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La polveriera mediorientale

di Eugenio Roscini Vitali - 10/03/2010

Per ora si tratta di mera provocazione, ma l’atteggiamento siriano e la risoluta presa di posizione dello Stato ebraico ci riportano alla primavera del 1967, a pochi mesi dall’attacco preventivo con il quale Israele diede il via alla Guerra dei sei giorni. Allora le dinamiche che portarono al conflitto furono certamente diverse da quelle attuali, come diversi erano gli equilibri internazionali e gli attori pronti a giocarsi il controllo del vicino Medio Oriente, ma l’impegno a voler trasformare una crisi politica in un nuovo conflitto sembra ancora la stessa.

Lo dimostrano i fatti delle ultime settimane, l’attrazione dimostrata da Damasco verso la strategia iraniana e l’appello lanciato a Teheran per una difesa comune; il rinnovato sostegno a Hezbollah e il vertice di Damasco, organizzato a pochi giorni dall’appello con il quale il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, esortava la Siria a “prendere le distanze” dalla Repubblica Islamica.

La tensione tra Damasco e Gerusalemme è ogni giorno più evidente e, al di là delle dichiarazioni, la possibilità di un conflitto non è più solo un’ipotesi. Sul delicato tema della sicurezza regionale, l’approccio diplomatico tentato dagli Stati Uniti a metà febbraio con la Siria non sembra aver ottenuto risultati tangibili. La cena organizzata a Damasco la sera del Natale musulmano, alla quale hanno partecipato il presidente Bashar Assad, il suo omologo iraniano, Mahmoud Ahmadinejad e il segretario generale del movimento Hezbollah, Hassan Nasrallah, è la prova di come il paese arabo non abbia alcuna intenzione di interrompere un rapporto che con Teheran dura ormai da trent’anni e che, in funzione anti-israeliana, fa dell’organizzazione sciita libanese il suo partner privilegiato.

Secondo quanto pubblicato dal quotidiano Haaretz, la Siria starebbe addestrando i combattenti dell’organizzazione paramilitare sciita sull’uso dei sistemi missilistici a corto raggio S-75 Dvinà (SA-2 Guideline) e Romb (SA-8 Gecko). Un training che evidenzia l’intenzione di Hezbollah di difendere le batterie di lancio dei razzi da 107 mm e 122 mm dagli attacchi dell’aviazione israeliana e che spiega perché Damasco, tra le armi che continuerebbe a contrabbandare verso il Libano, avrebbe incluso un numero non precisato di sistemi missilistici di difesa antiaerea trasportabili a spalla (MANPAD).

La notizia diventa di particolare interesse se poi si pensa che questa volta il materiale consegnato ad Hezbollah è di ultima generazione: in un articolo pubblicato dal Washington Institute's Web site si parla infatti di missili IGLA-S, armamenti a corto raggio di fabbricazione russa etichettati dalla NATO con il codice SA-24 Grinch.

Prodotto nella città di Kolomna dall’industria bellica KB Mashynostroyeniya (KBM), l’SA-24 è già stato adottato dall’esercito russo in sostituzione dei modelli SA-16 Gimlet ed SA-18 Grouse, sviluppati negli anni Ottanta dalla stessa KBM. Tra i migliori sistemi MANPAD oggi prodotti, l’IGLA-S appartiene all’ultima generazione dei sistemi missilistici antiaerei trasportabili a spalla e per le sue caratteristiche tecniche rappresenta un vero pericolo per le forze aeree israeliane (IAF).

Capace di operare anche in ore notturne e di colpire obiettivi di qualsiasi dimensione, è una minaccia per velivoli UAV, come lo Sky Warrior e l’MQ-9 Predator B/Reaper Hellfire, per elicotteri da combattimenti, quali l'AH-64D Apache Longbow e l’UH-60 Black Hawk, e per aerei ad ala fissa come il Lockheed AC-130H Spectre, l’AC-13U Spooky gunships e il Northrop Grumman A-10 Thunderbolt II “Warthog”, utilizzati nelle missioni si supporto ravvicinato alle operazioni di terra (CAS).

Gli IGLA-S consegnati ai miliziani di Hezbollah sono solo parte dei sistemi di difesa aerea che negli ultimi mesi, nonostante l’embargo e le varie Risoluzioni Onu, stanno rovinando il sonno del vertici militari israeliani. Non è infatti ancora chiaro se la Almaz Scientific Industrial Corporation (ASIC) abbia sospeso la fornitura dei sofisticati sistemi di difesa aerea a medio raggio S-300, che per l’Iran e la Siria già si parla dell’S-400 Triumf, nome in codice NATO SA-21 Growler. Ma per lo Stato ebraico il primo nemico rimane ancora Hezbollah: il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, è certo che, in barba alla Risoluzione Onu 1701, il movimento sciita può ormai contare su un arsenale di 45.000 razzi, il triplo di quelli che aveva a disposizione alla vigilia del conflitto scoppiato nel 2006.

Mentre la Siria provoca Israele sul piano militare e prepara Hezbollah a difendere le sue roccaforti, Teheran spiazza la comunità internazionale con una mossa a sorpresa: recentemente il governo iraniano avrebbe deciso di portare in superficie gran parte delle scorte di uranio a basso arricchimento (LEU) prodotto negli impianti di Natanz. La notizia, contenuta in un recente rapporto stilato dagli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) e pubblicata la settimana scorsa dal New York Times, parla di circa 1.950 chilogrammi di combustibile nucleare con una concentrazione di U235 tra il 3% ed il 5%, prelevati dai bunker sotterranei della centrale di Fordo, vicino alla città di Qom, e portati in siti dove potranno essere trattati per l’arricchimento al 20%. Una decisione che mette il “prezioso” materiale alla mercé di sabotaggi e devastanti attacchi aerei e che anche agli occhi dei più sprovveduti appare come un’evidente provocazione nei riguardi di Israele: quello che in gergo viene chiamato “bull's-eye on stockpile”.