sogni già fatti, da film o spettacoli
televisivi, ma spesso anche di scene completamente aliene alla memoria del
passato, che si accompagnano alla sensazione che si tratti di premonizioni,
squarci nel velo del futuro, come se nello stato ipnagogico possano operare
quelle mitiche possibilità extrasensoriali che molti riconoscono al nostro
cervello. Più spesso, le allucinosi visive fanno vivere esperienze
emblematiche che si ritrovano nella simbologia esoterica di varie tradizioni
culturali, quale per es., l'esperienza del tunnel, ovvero l'esperienza di un
- passaggio, difficile e pauroso, attraverso una cavità oscura, un cunicolo
penoso al di là del quale brilla il sole, fioriscono gli alberi e regna la
pace imperitura: quasi l'esperienza di una rinascita. Anche le allucinazioni
uditive sono talvolta intrise di questo significato ultimativo: una voce
sconosciuta, maschile o femminile, ma autorevole, detta regole, suggerisce
cambiamenti, prescrive nuovi comportamenti.

Molti ricercatori sono giunti alla convinzione che coloro che praticano
intensamente la meditazione, raggiungono inconsapevolmente lo "stato theta"
e confondono i fenomeni allucinatori che vi si manifestano con avvenimenti
sovrannaturali. La psichiatria chiama questa possibilità col nome di
illusione. L'illuso è in buona fede, ma i fenomeni che vive sono percezioni
devianti e non extraumane.

E' in questo senso che un training theta innesca un percorso autoconoscitivo
più profondo di quello che intraprende un produttore di alfa: quando arriva
ad incrociare "l'irrealtà della realtà", deve far fronte a dei dubbi che
mettono in discussione non solo la realtà individuale, ma addirittura il
mondo. Non a caso le filosofie orientali sostengono che la realtà è maya,
illusione.

Il ritmo theta, dunque, sembra essere la regione elettroencefalografica più
interessante di tutto lo spettro. Sembra essere quello che corrisponde a uno
stato di coscienza molto connotato, facilmente riconoscibile e decisamente
diverso dallo stato di coscienza ordinario. L'ultimo ritmo che la Convezione
EEG Internazionale riconosce come autonomo, infatti, il ritmo delta (che ha
frequenze comprese tra 0,5 e 4 Hertz) non corrisponde a vissuti
particolarmente incisivi, anzi, corrisponde piuttosto a una sensazione di
vuoto e di buio che ad un'esperienza con contenuti degni di memoria.

Grandi quantità di ritmo delta nell'EEG, in condizioni fisiologiche si
trovano solo negli stadi più profondi del sonno senza sogni, mentre in
condizioni patologiche il ritmo delta caratterizza l'EEG del coma.: Ambedue
le situazioni a loro volta sembrano caratterizzate da un "riposo funzionale"
dei cosiddetti centri nervosi superiori e una riduzione dell'attività in
corrispondenza delle parti più profonde del cervello. Di fatto, sia il sonno
profondo che il coma non hanno memoria. Il vissuto di chi si sottopone a un
training delta è perlopiù sgradevole, caratterizzato da sensazioni di
irrigidimento muscolare e senso di minaccia incombente.

Un tempo si pensava che il ritmo delta caratterizzasse certi tipi di trance,
come quella medianica, durante la quale la tradizione pretende che uno
spirito o comunque un'entità, si sostituisca temporaneamente alla
personalità, alla mente e alla psiche dell'ospite, e cioè del medium. Le
registrazioni EEG hanno smentito questa possibilità: la trance si accompagna
a vari ritmi, praticamente tutti, eccetto il delta.

L'entusiasmo iniziale degli elettroencefalografisti (come quello attuale, di
chi non ha molta familiarità con l'elettroencefalografia) sulla possibilità
di correlare certi tipi di onde ad altrettanti fenomeni o stati di
coscienza, ha dovuto ridimensionarsi notevolmente di fronte alla complessità
della materia.

E' certamente possibile essere addestrati a produrre ritmi precisi per
periodi di tempo anche lunghi, ma questa pratica non dà risultati
entusiasmanti. E' un po' come se, sapendo che l'EEG del sogno è
caratterizzato da ritmo beta, ci si addestrasse non solo a sognare (a
entrare in stato onirico) ma si pretendesse di fare sempre lo stesso sogno.

L'EEG normale è una miscela di tutti i ritmi: il beta e l'alfa predominano,
costituendo circa il 90/95% delle frequenze. Il resto è theta (3/ 4%) e
delta (addirittura 0,5/1%).