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Italia a sovranità limitata

di Alessandro Iacobellis - 16/05/2010

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Sabato 8 maggio si è tenuta a Bologna, presso la sala dell’Angelo, la presentazione del libro di Fabrizio Di Ernesto “Portaerei Italia”, uscito per i tipi di Fuoco Edizioni (pagine 98, euro 11).

Presenti per l’occasione l’Autore (già collaboratore di Rinascita) e altri due relatori: Federico Roberti dell’Associazione Eureka, cui si deve l’organizzazione dell’evento, e il moderatore Eduardo Zarelli, di Arianna Editrice. Per motivi indipendenti dalla sua volontà, non ha potuto presenziare l’esperto di questioni militari Giancarlo Chetoni, anch’egli invitato alla conferenza, a cui l’associazione rivolge un saluto.

A Zarelli è toccata l’introduzione dell’incontro, con un inquadramento storico e politico generale del tema, la presenza di basi e installazioni militari dell’esercito Usa su territorio italiano ed europeo. Più di 100 per quanto ci riguarda, secondi in Europa soltanto all’altra nazione sconfitta, la Germania (che ne conta addirittura più di 300). Servitù militari che vedono l’Italia e il nostro continente posti in una posizione di subalternità militare alla potenza d’Oltreoceano, ma non solo. La presenza armata statunitense è solo un tassello dell’assetto geopolitico instaurato all’indomani della sconfitta subita nel secondo conflitto mondiale. Ad esso si accompagnano altri strumenti di controllo meno visibili ma altrettanto efficaci sulla “colonia-Italia” (ed Europa), come il cappio economico. Quello cioè della finanza usuraia che proprio in queste ore sta attaccando in forze gli Stati europei. In tutto questo, risulta evidente come la presunta alleanza paritaria stabilita il 4 aprile del ’49 con la nascita della Nato sia soltanto una foglia di fico utile a sancire ufficialmente lo status di Paesi sottomessi. Prova ne sia che questa presunta alleanza difensiva in funzione anti-sovietica (motivazione già all’epoca decisamente forzata…) continua tuttora ad esistere, ad espandersi verso l’Europa orientale in funzione anti-russa, ed è in prima linea nell’occupazione dell’Afghanistan.

L’intervento di Di Ernesto è sceso nel delineare dettagliatamente il quadro delle basi a stelle e strisce sul nostro suolo. In particolare, un argomento su cui si è puntato il dito è il crescente scollamento fra l’opinione pubblica e la nostra classe politica. Prendendo spunto dal caso di Vicenza e dalla forte mobilitazione popolare (politicamente trasversale) della cittadinanza contro Ederle-2, l’autore ha sottolineato di contro un altrettanto trasversale servilismo della politica nei confronti dei diktat del Dipartimento di Stato Usa. La disponibilità a fare di Vicenza un centro bellico di primaria importanza nell’Europa del sud (con raggio d’azione potenzialmente esteso dal Medio Oriente fino all’Africa) è stata infatti bipartisan, tanto del governo Prodi quanto di Berlusconi. Con ultimo corollario il referendum popolare negato ai vicentini (perché, si sa, la democrazia va bene fino a quando il popolo si reca supinamente alle urne per permettere la spartizione delle poltrone…). Atteggiamento questo confermatosi nel corso degli anni anche in occasioni drammatiche, come quando nel ’98 un caccia decollato dalla base di Aviano andò a tranciare la funivia del Cermis, uccidendo venti cittadini europei. Tragedia risoltasi nell’impunità assoluta per i quattro marines colpevoli.

Federico Roberti ha trattato l’argomento dal punto di vista dell’altra parte della barricata, ovvero rifacendosi a documenti e dichiarazioni degli stessi americani sui perchè della loro presenza militare in Europa. Molto interessante, perché almeno va dato atto a politici e generali statunitensi di parlare chiaramente e senza l’ipocrisia che ammanta la nostra classe “dirigente”. Dall’altra parte dell’Atlantico non c’è nessuna remora nel dire chiaramente che le basi all’estero costituiscono un pilastro della politica di potenza nordamericana, fondamentale per la difesa degli interessi di Washington. Che si da il caso non siano i nostri.

Di qui anche un approfondimento riguardo l’impatto economico della cooperazione militare fra le due sponde dell’Atlantico, anche in questo caso a tutto vantaggio degli Usa. Il business costituito dagli appalti per i nuovi armamenti, in un periodo di profonda crisi economica di sistema, è uno degli ultimi appigli di Washington per tenersi a galla. L’industria militare è di primaria importanza, ed è un settore in cui i finanziamenti continuano a circolare. Ma con essi anche gli sprechi. Fra questi ultimi, rientra la spesa esorbitante che l’Italia ha dovuto sostenere per ottenere dalla Lockheed Martin i nuovi caccia F-35, in una versione… di “livello-2”, cioè tecnologicamente degradata rispetto a quella in dotazione ad Usa e Gran Bretagna. Altro esempio di alleanza alla pari, insomma.

Al termine degli interventi, la parola è passata alle domande del pubblico in sala. Fra questi, di notevole valore l’intervento dell’ex senatore Fernando Rossi, del movimento Per il Bene Comune, il quale ha tracciato un inquietante scenario del clima di subordinazione, di sottomissione che si respira nei palazzi del potere italiani quando si parla degli Usa.