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America Latina: senza gli Usa si può

di Stella Spinelli - 24/02/2010





I 32 paesi dell'America latina riuniti nel summit di Cancun, Messico, hanno alzato la testa. Per la prima volta dopo secoli di soggezione, hanno deciso di creare un organismo sovranazionale escludento Stati Uniti e Canada

I 32 paesi dell'America latina riuniti nel summit di Cancun, Messico, hanno alzato la testa. Per la prima volta dopo secoli di soggezione, hanno deciso di creare un organismo sovranazionale americano, escludendo a tutti gli effetti l'America del Nord, Stati Uniti e Canada. Si tratterà di un blocco alternativa all'ormai logora Osa, Organizzazione stati americani, da 50 anni il principale forum per le questioni regionali, capeggiato e soggiogato in tutto a Washington.

Il summit di due giorni nella cittadina balneare affacciata sull'Atlantico aveva vari temi in agenda, come il dramma haitiano e l'aggressione britannica alle Malvinas/Falkland da dove da alcuni giorni la Corona inglese sta tentando di estrapolare petrolio, ma quello di una nuova unione latinoamericana che escludesse la Casa Bianca e i canadesi era il leit motiv. E mentre presidenti vicini alla politica Usa si affrettano a precisare che il nuovo organismo "non tenta di rimpiazzare l'Osa, la quale resta un'organizzazione permanente con le sue specifiche funzioni", come spiega il neo presidente cileno Sebastian Pinera, altri leader, certamente agli antipodi della Casa Bianca come il cubano Raul Castro, hanno subito definito la nuova Unione quale storico passo verso "la costituzione di un'organizzazione regionale puramente latinoamericana e caraibica". E visto che dal 1962 l'isola dei Castro è stata sospesa dall'Osa per essere la spina socialista nel fianco del capitalismo a stelle e striscie, il suo plauso è comprensibile. Stesse note per Hugo Chavez, il capo di stato venezuelano, che inneggia all'inizio della fine della colonizzazione statunitense della regione.

E sulla stessa riga è l'Ecuador di Rafael Correa, che ribadisce come la necessità di un'unione regionale nuova sia partita proprio da Quito, nel marzo del 2008, subito dopo aver subito il bombardamento illegale da parte della forza aerea colombiana in cerca di guerriglieri delle Farc in territorio ecuadoriano. Il presidente Correa da allora non ha mai smesso di sottolineare a gran voce come fosse necessario un organismo che potesse risolvere i conflitti latinoamericani attraverso la negoziazione politica e diplomatica.
Entusiasmo è arrivato anche dal colosso Brasile, che anzi si è espresso a favore di una comunione di mercati, che rafforzino l'economia latinoamericana.
Da parte sua, gli Stati Uniti non sembrano per ora battere ciglio. Una delle voci del Dipartimento di Stato, Arturo Valenzuela, ha precisato che non vede come un problema questa nuova entità, che "mai andrà a sostituire l'Osa". Proposito che i paesi ostici agli Usa quali anche la Bolivia e il Paraguay mettono per adesso da parte, preferendo intanto consolidare questo storico passo in avanti verso l'integrazione regionale. Il nuovo organismo, infatti, intanto andrà sicuramente a rimpiazzare il Gruppo di Rio e la Comunità del Caribe, nei termini e nei modi che ancora devono essere definiti. L'unico elemento concreto per adesso è la prima riunione dell'ente, che Evo Morales, presidente boliviano, ha proposto per il luglio 2011, a Caracas dove già si sarebbe tenuta la riunione del Gruppo di Rio.

L'unione dei paesi in intenti e propositi è quanto è uscito dal summit di Cancun, dunque, che si è anche pronunciato in favore dell'Argentina e contro la Gran Bretagna nella questione Malvinas-Falkland, per usare entrambi i nomi, che in sé racchiudono un passato di diatribe ancora lontane dall'essere sanate. Buenos Aires è furiosa per l'inizio delle trivellazioni volute da Londra, in un territorio che dista dalla costa argentina soltanto 450 chilometri. Si tratta di una provocazione che riporta alla memoria la guerra per queste isole scoppiata nel 1982, quando gli argentini decisero di invaderle e scacciare la corona da un territorio che considera naturalmente e storicamente suo. E in questo ha il sostegno della regione, che si è espressa all'unanimità per rifiutare le esplorazioni petrolifere britanniche.
Nell'agenda anche l'Honduras di Porfirio Lobo, il presidente uscito da elezioni non valide perché nate in un paese piegato da un golpe militare, e che alcuni paesi vicini agli Usa, che hanno orchestrato il reintegro del paese alla normalità nonostante tutto  e legittimando il colpo di stato e i suoi fautori, vorrebbero riconoscere.

Infine, è stato deciso un piano a lungo termine di aiuti per la devastata Haiti.
Durante il summit, nonostante i buoni propositi, non sono certo mancati gli scontri fra capi di stato tanto differenti e lontani nella visione e negli intenti. Come Hugo Chavez e il colombiano Alvaro Uribe. Le due delegazioni non hanno mancato occasione per attaccarsi a vicenda su questioni di confine e su dissapori vecchi di anni e lungi dall'essere risolti. Bogotà ha accusato Caracas di aver imposto un embargo ad alcune ditte esportatrici colombiane quale rappresaglia alla installazione delle sette basi statunitensi in Colombia e alla vicinanza fraterna con Washington. Chavez non ha tardato a rispondere paragonando quel bloqueo con quello che da un cinquantennio la Casa Bianca impone a Cuba. E il botta e risposta è durato all'infinito, inquinando anche la cena che i capi di stato avevano organizzato e dedicato esclusivamente a Haiti.