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Il dominio di una farmacopea micidiale

di Enea Baldi - 20/12/2009

 

 
Il dominio di una farmacopea micidiale
 

Quello di fare affari attraverso la gestione della farmacopea, è un mestiere che inizia un po’ di tempo fa. Una delle multinazionali che più di tutte, specie nell’ultimo decennio, ha fatto parlare di sé per gli scandali legati ai profitti economici ottenuti sulla salute della gente, è la GlaxoSmithKline.
Era il 1873, quando a Wellington, in Nuova Zelanda, l’ebreo inglese, Joseph Edward Nathan fonda la Joseph Nathan & Co., una società d’intermediazione commerciale da cui nascerà l’attuale GlaxoSmithKline, una delle multinazionali farmaceutiche che fanno parte di Big Pharma, otto società che da sole si spartiscono oltre la metà del fatturato complessivo mondiale.
Nathan inizia la sua attività nel campo dell’alimentazione con la produzione di latte in polvere che esporta prima in Inghilterra con il marchio Glaxo poi in altri paesi. Nel 1875 Mahlon Kline diviene azionista e la John K. Smith & Co. muta il proprio nome in Smith Kline & Co. In Italia, a Verona, nel 1932, la multinazionale fonda la Società Anonima Italiana Nathan Bompiani, che quattro anni dopo prenderà il nome di S.A. Italiana Laboratori Glaxo.
GlaxoSmithKline oggi fa parte di EuropaBio, un’associazione di industrie che ha lo scopo di promuovere la legalizzazione della produzione e dell’impiego di cibi geneticamente modificati. La multinazionale britannica è stata tra quelle contrarie alla “legge Mandela” che prevedeva per il Sudafrica l’importazione di farmaci contro l’Aids liberi dalle royalty e pertanto a basso costo.?Nel 2001 la società è stata denunciata in Ghana poiché si sarebbe adoperata affinché fosse impedita la vendita del farmaco anti-Aids a marchio DUOVIR - prodotto dall’impresa indiana - per poter vendere il suo prodotto CUMBIVIR che costava dieci volte di più.?La Glaxo, inoltre, è tra le imprese che sostengono l’ICBG, un consorzio governativo Usa che conduce ricerche in Messico per appropriarsi delle proprie erbe medicinali, così da consentire alle imprese statunitensi di brevettare nuovi farmaci a costi bassissimi.
Nell’ultimo decennio la GlaxoSmithKline ha subito più di una denuncia per presunti illeciti legati alla produzione di farmaci ad alto rischio per la salute pubblica, non ultimo quello del vaccino contro la febbre A. Ma andiamo per ordine.
A Verona, nel 2003, la consociata italiana è stata oggetto di uno scandalo che ha visto più di 500 medici inquisiti per prescrizione di farmaci in cambio di regali e denaro. Malgrado ciò nel gennaio scorso, il Tribunale di Verona ha ritenute infondate le accuse della procura, con la piena assoluzione anche dei medici imputati. ?Quello che era stato definito “il caso Glaxo” può quindi considerarsi chiuso, con il ribaltamento delle tesi accusatorie, così come gli altri processi nelle centinaia di sedi giudiziarie dove sono state disposte oltre mille archiviazioni richieste direttamente dalle Procure. Un’altra “storiaccia” in cui è stata coinvolta la Glaxo, è quella legata all’antidepressivo Paxil e in particolar modo al suo utilizzo sui bambini. Nel 2004 la multinazionale viene messa sotto accusa dalla procura di New York per aver “deliberatamente tentato di insabbiare i risultati di alcuni studi scientifici, in base ai quali il Paxil non solo era inefficace, ma poteva spingere al suicidio”. La Glaxo, ovviamente, ha respinto ogni accusa.
Ma non è solo la multinazionale britannica ad essere accusata di aver “sottovalutato” i rischi per la salute a vantaggio di onerosi introiti. Per quanto concerne l’argomento “febbre suina” poi, il coinvolgimento delle altre case farmaceutiche, visti gli interessi di produzione su larga scala, si fa ancora più “concorrenziale”. Chugai, Roche, Novartis... sono solo alcune delle società farmaceutiche accusate di aver volutamente minimizzato gli “effetti collaterali” dei vaccini immessi sul mercato. Se non fossero sufficienti le sostanze velenose - di cui il mercurio è solo la meno tossica (sic) - aggiunte al vaccino in qualità di “potenziatori” atti, secondo gli “esperti” a “migliorare la immuno-geneticità”, i dati relativi ai decessi in Italia aggiornati al 14 dicembre scorso, dovrebbero per lo meno far riflettere sulla “reale pericolosità” dell’Influenza A. “142”: lo si legge nel bollettino quotidiano del ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali che segue l’evoluzione della pandemia. “Tale numero - precisa il ministero - comprende i casi per i quali le autorità sanitarie regionali hanno confermato l’accertamento dell’infezione da nuovo virus A/H1N1”. La percentuale delle vittime correlate all’influenza A è stata aggiornata rispetto al numero totale di casi stimati da Influnet ed è pari a 0,0033 per cento dei malati, contro lo 0,2 per cento delle vittime correlate alla normale influenza. “Va considerato - aggiunge il ministero - che essendo la percentuale delle vittime calcolata considerando i casi clinici segnalati al sistema di sorveglianza, poiché questi sono molto probabilmente sottostimati, il valore potrebbe essere addirittura inferiore alla stima sopra riportata”.
Malgrado ciò, la campagna di demonizzazione nei confronti del virus A/H1N1 prosegue indisturbata e avallata sia dall’Oms che dall’Ue che, nel giugno del 2008, ha addirittura concesso la registrazione dell’additivo AS03 (un agente che si compone di squalene [10,68 milligrammi)], DL-?-tocoferolo [11,85 milligrammi] e Polisorbato 80 [4,85 milligrammi]). Il vaccino H5N1 contiene anche 5 microgrammi di tiomersale (mercurio etilico), così come Polisorbato 80, Octoxynol-10 e svariati sali inorganici. Qualche “sapiente” medico o luminare, a questo punto potrebbe obiettare il fatto che lo squalene è una molecola assolutamente innocua per l’organismo. A torto, coloro che dovrebbero vigilare sulla saluta pubblica però, ignorano (quando non sottovalutano) gli effetti dell’inoculazione di tale sostanza. Il nostro sistema immunitario riconosce lo squalene come una molecola d’olio appartenente al corpo. Essa si trova in tutto il sistema nervoso e nel cervello. Infatti, può capitare di assumere squalene anche attraverso il normale olio d’oliva. Il nostro sistema immunitario quindi, non solo lo riconosce quando è ingerito con gli alimenti, ma addirittura si avvale delle sue proprietà antiossidanti. La differenza dipende però dal metodo attraverso il quale lo squalene entra nel nostro corpo.
L’iniezione è una via d’ingresso anormale, che incita il sistema immunitario ad attaccare tutto lo squalene presente nel corpo e non solo quello contenuto nel coadiuvante inoculato. Il sistema immunitario, quindi, tenterà di distruggere la molecola ovunque si trovi, inclusi i luoghi in cui essa è vitale per la nostra salute.
In una ricerca del 2000 pubblicata dall’American Journal of Pathology, è stato dimostrato come una singola iniezione dell’adiuvante squalene sui topi, generi “una infiammazione cronica, mediata immunologicamente, sull’articolazione”, potenzialmente degenerativa in artrite reumatoide.
Dagli inizi degli studi sull’immunologia ad oggi, quello che “scienziati” (compiacenti ed ignoranti) hanno voluto far credere alla gente, è che fossero i vaccini (con virus uccisi, attenuati o non è la stessa cosa) a proteggere dalla malattia, quando invece è l’additivo a svolgere il lavoro di far aumentare la risposta immunitaria. Ma ciò che si ignorava ai tempi di Pasteur sui pericoli di queste sostanze, oggi non può più essere ignorato.  Questi additivi erano presenti anche nel vaccino contro l’epatite di tipo B, che é stato propinato a numerose persone molte delle quali hanno sviluppato la sclerosi multipla, la fibromialgia o la miofascite macrofagica…  Il dottor Moulden, in una recente intervista, ha spiegato, da parte sua, di aver messo a punto una nuova tecnologia in immagini mediche per evidenziare i disturbi e i danni neurologici prodotti dalle vaccinazioni. Moulden ha inoltre spiegato che i vaccini provocano una “iper-reattività” del sistema immunitario, nel corso della quale i leucociti (globuli bianchi) si precipitano ad attaccare i prodotti estranei presenti nel flusso sanguigno. Dato che questi ultimi sono troppo grandi per penetrare i piccoli capillari dove sono stati infiltrati i prodotti estranei, i leucociti finiscono per ostruire, bloccare e deteriorare questi capillari. La strada viene quindi interrotta dagli eritrociti (globuli rossi) più piccoli, che devono portare ossigeno ai diversi organi che si trovano vicino ai capillari, ostruiti dalle sostanze estranee. Queste particelle, che raggiungono il cervello, disturbando o impedendo la circolazione sanguigna, possono provocare l’autismo, la morte improvvisa dei neonati e molte altre malattie dei bambini o degli adulti. Siamo in presenza, quindi, di una scoperta importantissima, di cui però si nega l’informazione a favore della disinformazione.
Tornando al ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali, si dà il caso che fino al 14 dicembre scorso, era guidato dal ministro Maurizio Sacconi, a sua volta coniugato con Enrica Giorgetti, che è (udite, udite) direttore generale di Farmindustria. Anche chi non ha dimestichezza con certi affari comprende che siamo di fronte al tipico conflitto di interessi all’italiana. Insomma, il responsabile del dicastero che controlla la Salute pubblica ha una moglie che è al vertice di un colosso farmaceutico che, come dice la parola stessa, si occupa di farmaci, e quindi di salute pubblica.
Pochi giorni prima che fosse sostituito da Ferruccio Fazio, Sacconi ha concluso l’acquisto di circa 48 milioni di dosi di vaccino contro la febbre A, per un valore di 200 milioni di euro, un grande affare per le aziende e per Farmindustria che le rappresenta e che, come spiega il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano: “L’acquisto di 48 milioni di vaccini sarà una spesa non indifferente per le già malandate casse dello Stato e addirittura probabilmente inutile. Esiste, certamente una grande pressione da parte delle industrie, che da tale corsa trarranno molte risorse economiche”.
Premesso che non ci sono elementi per dubitare della professionalità della dottoressa Giorgetti, laureata in Giurisprudenza, nominata direttore generale di Farmindustria che fa capo a Confindustria, ex direttrice dei rapporti istituzionali e della comunicazione di Autostrade S.p.A. nonché direttore dell’Area  strategica impresa e territorio di Confindustria, resta il fatto che sia la moglie del ministro della salute: un fatto che non garantisce ai cittadini alcuna certezza di imparzialità nella gestione della salute pubblica.
Farmindustria riunisce oltre 200 imprese del farmaco operanti in Italia, nazionali ed estere, è soggetta ai controlli del ministero della Sanità/ Salute, controlli che vanno da quelli sull’avvio dell’impresa, di natura sanitaria e non sanitaria sugli stabilimenti, ai controlli sul prodotto a quelli sulla sua immissione in commercio e sulla presentazione del prodotto, a quelli sui prezzi, a quello sulla presentazione del farmaco in commercio (etichetta, foglio illustrativo e pubblicità) che riguarda la presentazione al pubblico del prodotto e le sue successive modificazioni.
Ma se da noi il fatto non è così eclatante da conquistare le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali, al di fuori del BelPaese non è così. La rivista scientifica britannica Nature, in un dettagliato articolo dal titolo “Clean hands, please” (Mani pulite, per favore) così descriveva qualche tempo fa la situazione italiana: “…Per di più le connessioni tra i ministeri della sanità e del welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette: per esempio la moglie del ministro Maurizio Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche…”.? Nature, che, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, dove la memoria è così corta da non ricordare nemmeno i fatti più recenti, rammenta quanto gli scandali nel nostro ministero della Salute abbiano origini non troppo lontane, infatti... “Il governo italiano - conclude Nature - dovrebbe pensarci due volte se può essere il caso di riaprire la porta che è stata sbarrata dopo i casi Poggiolini e De Lorenzo”.