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Agora

di Giuliano Corà - 18/05/2010

 






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Morta nell’anno 415 dell’Era Cristiana – ma molto probabilmente lei avrebbe preferito che quell’anno venisse denominato come il 1168esimo dalla fondazione di Roma – Ipazia visse ad Alessandria d’Egitto. Era figlia di Teone, filosofo, matematico e custode del Serapeo, il tempio dedicato a Giove Serapide che era anche sede della famosa e preziosissima biblioteca, che custodiva i tesori del sapere greco. Allevata dal padre negli studi filosofici e matematici, divenne una delle persone più colte del suo tempo, ed uno dei filosofi più prestigiosi, tanto da essere chiamata a dirigere la Scuola Filosofica fondata da Plotino, nella quale teneva regolarmente lezione. Fu anche matematica ed astronoma di immenso valore, prodigiosamente in anticipo sui tempi. Nonostante, come vedremo, delle sue opere nulla sia rimasto, sembra estremamente probabile che essa fosse giunta ad intuire l’esistenza di quello che oggi chiamiamo Sistema Copernicano, e dell’ellitticità delle orbite celesti.
Ciò nonostante – anzi, proprio per questo – Ipazia entrò presto in contrasto col clero cristiano, che, dopo le persecuzioni dei primi secoli, con Costantino prima e soprattutto con Teodosio poi (Editto di Tessalonica, 380 d.C.) aveva rialzato la testa, divenendo potentissima gerarchia e sistema di potere. A Tessalonica esso era rappresentato da Cirillo (oggi Santo e Dottore della Chiesa), un fanatico sanguinario che prima perseguitò ferocemente i pagani, poi rivolse il proprio odio contro gli Ebrei: a lui si deve l’invenzione del termine e del concetto di ‘Deicidio’, che tanta ‘fortuna’ conoscerà nei secoli avvenire in ambito cristiano. Quelli che – nei primi pogrom della Storia: Cirillo fu un precursore – non vennero cacciati dalla città, vennero massacrati a migliaia, e i loro cadaveri bruciati in pubblici roghi; anche qui, Cirillo fu fiero antesignano dei futuri orrori che avrebbero segnato i rapporti col mondo ebraico. Ipazia non poteva certo sottrarsi a quella furia. Malvista perché pagana e ‘politeista’, nemica perché assertrice del diritto di pensare liberamente – di contro ad una Chiesa che esigeva la sottomissione cieca ed ottusa alle Scritture (“Inginocchiati!” impone il Vescovo Sinesio al Prefetto Imperiale; ed era vissuto anche prima, nel II° secolo, l’apologeta Tertulliano, cui viene attribuita l’affermazione: “Credo quia absurdum”, ‘Credo in quanto è assurdo’) – odiata perché donna che pretendeva di agire liberamente in una società che, da semplicemente maschile, il Cristianesimo stava trasformando in ferocemente misogina, anch’essa soccombette alla barbarie montante. Rimasta sola dopo l’assassinio di Teone, tradita dai vecchi allievi, tutti ben presto riparatisi sotto l’ala protettrice della nuova Chiesa, alla fine venne arrestata dai Parabolani, una Militia Christi composta di fanatici ignoranti, veri e propri sicari agli ordini di Cirillo. Venne lapidata, le vennero cavati gli occhi mentre ancora respirava, poi venne squartata. Le sue opere vennero bandite e bruciate e di esse oggi, come abbiamo detto, non rimane nemmeno un rigo. Successivamente, la Chiesa operò nei suoi confronti anche una vera e propria damnatio memoriae, se è vero che, prima del film di Amenabàr e di alcune opere a stampa uscite di recente, rarissimamente la storiografia e forse mai la letteratura si erano occupati di lei.

Agora – l’Agora delle città greche, lo spazio nel cuore della città ove filosofi e cittadini si recavano liberamente a filosofare – le rende finalmente onore, strappandola dalle nebbie dell’indistinto e narrando pubblicamente il suo genio, la sua storia e la sua tragedia. Non è stato facilissimo nemmeno questa volta, squarciare il velo del silenzio, tant’è vero che, uscito due anni fa in Spagna con grandissimo successo, il film ha incontrato forti quanto misteriose e vaghe resistenze per essere distribuito in Italia. Niente di nuovo, comunque. Perfino i fumettoni di Dan Brown hanno conosciuto la persecuzione e l’ostilità delle gerarchie cattoliche: figuriamoci se non sarebbe accaduto lo stesso per questo film, che non di fantastiche sciocchezze narra, ma di quel fanatismo ed intolleranza che sono stati la cifra della storia del Cristianesimo, e le cui manifestazioni sono ben vive ancor oggi. Eppure sbaglierebbe – ed Amenabàr l’ha pubblicamente ed esplicitamente affermato – chi volesse vedere in Agora un pamphlet anticristiano. Certo: la ‘fondazione del Mito’ cristiano avvenne nel sangue, e se mai è accaduto che il Cristianesimo sia stata una religione d’amore e di pace, certo non lo fu in quei secoli, quando i detentori del potere erano degli assassini seriali impegnati solo a difendere se stessi, mentre le gerarchie ecclesiastiche non avevano altra funzione che di fornir loro il supporto ideologico adatto. Sarebbe tuttavia bastato solo che al film fosse stata allegato una ‘appendice’, che si fosse andati avanti non di molto, di soli due secoli: e si sarebbe arrivati al 642 d.C., Anno 20esimo dall’Egira, quando un altro fanatico, il Califfo Omar, in nome di un’altra fede, l’Islam, bruciò nuovamente la Biblioteca di Alessandria. Si dice che la sua motivazione sia stata che “o in quei libri ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte”: se anche fosse leggendaria, come pare, è tuttavia perfettamente verosimile, e illuminante.
La questione, infatti, non sta nel cercare di stabilire se esista un cristianesimo ‘buono’ ed uno ‘cattivo’ (falso problema che Amenabar smonta subito mostrando la sostanziale identità tra la posizione di Cirillo e quella di Sinesio) – come per esempio si sta cercando di fare da anni col ‘mito’ del Cristianesimo Postconciliare – né se esista parimenti un islam estremista ed uno ‘moderato’. Il problema è semplicemente e radicalmente un altro, e si chiama religione rivelata. Qualsiasi Rivelazione – giudaica, cristiana, islamica – contiene di per sé l’idea di Verità assoluta, non discutibile perché derivante direttamente da Dio. Il ‘fedele’ (muslim: ‘devoto a Dio, fedele a Dio’) di ognuna di queste Rivelazioni ha, non il diritto, ma il dovere di combattere chiunque la pensi diversamente, che in quanto tale è negatore della Verità, cioè negatore di Dio, naturalmente l’unico. Il ‘Male Assoluto’ è dunque il concetto stesso di Rivelazione. Certo, Ipazia è stata una martire del Paganesimo – e per questo la onoriamo, e libiamo ai suoi Mani – ma prima di tutto è stata una martire del monoteismo e della folle arroganza delle religioni rivelate. E sbaglierebbe anche chi volesse farne una specie di martire laica del Libero Pensiero, una specie di Santa illuminista. Non è il Libero Pensiero, quello che Ipazia rivendica, ma semplicemente la libertà di pensiero, la libertà di poter scegliere la visione del mondo preferita e di praticarla liberamente, senza scomuniche, senza persecuzioni e naturalmente senza chiese. Finché il Dio sarà sopra di noi, invece che dentro di noi, ciò non avverrà mai.
Amenabàr racconta questa ‘storia’ con esemplare limpidezza. Tanto la ricostruzione storica è precisa e puntuale – persino il cielo notturno osservato da Ipazia è quello del tempo – quanto la narrazione è sobria e rigorosa, senza nessuna concessione a facili emotività, e l’ovvio romanzare delle vicende, che sempre si accompagna al film ed al romanzo storico, qui viene usato non per caricare ad effetto bensì per alleggerire certe situazioni, che troppo irrazionale orrore avrebbero suscitato nel pubblico se mostrate nella loro verità: per esempio, appunto, la morte della filosofa. Un film, come ho scritto non molte altre volte, ‘da mostrare a scuola’, come lezione sulla libertà e sulla tolleranza, ricordando sempre, come bene ha scritto Ferdinando Menconi su “Il Ribelle” n. 19/2010 (www.ilribelle.com), che “la tolleranza può anche essere una potente arma data in mano a chi tollerante non è, e che essa non può essere applicata agli intolleranti”.

Da  http://giulianolapostata.wordpress.com/