Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iran: un finale già scritto?

Iran: un finale già scritto?

di Simone Santini - 10/02/2010

Mentre le immagini di esercitazioni missilistiche in Iran, anche quando si tratta di test dell'industria aero-spaziale nazionale, riempiono gli schermi dei notiziari occidentali, ingenerando l'impressione di una incombente e oscura minaccia, ben poca eco ha invece avuto il dispiegamento voluto da Obama delle batterie di missili patriots nei paesi arabi del Golfo persico.
Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi. Ognuno di questi paesi, secondo il generale Petraeus, riceverà due batterie di sistemi di missili anti-missile difensivi denominati patriots, mentre negoziati sono in corso con l'Oman. Il termine "difensivo" non deve trarre in inganno. Il sistema è concepito per rispondere ad eventuali rappresaglie iraniane in seguito ad un attacco che coinvolga la penisola arabica come corridoio aereo. In questo modo Washington intende ottenere una serie di risultati: accrescere la pressione su Teheran; rassicurare i paesi arabi vicini senza l'intervento sul posto di truppe che potrebbero contrariare le opinioni pubbliche di quei paesi; calmare e dissuadere Israele da un attacco preventivo.
I paesi arabi del Golfo sono sempre più inquieti a fronte della tensione internazionale che cresce fra Iran e Occidente e per quella che viene avvertita come una intensificazione del paese persiano quale potenza regionale, con effetti destabilizzanti verso le proprie minoranze sciite interne.
Da più parti, ormai, ed in maniera sempre più esplicita, si ammette che la crisi sul nucleare possa sfociare in un aperto conflitto. Secondo il Washington Post il coordinamento militare tra gli Usa e questi paesi si sta rafforzando sempre più strettamente negli ultimi anni. Con l'aiuto americano l'Arabia Saudita sta allestendo una armata che conta circa 30mila uomini. Gli Emirati Arabi Uniti, principale cliente bellico degli Usa, hanno speso nell' ultimo biennio 17 miliardi di dollari per sistemi di difesa elettronici ed aerei da combattimento (tra cui 80 F-16).
L'Iran ha dunque comunicato alla AIEA l'intenzione di procedere unilateralmente all'arricchimento del suo uranio dal 3,5% al 20% per usi civili (nella fattispecie per il settore medico radiologico). La notizia è giunta dopo giorni di passione.
Lo scorso 2 febbraio, il leader dell'opposizione Mir Hossein Mussavi aveva lanciato un durissimo attacco contro le istituzioni statali, arrivando a delegittimare dalle fondamenta il sistema della Repubblica islamica nato dalla rivoluzione e che "mostra le radici della tirannia e della dittatura [...] Non c'è dittatura peggiore di quella in nome della religione [...] La più evidente manifestazione di un atteggiamento tirannico sono i ripetuti abusi del parlamento e del potere giudiziario, in cui abbiamo completamente perso speranza [...] Reprimere i media, riempire le prigioni e uccidere brutalmente persone che pacificamente chiedono il rispetto dei propri diritti dimostra che le radici della tirannia e della dittatura sono rimaste intatte dall'epoca della monarchia. Non credo che la rivoluzione abbia raggiunto i suoi obiettivi".
Le dichiarazioni di Mussavi anticipavano di poche ore una apertura di Ahamdinejad all'Occidente sulla possibilità di trasferire il nucleare all'estero: "Non c'è davvero alcun problema. Taluni si agitano per niente. Firmiamo un contratto. Diamo loro dell'uranio arricchito al 3,5% e nel termine di quattro, cinque mesi, ce lo restituiscono al 20%".
L'apertura era confermata dal ministro degli Esteri Manucher Mottaki che il 5 febbraio alla Conferenza internazionale di Monaco di Baviera sulla sicurezza dichiarava "vicino" un accordo "soddisfacente per tutte le parti [...] personalmente ritengo che si siano create le basi per procedere a uno scambio in un futuro non troppo lontano".
Ma le aperture venivano immediatamente gelate dal segretario alla Difesa americano Robert Gates: "Non ho l'impressione di vedere che siamo più vicini ad un accordo, l'Iran non ha fatto nulla per rassicurare la comunità internazionale della sua volontà di rispettare il Trattato di non proliferazione o metter fine ai progressi verso un'arma nucleare".
Per la prima volta, in modo pubblico ed esplicito, Robert Gates si schiera frontalmente contro l'Iran. È questo un passaggio determinante, provenendo da un esponente della Amministrazione americana a capo (almeno nel ruolo pubblico) della componente realista che aveva auspicato il dialogo con Teheran. Ciò significa che il cambiamento di strategia, le decisioni prese dietro le quinte nei mesi scorsi possono ora essere dichiarate apertamente. Una sorta di chiarificazione e accelerazione, i ponti sono stati rotti e il governo americano si muove con compatta unità di intenti.
Non a caso il sito della televisione iraniana Press-Tv ha anche divulgato la notizia che il capo della CIA Leon Panetta (altro esponente ascrivibile alla "fazione" di Robert Gates) si è segretamente recato alla fine di gennaio in Israele per incontrare il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Ehud Barack, e il capo del Mossad Meir Dagan. Motivo del meeting (inizialmente previsto per il mese di maggio) la crescente possibilità di una guerra nella regione. Obiettivi indicati: Iran, Libano, Siria, Hamas nei Territori occupati (1).
Si è arrivati infine al 7 febbraio, quando Ahmadinejad nel corso di un discorso televisivo, ha annunciato: "Avevo detto (alle grandi potenze) che concedevamo dai due a tre mesi (per concludere un accordo sullo scambio di uranio) e che se non fossero stati d'accordo avremmo cominciato da soli. Adesso, dottor Salehi (capo dell'agenzia atomica iraniana), avviate la produzione di uranio al 20 per cento con le nostre centrifughe".
Il proposito iraniano di procedere autonomamente, è giusto ricordarlo, non è una provocazione o una sfida come hanno titolato la quasi totalità dei media occidentali, ma, dal punto di vista giuridico internazionale, l'attuazione di uno specifico diritto. L'Iran, infatti, quale sottoscrittore del Trattato di Non Proliferazione ha la possibilità di arricchire uranio, sotto controllo AIEA, come sta regolarmente accadendo, per scopi civili.
Altro discorso riguarda l'opportunità politica. La risposta occidentale è stata aspra con l'annuncio di sanzioni dure, paralizzanti. "Se la comunità internazionale resta unita, siamo ancora in tempo perché le pressioni sull'Iran e le sanzioni abbiano l'effetto desiderato, ma dobbiamo lavorare insieme. La comunità internazionale ha offerto molteplici possibilità all'Iran di rassicurare sulle sue intenzioni riguardo al programma nucleare. Ma i risultati sono stati molto deludenti" ha dichiarato ancora Robert Gates.
E l'ammiraglio italiano Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato militare della Nato, in una intervista a La Repubblica, ha illustrato il clima cupo che si respira nelle cancellerie occidentali verso l'Iran ("su Teheran buio pesto"), e quanto le aperture iraniane come quella di Mottaki fossero state percepite come l'ennesimo tentativo di guadagnare tempo, "una presa in giro", la mancata comprensione della "gravità del momento" (2).
E tuttavia, una lettura più attenta dei fatti può portare a considerazioni molto più ragionevoli ed obiettive. Ahmadinejad e l'Agenzia atomica iraniana hanno specificato che in caso di accordo l'arricchimento dell'uranio può essere sospeso in qualunque momento. Questo elemento e le aperture precedenti dimostrano quanto il governo iraniano stia disperatamente cercando una via d'uscita e tentando di ottenere una sponda favorevole dall'esterno.
Ahmadinejad si trova di fatto assediato all'interno del paese. Da un lato l'onda verde che, con le parole di Mussavi, minaccia il cuore stesso del regime; dall'altra parte l' "opposizione" conservatrice, pronta a cogliere ogni passo falso del presidente per intaccarne il suo blocco di potere (Alì Larijani è tornato a ripetere che l'offerta occidentale sull'uranio è solo un "imbroglio"). Il governo, dunque, deve mostrasi tanto forte all'interno quanto pronto ad accettare una offerta onorevole all'esterno, a cui aggrapparsi, che gli consenta di salvare l'intero quadro. Dimostrare debolezza potrebbe portare allo sfaldamento del sistema; troppa durezza sfociare in un conflitto drammatico.
Diplomaticamente gli occidentali si trovano, ora, nella migliore condizione possibile per concludere un accordo vantaggioso. Se la mano tesa ("open hand") di Obama fosse stata sincera, è in questo frangente che essa avrebbe dovuto mostrarsi. Invece, dopo un periodo di silenzio sul tema, oggi (9 febbraio) arriva da Obama il segnale definitivo di chiusura, la porta sbarrata. "L'Iran si è posto sulla strada per ottenere la bomba. Questo è inaccettabile. [Stati Uniti e alleati svilupperanno] un significativo regime di sanzioni". Il partito della guerra voleva arrivare, a questo stadio del processo, in questo preciso punto.

Un ruolo di mediazione poteva essere svolto efficacemente dall'Italia. Per la sua storia, per i legami economici con Teheran, per la credibilità del governo Berlusconi presso il mondo islamico, visti i buoni rapporti con Gheddafi e le ultime affermazioni sui crimini del colonialismo italiano in Africa che ottima impressione avevano destato dall'altra parte del Mediterraneo. Questo credito è stato completamente bruciato con la recente visita del premier in Israele ed il discorso pronunciato alla Knesset.
Il riposizionamento della politica estera italiana totalmente a favore di Israele, le accuse rivolte all'Iran e la giustificazione dell'operazione "piombo fuso" a Gaza, hanno avuto l'effetto diplomatico, questo sì, di una bomba nucleare sui rapporti bilaterali con Teheran.
Anche analisti prudenti come Lucio Caracciolo hanno avvertito la problematicità dello strappo: "Gli attacchi senza precedenti di Silvio Berlusconi al regime iraniano rappresentano probabilmente anche il frutto dei suoi recenti incontri con i dirigenti israeliani. [...] Nel nostro rapporto con Gerusalemme verremo valutati soprattutto per quello che vorremo e sapremo fare contro Teheran. In particolare, bisognerà vedere fino a che punto saremo disposti a sacrificare i nostri tradizionali, corposi vincoli economici e commerciali con l'Iran. [...] In ogni caso, i prossimi mesi saranno decisivi. Se le sanzioni non ci saranno o saranno inefficaci, è possibile che non solo in Israele, ma anche negli Stati Uniti torni a farsi sentire il partito del bombardamento, come unica alternativa alla bomba atomica iraniana. In quel contesto, evidentemente, noi italiani avremmo poco da dire. Ma certamente saremmo tra i primi a subire direttamente e indirettamente le conseguenze di una guerra. I nostri uomini in Libano e Afghanistan sono, di fatto, sotto un ambiguo ombrello di protezione iraniano. È ovvio che, in caso di conflitto, questa protezione cadrà. I nostri contingenti sarebbero probabilmente oggetto delle prime rappresaglie iraniane. Ma non è detto che queste considerazioni siano state presenti a Berlusconi nel momento in cui si lanciava nell'offensiva verbale contro Teheran" (3).
Il tentativo odierno dell'assalto all'ambasciata italiana in Iran mostra quanto delicato sia il momento. Da possibili pompieri ci troviamo nel mezzo del fuoco che abbiamo contribuito ad accendere. Ma i tafferugli che sono avvenuti devono preoccupare anche in altro senso.

Quello che Caracciolo chiama "il partito del bombardamento" necessita di un ulteriore scatto nell'escalation della crisi. In vista dell'11 febbraio, anniversario della vittoria della rivoluzione islamica, è previsto un picco di tensione negli scontri di piazza. Le azioni verso le ambasciate occidentali denunciano l'esistenza di gruppi di ultrà (ispirati chissà da chi) che si stanno predisponendo allo scontro, col rischio di autentici scontri civili fra opposte fazioni. Uno scenario che potrebbe facilmente degenerare e sfociare nell'imposizione della legge marziale, arresti indiscriminati (se non peggio) tra la popolazione e tra i leaders del movimento di protesta. Insomma, una sorta di colpo di stato militarista non più strisciante ma palese. A quel punto l'allarme verso un paese non più sotto controllo (e determinato ad avere la bomba) equivarrebbe ad uno stato di urgenza e necessità che può giustificare qualunque intervento dall'esterno.


(1) Secret CIA-Mossad meeting, preparation for new war? Press-Tv
http://www.presstv.ir/detail.aspx?id=117579&sectionid=351020202
(2) "L'Iran nucleare minaccia del secolo". L'allarme dell'ammiraglio Di Paola. La Repubblica, 7 febbraio 2010.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/02/07/news/di_paola_iran-2222233/
(3) "Se Berlusconi lancia l'offensiva anti Iran", Lucio Caracciolo
http://temi.repubblica.it/limes/se-berlusconi-lancia-loffensiva-anti-iran/10777Si