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Ad Haiti un italiano con le palle

di Gianni Petreosillo - 25/01/2010

                          


 

L’uomo delle emergenze e delle crisi naturali, colui che ha risolto l’annoso problema dei rifiuti in Campania e che, a tempo di record, ha ridato la speranza agli abruzzesi dopo il tremendo terremoto dell’aprile 2009, il ‘rompiballe’ che la sinistra voleva togliersi dalle scatole perché troppo dinamico per i suoi standard di infingardaggine e di nullafacenza (lo so che questa parola non esiste in italiano ma nemmeno la sinistra se è per questo) viene spedito da Berlusconi ad Haiti e qui, il direttore della nostra protezione civile, tira fuori le palle annunciando agli statunitensi, senza peli sulla lingua, cosa pensa della loro gestione del disastro sismico: uno show patetico, una Hollywood di effetti speciali e di manovre militari senza nessuna premura per la vita delle persone e per la ricostruzione dell’isola caraibica. “Gli americani tendono a confondere l’intervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento, utile per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati. È stato fatto uno sforzo impressionante, encomiabile, ma non c’è una leadership.  Serve un uomo, serve un Obama che gestisca le emergenze…Clinton che scarica le cassette della frutta non è servito. Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito l’emergenza in prima persona, invece se n’è andato”. Altro che italiani campioni d’inefficienza, nei momenti tragici il nostro popolo sa dare l’esempio a tutti, primi della classe compresi. E sì che gli americani si sentono tali ma questa volta devono incassare le italiche rampogne senza poter accedere a scusanti, considerati i pessimi risultati del loro approccio militaristico alla emergenza umanitaria di Haiti. Nonostante l’imponente dispiegamento di forze gli statunitensi sono riusciti solo a metter qualche cerotto e a distribuire, disordinatamente, “cassette di frutta” alla popolazione, la maggior parte della quale non ha ancora alcun riparo e teme di essere aggredita dalle bande di sciacalli e di delinquenti che vagano per il paese.
Se si osserva il mondo esclusivamente dal mirino puntatore di un fucile o da quello di un cannone da carro armato, come fanno gli americani, non si ha la flessibilità giusta per convertirsi alle operazioni di soccorso. Ma poi gli Usa sono veramente sbarcati ad Haiti per dare una mano? E’ lecito dubitarne…

 

Bertolaso: «Ad Haiti gli Usa confondono l’intervento militare con l'emergenza» (fonte corriere.it)

Il capo della Protezione civile: «Situazione patetica, manca un coordinamento. Troppi show per la tv»
MILANO
- «Ci sono enormi organizzazioni coinvolte e moltissimo da fare, ma la situazione è patetica, e tutto si sarebbe potuto gestire molto meglio». Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, critica duramente la gestione degli aiuti dopo il terremoto di Haiti. E, durante la trasmissione "In mezz'ora" su Raitre, spiega che «il mondo poteva dare prova di poter gestire al meglio una situazione come questa, ma finora non ha funzionato». Riguardo alla massiccia presenza di forze militari Usa, Bertolaso ha aggiunto: «Era inevitabile e indispensabile una forte presenza dell’esercito americano, anche se i 15mila uomini non sono utilizzati in modo migliore. Le navi ospedale, le portaerei, non hanno rapporti stretti con il territorio, con le organizzazioni umanitarie che sono presenti sul posto. Ognuno fa la sua parte, ma in modo svincolato».
TECNICA D'INTERVENTO - «Gli americani - ha aggiunto - tendono a confondere l’intervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento, utile per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati. È stato fatto uno sforzo impressionante, encomiabile, ma non c’è una leadership. Serve un uomo, serve un Obama che gestisca le emergenze». Ed anche «Clinton che scarica le cassette della frutta» non è servito. «Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito l’emergenza in prima persona, invece se n’è andato». La «tecnica d’intervento» ad Haiti applicata dagli Usa, secondo  Bertolaso, è quella già usata in passato a Goma, Ruanda e Cambogia. «Si viene qui, si dà un po’ da mangiare, bere e il problema per loro è risolto, ma è una contraddizione se non si pongono le basi per la vita futura».
BELLA FIGURA - «Troppo spesso - rileva Bertolaso - una volta arrivati sul luogo di un disastro, si pensa subito a mettere un grande manifesto con lo stemma della propria organizzazione, a fare bella figura davanti alle telecamere, piuttosto che mettersi a lavorare per portare soccorso a chi ha bisogno».