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Ghiacciai perenni: se si sciolgono inquinano

di Virginia Greco - 23/03/2010


Lo scioglimento dei ghiacciai perenni causato dal riscaldamento globale è fonte di emissioni di gas serra tali da innescare un circolo vizioso. La liberazione nell’atmosfera di anche solo una minima parte di tutto il metano contenuto nella piattaforma artica est-Siberiana, infatti, potrebbe dar origine ad ulteriori profondi cambiamenti climatici. E se fino a pochi anni fa si è pensato che il permafrost costituisse “una gabbia” in grado di trattenere tale composto, studi recenti dimostrano che non è più così.


permafrost artico metano carbonio
Il suolo delle regioni artiche, tanto la terra emersa quanto i fondali marini, contiene un’ingente quantità di carbonio e metano
Il suolo delle regioni artiche, tanto la terra emersa quanto i fondali marini, contiene un’ingente quantità di carbonio e metano, gran parte della quale intrappolata nel permafrost, ossia il ghiaccio perenne. Come è ben noto, metano e anidride carbonica (che si forma per combinazione con l’ossigeno quando il carbonio viene liberato nell’aria) sono due potenti gas serra, responsabili dei cambiamenti climatici in corso sul pianeta.

La piattaforma ghiacciata della Siberia orientale occupa un’area di oltre due milioni di chilometri quadrati, la maggior parte della quale è sommersa. Il permafrost sottomarino è composto da sedimenti e suolo di torbiera ghiacciati (si tratta di estensioni della tundra siberiana che sono state coperte dalle acque tra i 7 e i 15 milioni di anni fa). E’ qui che giacciono grandi serbatoi di carbonio e di metano, i quali non sembrano essere più al sicuro come sono stati per millenni, a causa di recenti cambiamenti nel regime termico delle acque artiche.

Ciò che si sta verificando è una reazione a catena: l’innalzamento della temperatura delle acque dell’artico provoca un graduale scioglimento dei ghiacci perenni dei fondali. Di conseguenza il metano in essi contenuto si libera nelle acque sovrastanti e via via raggiunge l’atmosfera. I gas così diffusi determinano a loro volta un aumento di temperatura che si traduce in ulteriore scioglimento. Il processo è ovviamente graduale, ma non così lento come si potrebbe pensare. Del resto il riscaldamento dell’artico che si è registrato all’inizio del nuovo secolo è maggiore di vari gradi rispetto a quello che si era previsto.

Queste scoperte, relative alla diffusione del metano intrappolato dal permafrost, sono il risultato di anni di studi condotti da un’equipe di ricercatori dell’Università dell’Alaska e dell’Accademia delle Scienze russa, guidati da Natalia Shakhova (la ricerca è stata pubblicata anche dalla rivista Science).

Tra il 2003 e il 2008 sono state effettuate sei spedizioni in nave, una in elicottero ed una sulla terraferma al fine di raccogliere più dati possibile riguardo alla concentrazione di metano in acqua, terra e atmosfera, nonché alla temperatura e ai meccanismi di diffusione del gas. Gli studi si sono dunque potuti basare sull’analisi di 5100 campioni di acque prelevati in 1080 stazioni distribuite geograficamente in tutta la zona.

ghiaccio oceano metano
E' stata rilevata un’alta concentrazione di metano nell’oceano, cosa che dimostra come tale composto venga rilasciato dal permafrost
In particolare, è stata rilevata un’alta concentrazione di metano nell’oceano, cosa che dimostra come tale composto venga rilasciato dal permafrost, si distribuisca gradualmente nella colonna d’acqua superiore e arrivi in superficie, da dove può liberarsi nell’atmosfera. Si è potuto misurare come l’80% delle acque più profonde (ossia quelle in contatto diretto con il suolo ghiacciato) e il 50% di quelle superficiali siano completamente sature di metano. La distribuzione verticale avviene per diffusione e tramite un sorta di processo di “ebollizione”, ossia si ha la liberazione dal permafrost di bolle di gas, le quali attraversano rapidamente la colonna d’acqua fino alla superficie.

Per assicurarsi che il metano in eccesso provenga effettivamente dai fondali perennemente ghiacciati, sono stati condotti studi mirati che consentissero di escludere altre possibili sorgenti. Ad esempio, si è presa in considerazione la possibilità che il composto fosse diffuso nelle acque artiche dai fiumi che in esso vi sfociano. Alcune misure effettuate sul fiume Lena hanno dimostrato che la concentrazione di metano diminuisce man mano che si scende fino al delta, mentre aumenta nuovamente nelle acque costiere immediatamente “successive”. Questo fa pensare che le fonti di metano siano distinte.

Inoltre, secondo alcuni studi che analizzano la formazione di metano per processi biologici e chimici che avvengono nelle acque, sembra che questi ultimi abbiano un impatto minoritario (soprattutto se si realizza un confronto con tutti gli oceani del pianeta).

La conclusione è dunque che le alte concentrazioni misurate sono causate dal rilascio di metano da parte dei sedimenti di cui il suolo è composto. E dato che la profondità media dei fondali ghiacciati della piattaforma artica siberiana è di soli 45 metri, il metano giunge facilmente alla superficie e si libera nell’aria. In altre regioni del pianeta, in oceani molto profondi, accade invece che il metano rilasciato dai sedimenti del terreno venga ossidato durante il suo cammino prima di giungere in superficie.

La conferma che il gas riesca a fuoriuscire e liberarsi nell’aria si è avuta grazie alle misure che gli stessi ricercatori hanno condotto nella spedizione in elicottero. Essi hanno infatti rilevato che la concentrazione di metano nell’atmosfera è superiore alla media del 5-10% fino a 1800 metri d’altezza.

polo mare oceano
La quantità di gas serra rilasciato dalla piattaforma artica della Siberia orientale è oggi pari a quella di tutti gli altri oceani del pianeta messi insieme
La cosa veramente preoccupante è che la quantità di gas serra rilasciato dalla piattaforma artica della Siberia orientale è oggi pari a quella di tutti gli altri oceani del pianeta messi insieme. Nonché, come affermano gli studiosi, il processo dà origine ad un meccanismo a catena di riscaldamento e scioglimento.

Secondo il parere dei ricercatori dell’università dell’Alaska e dell’Accademia delle Scienze russa, per capire realmente se si tratti di un fenomeno che ha raggiunto un equilibrio o se dobbiamo attenderci ben maggiori emissioni nel futuro prossimo, sarebbero necessari ulteriori approfonditi studi. La comprensione profonda dei processi in atto è infatti di primaria importanza al fine di poter pianificate politiche e interventi che rallentino i cambiamenti climatici in atto sulla Terra.