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Netanyahu non intende restituire il Golan alla Siria

di Francesca Dessì - 07/02/2010

     
 
Lo scontro verbale dei giorni scorsi, tra gli alti esponenti di Siria e Israele, riguardo al possibile inizio di una nuova guerra si è tramutato di colpo in uno strano silenzio. I toni alti usati dal ministro degli esteri di Tel Aviv Avigdor Lieberman hanno improvvisamente lasciato spazio a una lunga serie di indiscrezioni. La prima riguarderebbe proprio il motivo del ritrovato dono del silenzio da parte dell’iracondo leader laico radicale che sarebbe da attribuire, secondo quanto riferito da una fonte dell’esecutivo israeliano al quotidiano locale Ma’ariv, ad una circolare interna emessa direttamente dal premier Benjamin Netanyahu nella quale si chiede che i ministri non mettano più bocca sulla questione. Il capo del governo sarebbe infatti intenzionato a riprendere i colloqui con Damasco sia direttamente, sia attraverso la mediazione di parti terze, che in questo caso potrebbero essere rappresentate da Roma e Madrid. Sempre secondo quanto riferito da Ma’ariv, infatti, un messaggio in questo senso sarebbe stato inviato al presidente siriano Bashar al Assad dallo stesso Netanyahu attraverso il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos. Quest’ultimo è rientrato giovedì in patria dopo una serie di visite diplomatiche proprio a Damasco. Tagliata fuori dunque dal processo di intermediazione diplomatica la Turchia, che fino allo scorso anno si era occupata della questione. Un ulteriore segnale della crisi che attraversa le relazioni tra Tel Aviv ed Ankara, incrinatesi dopo l’aggressione sionista alla Striscia di Gaza del dicembre 2008 e che oggi stanno portando Erdogan a sposare la linea politica del blocco dei Paesi, secondo Washington, “non allineati” del Vicino Oriente.
L’intenzione di Netanyahu tuttavia, come nel caso dei negoziati con l’Autorità nazionale palestinese, è quella di riaprire le trattative “senza precondizioni”. La qual cosa non sta a significare che Israele non ha alcuna condizione da porre per la ripresa dei negoziati, ma che non intende in nessun caso restituire alla Siria le alture del Golan, delle quali si è ingiustamente appropriata nel 1967 durante la guerra dei sei giorni. A questo si aggiunge la consueta pressione esterna esercitata dagli Usa, i quali attraverso il dipartimento di Stato hanno invitato a riprendere al più presto i colloqui  ma “senza compromettere la sicurezza di Israele”. Ancora una volta dunque, quando da Damasco arriverà il giusto rifiuto a queste che di fatto sono delle condizioni, sarà Tel Aviv a fare la parte del buono in questa nuova farsa.