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Israele impone un blocco su tutta la Cisgiordania

di Matteo Bernabei - 14/03/2010

      


Il governo israeliano ha deciso di chiudere per 48 ore, dalla mezzanotte di giovedì a quella di sabato, tutte le frontiere con la Cisgiordania. Il ministro delle Difesa Ehud Barack ha giustificato la scelta dell’esecutivo adducendo “motivi di sicurezza”. “L’Idf continuerà a proteggere i cittadini di Israele mantenendo allo stesso tempo la qualità di vita della popolazione palestinese della zona”, ha detto il leader laburista spiegando che gli operatori sanitari e religiosi, gli insegnanti, i giornalisti ed altre categorie sono esonerate dal provvedimento di chiusura. Secondo i vertici delle forze di sicurezza di Tel Aviv, infatti, ci sarebbe in questi due giorni un forte rischio di attentati. Quanto ciò sia vero è da stabilire, la cosa certa però è che la tensione fra israeliani e palestinesi è alle stelle.
Complice il comportamento volutamente provocatorio del governo di Netanyahu che, a sole 24 ore dall’avvio dei trattati di pace indiretti, ha annunciato la costruzione di altre 1600 nuove abitazioni a Gerusalemme est da destinare ai cittadini ebrei. Un annuncio arrivato a pochi giorni dalla decisione di ampliare l’insediamento illegale di Beitar Illit in Cisgiordania. Infine, ad incrementare il malumore dei palestinesi, è arrivata venerdì la notizia della prossima inaugurazione di una nuova sinagoga all’interno del quartiere vecchio di Gerusalemme est, dopo che per giorni è stato impedito agli arabi con meno di 55 anni di recarsi nella spianata delle moschee per pregare. Violenti scontri avevano fatto seguito a questa decisione e venerdì scorso non è stato da meno. Le ingenti misure di sicurezza, rafforzate anche all’interno della Città Santa, hanno tuttavia ridotto notevolmente la durata e l’intensità del confronto fra i manifestanti arabi e la polizia israeliana.
Nel frattempo il governo di Tel Aviv ha annunciato il varo di un nuovo decreto che impone la presenza di un delegato del premier ogni qualvolta si decida l’ampliamento di siti già esistenti o la costruzione di nuovi in Cisgiordania o a Gerusalemme est. Un tentativo misero e squallido di mostrare la buona volontà del primo ministro, il quale dopo essersi scusato con il vice presidente americano per l’intempestivo annuncio dell’edificazione di altre abitazioni nella parte araba della Città Santa, si era giustificato affermando di non esserne stato messo a conoscenza. Un provvedimento volto a salvare la faccia di fronte a tutta la comunità internazionale ad eccezione degli Stati Uniti, che avevano liquidato l’accaduto già dopo pochi minuti. In tutto questo il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, che a questo punto avrebbe già dovuto sbattere la porta in faccia a Washington e Tel Aviv, ha chiesto all’amministrazione statunitense garanzie ufficiali volte a bloccare le attività edilizie dell’entità sionista fino alla ripresa dei negoziati indiretti e per tutta la loro durata.
È doveroso alla luce di tutto questo ripetere che sia Israele sia gli Usa hanno più volte dimostrato di non curarsi minimante di qualunque tipo di accordo, verbale o scritto, precedentemente preso se questo impedisce loro di raggiungere i propri obiettivi nel più breve tempo possibile. Difficile pensare a questo punto che Mahmud Abbas e i suoi collaboratori siano semplicemente così stupidi e ottusi da non capire che accettando di trattare con Tel Aviv hanno soltanto da perdere anche quel poco di libertà che è rimasta alla popolazione palestinese. Esclusa questa possibilità, resta soltanto da prendere atto che il presidente dell’Anp, come molti altri leader arabi, siede volontariamente ai piedi del trono di Washington.