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Germania sempre meno tedesca

di Gianfranco la Grassa - 29/09/2009

Le elezioni di domenica in Germania sono indubbiamente andate secondo le previsioni; un se-gnale vi era già stato poche settimane fa con le elezioni regionali in tre länder. Interessante il calo dell’affluenza (72%), con andamento continuo dal 2002 al 2005 a oggi. Tuttavia, non se ne traggano chissà quali conclusioni strampalate. Queste ultime saranno quasi sicuramente fantasticate dai nostri settori di sinistra “estrema” (sto usando le solite, stantie, etichette, tanto per intendersi) in merito alla crescita dei verdi e soprattutto della Linke, che sarà salutata da alcuni beoti come il ritorno di una esigenza di trasformazione sociale anticapitalistica.
La Linke è radicata soprattutto nelle regioni della vecchia RDT (la Germania detta orientale e presunta comunista). Vi sono in quelle zone quote di nostalgici, ma soprattutto gente che indubbia-mente si sentiva maggiormente assistita poiché il socialismo, come ormai era in voga in tutti i partiti comunisti (anche occidentali), era semplicisticamente identificato con lo statalismo più spinto. In realtà, si tratta di una formazione politica che vuole un po’ di protezione sociale in più e che quindi, in specie in questa fase di crisi (probabilmente endemica), avrà il compito (comprensibile e giustifi-cato) di chiedere protezione per settori sociali particolarmente deboli, maggiormente esposti agli effetti della crisi stessa. Credere che si abbiano in testa idee precise di trasformazione del capitali-smo – non limitate alla riproposizione di schemi vecchi e falliti da decenni – è semplice vaneggia-mento.
Questo tipo di sinistra non andrà mai al governo se non nell’ambito di alleanze (pressoché esclu-se per questa legislatura in Germania) con forze più moderate, che gestiscono la società capitalisti-ca, spesso per conto di frazioni dei dominanti perfino più conservatrici – sul piano della moderniz-zazione e sviluppo del sistema (che non significa semplice crescita del Pil) – di quelle che appog-giano organizzazioni politiche diversamente etichettate. I verdi poi – il cui leader è il presidente del gasdotto Nabucco, controllato dagli Usa e utilizzato contro gli interessi italo-russi in campo energe-tico – sono al momento fautori di una politica estera del tutto contraria ad un minimo di autonomia nazionale (ed europea) rispetto al paese preminente ancor oggi nel mondo, sia pure finalmente insi-diato da altri poli in rafforzamento.
E’ precisamente su questo punto che le elezioni tedesche sono decisamente negative. La social-democrazia prende la più solenne batosta della sua storia del 1949. Contrariamente a quanto qual-cuno può pensare, il sottoscritto e gli altri amici del blog non sono contro ogni forza etichettata co-me sinistra, qualsiasi sia la sua linea politica, in specie in politica estera. Non so se tutto il partito socialdemocratico, ma senz’altro una sua parte fondamentale il cui leader è Schroeder, è per una politica estera, o almeno pezzi decisivi della stessa, orientata ad est, verso la Russia in particolare. L’ex Cancelliere lo fa anche per suoi interessi (non credo però personali, ma di partito o di una sua corrente rilevante)? Si stufino pure i lettori della mia costante e ripetitiva frase, ma risponderò sem-pre che “mi aspetto la buona carne dall’egoistico interesse del macellaio, non dalla sua benevolen-za” (Adam Smith); anche perché la benevolenza è sempre (non spesso, ma sempre) pura ipocrisia di chi persegue suoi interessi ancora più particolari e contrari ad ogni pur minimo vantaggio per la col-lettività o per la sua maggioranza.
La sconfitta dei socialdemocratici si unisce al successo dei liberali, il partito filoatlantico per ec-cellenza (assieme ai verdi), cioè il più succube e asservito agli Stati Uniti. Democristiani (assortiti) e liberali hanno, in fatto di seggi soprattutto, la possibilità di governare con una certa tranquillità. Nella coalizione che sembra ormai sicura, la Dc della Merkel, già assai ambigua in politica estera, si è ulteriormente indebolita – secondo un trend continuamente discendente dal 2002 (38%) al 2005 (35) ad oggi (33) – mentre i liberali hanno seguito la strada inversa arrivando al 14%. Salvo impre-visti, che non riesco ad immaginare, la politica tedesca dovrebbe divenire sempre meno autonoma e rafforzerà il già indubbio asservimento degli organismi europei al paese d’oltreatlantico.
Negli ultimi mesi, alcuni fatti hanno mostrato un indebolimento della politica estera italiana per quanto concerne la capacità di mantenere un minimo di indipendenza; quel minimo per cui abbiamo sempre affermato che l’attuale Governo è, almeno sul piano internazionale (e di fronte alla crisi in atto), meno peggiore di quello precedente di Prodi e soprattutto rispetto ad uno possibile in futuro che intendesse recuperare la sinistra o il centro ecc. (usando le solite etichette ormai logore). Se si dovesse continuare lungo la linea involutiva degli ultimi mesi, penso che anche la Russia dovrà ri-vedere la sua tattica e strategia. Per il momento, mi sembra mostrare grande pazienza con l’Italia perché il suo “fronte occidentale” è assai importante. Se ci si limitasse al semplice discorso di mer-cato, la Gazprom ha aperti davanti a sé imponenti sbocchi in Cina e India, sempre più affamate di energia. Tuttavia, gli accordi con l’Italia e l’Eni corrispondono, come appena accennato, ad altri in-teressi di tipo strategico-internazionale. L’economia “pura” (quella degli “economisti scemi”, in re-altà disonesti e asserviti ad altre “bande”) non ha alcuna rilevanza; essa deve essere subordinata, e quindi lo è, ai (ri)equilibri internazionali, quelli del multipolarismo in fase di tortuosa avanzata.
Torneremo fra un po’ a discorrere più specificamente di Italia e Russia. Per il momento mi basta ricordare che si stanno restringendo i tempi per svolgere una nostra politica estera minimamente in-dipendente rispetto agli Usa. Queste elezioni tedesche li hanno ridotti ulteriormente; e il nostro premier sembra divenire, giorno dopo giorno, più “prudente” (leggi: contorto e “accontentatutti”). Non è una buona politica; non ci si scordi però mai chi sta dall’altra parte: pretesi “progressisti” che, con il mito (ipocrita) di Obama, sono pronti a riconsegnarci ai fasti del 92-93, quando ci si gio-cò quel po’ di autonomia che l’Italia aveva mantenuto grazie all’esistenza del campo sedicente so-cialista, scomparso nel 1989-91. Dobbiamo (dovremmo) andare oltre Berlusconi; mai però tornare a Franceschini, Bersani, D’Alema e compagnia varia (una gran brutta compagnia!).