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Washington: accerchiare Teheran

di Michele Paris - 25/02/2010

La recente decisione di Washington di installare un proprio ambasciatore in Siria dopo cinque anni di assenza potrebbe apparire, a prima vista, come la logica conseguenza dei progressi nelle relazioni tra i due paesi, iniziati con il cambio della guardia alla Casa Bianca. Le più recenti mosse di riavvicinamento a Damasco, tuttavia, s’inseriscono in una più ampia offensiva americana in Medio Oriente diretta ad isolare l’Iran - di cui la Siria è appunto uno degli alleati più stretti - per preparare l’imposizione di nuove sanzioni, se non, addirittura, un’aggressione militare.

L’amministrazione Bush aveva ritirato il suo ambasciatore a Damasco nel 2005, in segno di protesta nei confronti del regime siriano, ritenuto responsabile dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri a Beirut. Già dal giugno dello scorso anno si era iniziato a parlare negli Stati Uniti di un possibile ritorno di un ambasciatore in Siria. Poi, la scorsa settimana, l’annuncio della nomina del diplomatico americano Robert S. Ford.

Attuale vice-capo missione presso l’ambasciata USA di Baghdad, quest’ultimo aveva ricoperto la carica di ambasciatore in Algeria dal 2006 al 2008 e, in precedenza, di vice-capo missione in Bahrain tra il 2001 e il 2004. Ford dovrà essere ora confermato dal Senato di Washington nel suo nuovo incarico, mentre la Siria pare avere già approvato la nomina.

Il pieno ristabilimento delle relazioni con la Siria giunge dopo che negli ultimi mesi si erano tenuti una serie d’incontri diplomatici, al fine di allentare le tensioni. Nel 2009, l’inviato speciale di Obama per la pace in Medio Oriente, George Mitchell, si era recato a Damasco in due occasioni. Colloqui a un livello inferiore si erano poi susseguiti, mentre in concomitanza con la nomina del nuovo ambasciatore nella capitale siriana si è tenuta una importante visita ufficiale del Sottosegretario di Stato William Burns, vale a dire il diplomatico americano più alto in grado a recarsi in questo paese dopo il Segretario di Stato Colin Powell poco meno di sei anni fa.

Accompagnato nella sua missione dal coordinatore del contro-terrorismo per il Dipartimento di Stato, Daniel Benjamin, il vice di Hillary Clinton ha parlato con il presidente Bashar al-Assad, sottolineando la disponibilità di Washington a migliorare le relazioni con la Siria e la volontà di cooperare nello sforzo per giungere ad un accordo di pace tra arabi e israeliani. Nella sua conferenza stampa seguita all’incontro con Assad, però, Burns ha significativamente ricordato anche quanto sia irto di ostacoli il cammino che porta a una riconciliazione tra Stati Uniti e Siria.

Secondo i media occidentali, all’ordine del giorno dei colloqui di Damasco vi era, in primo luogo, la collaborazione per l’ennesimo avvio dei negoziati di pace tra palestinesi e israeliani, ma anche le continue infiltrazioni dal confine siriano di estremisti sunniti ed ex-baathisti di Saddam Hussein che alimentano la violenza settaria in Iraq, nonché il sostegno economico e militare siriano ad Hamas in Palestina e a Hezbollah in Libano, organizzazioni entrambe definite terroristiche da Washington.

Dietro alla facciata della nuova politica di riavvicinamento promossa da Obama fin dai tempi della sua campagna elettorale, per dare maggiore “impeto alla costruzione della pace in Medio Oriente”, si nasconde in realtà, in maniera peraltro non troppo velata, il tentativo di aumentare le pressioni nei confronti dell’Iran e del suo programma nucleare. Le manovre di accerchiamento da parte della diplomazia a stelle e strisce hanno infatti subito un’improvvisa accelerazione proprio nelle ultime settimane.

Da pochi giorni si è concluso il tour dei paesi arabi del Segretario di Stato, Hillary Clinton. Nel corso di un discorso in Qatar, la ex first lady ha lanciato un appello a sostegno delle sanzioni contro l’Iran volute da Washington per frenare la presunta corsa di Teheran verso la produzione di ordigni nucleari. La tappa successiva è stata poi l’Arabia Saudita, dove Hillary si è adoperata per convincere la monarchia assoluta a rassicurare la Cina circa possibili ulteriori forniture di petrolio nel prossimo futuro. La Cina importa gran parte degli idrocarburi necessari al proprio fabbisogno dall’Iran, una linea di fornitura che potrebbe essere tagliata nel caso Pechino finisca per appoggiare le sanzioni proposte dagli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Lo stesso Sottosegretario di Stato Burns, nel corso della sua trasferta mediorientale, si è incontrato in Libano con il presidente Michel Suleiman e il primo ministro Saad Hariri, mentre successivamente si è recato in Azerbaijan e in Turchia, entrambi paesi che mantengono buoni rapporti con l’Iran. Un altro vice della Clinton, James Steinberg, sarà inoltre in Israele questa settimana, così come il capo di Stato Maggiore americano, generale Michael Mullen, volerà in Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dopo essere già stato ricevuto in Egitto dal presidente Mubarak e dai vertici militari israeliani a Tel Aviv.

L’argomento principale di tutti questi incontri rimane sempre e comunque l’Iran. Così come in funzione anti-iraniana va interpretato anche un altro annuncio che qualche settimana fa aveva alimentato nuove tensioni: la promessa di nuove forniture militari per il rinnovamento del sistema missilistico dei paesi arabi del Golfo Persico alleati degli Stati Uniti (Bahrain, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi). L’isolamento dell’Iran sembra dunque essere l’obiettivo principale della nuova strategia nei confronti della Siria, anche se non è chiaro fino a che punto Assad sarà disponibile ad allentare la sua alleanza con Teheran per migliorare i rapporti con Washington.

Se quest’ultima prospettiva risulterebbe cruciale per le speranze di Damasco di recuperare le alture del Golan, occupate da Israele nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni, gli ostacoli alla distensione rimangono parecchi. Sulla lista nera dei paesi sponsor del terrorismo fin dal 1979, la Siria continua a soffrire a sua volta per le pesanti sanzioni applicate dagli USA nel 2004 e che vietano la vendita di beni, ad eccezione di cibo e medicinali.

Da parte sua, il presidente Assad ha già espresso scetticismo nei confronti della volontà degli Stati Uniti di accogliere le richieste siriane. Ancora meno propenso si è dimostrato poi nell’assecondare lo sforzo della Casa Bianca per raccogliere consensi nella comunità internazionale al fine di punire l’Iran con nuove sanzioni.

Lo sganciamento della Siria dall’Iran voluto da Washington, in definitiva, non sarà così facilmente raggiungibile. Non solo il sentimento anti-americano nella società siriana continua ad essere molto radicato, ma la posizione di Assad, sia all’interno del paese sia sul piano internazionale, secondo molti osservatori, si è consolidata negli ultimi tempi, garantendogli un peso maggiore nei negoziati.

Gli investimenti nel paese si sono infatti moltiplicati in seguito ad una serie di riforme economiche, i rapporti diplomatici con la Francia ed altri paesi dell’UE sono stati completamente ripristinati e, infine, la stessa influenza sul Libano sembra essere tornata quella di un tempo, dopo che la Rivoluzione dei Cedri nel marzo del 2005 aveva portato al ritiro delle truppe siriane dal paese sul quale esercitava un protettorato di fatto.