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Tel Aviv col dito sul grilletto. Peres: fuori l'Iran dall'Onu

di Michele Giorgio - 10/03/2010

  
 


Joe Biden ribadisce la solidità dell'alleanza tra Washington e Israele e, soprattutto, proclama che impedire all'Iran di dotarsi di armi nucleari «rappresenta una priorità per gli Stati Uniti» perché «non c'è distanza alcuna fra Stati Uniti e Israele quando si parla della sicurezza di Israele». Le frasi pronunciare ieri a Gerusalemme dal vicepresidente degli Stati Uniti, in visita nella regione, lasciano sempre aperta la porta a un attacco militare contro le centrali atomiche iraniane, mentre l'Amministrazione Obama continua a lavorare per estendere e rafforzare le sanzioni internazionali nei confronti di Tehran. E il sostegno che il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha dato all'embargo - «il regime iraniano sarà costretto a scegliere fra la prosecuzione del proprio programma nucleare e la propria sopravvivenza», ha previsto - è solo di facciata.
L'opzione privilegiata di Israele era e resta un raid aereo contro l'Iran anche se ciò non servirà - lo dicono gli esperti - a fermare a lungo il programma nucleare di Tehran e scatenerà una gravissima crisi regionale (e non solo) dalle conseguenze incalcolabili. L'Iran ha sempre smentito di volersi dotare di ordigni atomici, come sostengono Israele e Usa, e assicurato di voler produrre unicamente elettricità per fronteggiare il suo fabbisogno crescente di energia e il calo della produzione petrolifera previsto nei prossimi anni. Tehran ieri ha espresso l'auspicio che la Cina, terminale privilegiato delle sue esportazioni petrolifere, non approvi le pesanti sanzioni alle quali stanno lavorando gli Stati Uniti.

Non deve ingannare l'accoglienza speciale ricevuta da Biden, il più alto rappresentante dell'Amministrazione Usa a visitare lo Stato ebraico da quando Barack Obama è diventato presidente. In casa israeliana è palpabile l'insoddisfazione per l'atteggiamento mantenuto sino ad oggi da Washington nei confronti della questione iraniana giudicato «troppo morbido». Tel Aviv non crede all'efficacia delle sanzioni. A dimostrarlo ieri, di fatto, è stata anche la richiesta del capo di stato Shimon Peres di accompagnare le sanzioni economiche a «sanzioni di carattere morale». «Una persona come (il presidente iraniano Mahmud) Ahmadinejad - ha detto Peres - che invoca la distruzione di Israele non può essere un membro con pieni diritti dell'Onu». Al sodo è andato il ministro della difesa, Ehud Barak, che ha prima esaltato «l'impegno diligente degli Usa a rafforzare la nostra superiorità militare» e poi ha avvertito che Israele affronterà le sfide future «tendendo una mano alla pace ma lasciando l'altra ben ferma con il dito sul grilletto». Secondo l'analista Gerald Steinberg, del Centro Besa di studi strategici, «gli Usa lasciano la porta aperta all'opzione militare (contro l'Iran) e potrebbero far ricorso alla forza, ma la visita di Biden in Israele è volta proprio ad escluderla, almeno per il momento. Israele però ribadisce che non esiterà a lanciare un attacco militare se lo riterrà necessario, con o senza l'approvazione di Washington».

Nella conferenza stampa con Netanyahu, Biden ha anche espresso compiacimento per la ripresa di negoziati indiretti tra israeliani e palestinesi. Gli Stati Uniti sosterranno sempre, ha affermato il vicepresidente, quanti sono pronti «ad assumere rischi per raggiungere la pace». Nessuno o quasi però crede alle possibilità della navetta diplomatica che effettueranno gli Usa tra Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen. Lo scetticismo prevale e, peraltro, le trattative cominceranno da zero perché Washington, cedendo di nuovo alle pressioni israeliane, hanno comunicato attraverso l'inviato George Mitchell che i risultati raggiunti all'incontro di Annapolis (2007) non avranno valore nei negoziati attuali. Netanyahu si rifiuta di riprendere i colloqui dal punto in cui li aveva lasciati il suo predecessore Ehud Olmert. Biden oggi andrà al quartier generale dell'Anp a Ramallah per dare un segno dell'«impegno» americano ma Netanyahu e Abu Mazen sanno che la trattativa è virtuale e si impegneranno soltanto a fare in modo che la responsabilità del fallimento ricada sull'altro. Intanto è incessante la colonizzazione israeliana. Il ministero dell'interno ha approvato la costruzione di altri 1.600 alloggi a Gerusalemme est, la zona palestinese della città sotto occupazione israeliana dal 1967.