Gravissimi incidenti si sono avuti nel Paese, con morti, feriti e, soprattutto all’est, un clima da guerra civile cui hanno ingenuamente contribuito migliaia di “nazionalisti” dell’una e dell’altra parte (turchi e curdi) caduti nel tranello dello scontro etnico.
Se a livello locale alcune commistioni tra DTP e i terroristi del PKK possono certamente essersi verificate, non c’è dubbio che il partito nel suo complesso, e la questione curda nella sua generalità, non meritavano un attacco così tranchant, destinato a creare una sorta di “muro” fra le parti e a mandare gambe all’aria la politica di unità nazionale e di tolleranza etnica perseguita dall’AKP.
Come osserva Doğu Ergil, ordinario di sociologia politica all’Università di Ankara : “L’AKP si sente estremamente solo riguardo all’iniziativa di apertura verso il mondo curdo che ha messo in moto : i partiti dell’opposizione hanno quasi completamente perso la loro base elettorale nelle provincie curde, ed è per questo che non vogliono prendere parte a iniziative che potrebbero irritare il loro elettorato di etnia turca. L’unico alleato dell’AKP fra i movimenti politici organizzati avrebbe potuto essere proprio il DTP”.
E se il Presidente della Repubblica Gűl ha mantenuto una posizione distaccata, esprimendo il rammarico che i dirigenti del partito messo al bando si fossero rifiutati di condannare esplicitamente il terrorismo separatista, Erdoğan è stato quanto mai esplicito: “La nostra posizione contraria all’interdizione del DTP è chiara. Noi riteniamo che singoli individui possano essere colpiti da sanzione, non un partito nella sua identità e generalità”.
La Commissione della UE lamenta da parte sua che la decisione di messa fuori legge rischia di “privare di rappresentanza politica una parte significativa dell’elettorato turco” e sembra spingere in direzione di una nuova tornata elettorale in quelle provincie dell’est in cui numerosi parlamentari del DTP sono stati eletti.
Ciò potrebbe rappresentare un’incognita per l’AKP e per il suo governo, sempre più inviso a livello internazionale dagli alfieri dell’Occidente. Un solo riscontro, il più recente : Tzipi Livni, leader dell’opposizione in Israele, rivolgendosi a giornalisti turchi in visita a Tel Aviv ha affermato che “è più appropriato per la Turchia stare nel campo dei moderati della regione, e riconoscere che il problema regionale è l’Iran, non Israele”. Dichiarazioni perfettamente in ordine con le posizioni del governo di Tel Aviv, e giunte subito dopo che il premier Erdoğan aveva minacciato una “risposta decisa” se aerei da guerra israeliani dovessero violare lo spazio aereo turco per attaccare l’Iran.