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Un massacro di arabi nascosto da uno stato di amnesia nazionale

di Catrina Stewart - 20/05/2010





Gerusalemme – Più di un inconsapevole visitatore a Gerusalemme è caduto preda della bizzarra illusione di essere il Messia (la cosiddetta “sindrome di Gerusalemme”, ndt). Solitamente vengono portati nei tranquilli dintorni dell’ospedale psichiatrico Kfar Shaul, situato nella periferia della città, dove sono amorevolmente assistiti.

Ironia della sorte, i pazienti del Kfar Shaul si rimettono da vari tipi di amnesia relativa proprio a quegli eventi che Israele ha cercato cancellare dalla memoria collettiva.

Il luogo è Deir Yassin. Villaggio arabo raso al suolo nel 1948 dalle forze israeliane alcune settimane prima della creazione di Israele, Deir Yassin è diventato il simbolo dell’espropriazione palestinese, forse più di qualunque altro luogo.

Sessantadue anni dopo, quello che è realmente accaduto a Deir Yassin quel 9 aprile resta nascosto da bugie, esagerazioni e contraddizioni. Ora Ha'aretz, quotidiano liberal israeliano, sta cercando di fare luce su questo mistero, presentando un’istanza all’Alta Corte di giustizia israeliana affinché siano rese pubbliche le prove scritte e fotografiche sepolte negli archivi militari. I sopravvissuti palestinesi di Deir Yassin, un villaggio di circa quattrocento abitanti, dichiarano che gli ebrei vi perpetrarono un vero e proprio massacro, spingendo i palestinesi a fuggire a migliaia, minando così il racconto israeliano, a lungo sostenuto, in base al quale i palestinesi avrebbero lasciato la zona di loro iniziativa.

La versione contrastante di Israele sostiene che Deir Yassin è stato teatro di una battaglia all’ultimo sangue dopo che le forze ebraiche si sono inaspettatamente trovate a dover affrontare la resistenza strenua degli abitanti del villaggio. Tutte le vittime, si dice, sono morte in battaglia.

Nel 2006 una studentessa israeliana di lettere, Neta Shoshani, fece richiesta per avere accesso agli archivi di Deir Yassin per un progetto universitario, credendo che l’embargo di cinquanta anni sui documenti segreti fosse finito otto anni prima. Alla ragazza venne concesso un accesso limitato al materiale, ma fu informata del fatto che il divieto ai documenti più riservati era stato prorogato. Quando un avvocato chiese spiegazioni in merito, risultò che una commissione ministeriale aveva prolungato il divieto solo un anno dopo la richiesta iniziale di Shoshani, esponendo lo stato a una contestazione legale. L’attuale embargo dura fino al 2012.

Difendendo il proprio diritto a mantenere la segretezza dei documenti, lo Stato israeliano sostiene che la loro pubblicazione influenzerebbe negativamente l’immagine del Paese all’estero e innescherebbe tensioni tra arabi e israeliani. Il quotidiano Ha'aretz e Neta Shoshani hanno replicato che l’opinione pubblica ha il diritto di sapere e di affrontare il passato.

I giudici, che hanno visionato tutte le prove archiviate su Deir Yassin di cui è in possesso lo Stato di Israele, devono ancora decidere cosa rendere pubblico, sempre che scelgano di farlo. Tra i documenti che si ritiene siano nelle mani dello Stato, c’è il rapporto incriminante redatto da Meir Pa'il, un funzionario israeliano che ha condannato i suoi connazionali di essere assetati di sangue e di aver tenuto una condotta deplorevole quel giorno. E ugualmente incriminanti sono le molte fotografie che sopravvivono ancora oggi.

"Le fotografie mostrano chiaramente che è stato compiuto un massacro”, afferma Daniel McGowan, professore americano in pensione che lavora con la Deir Yassin Remembered (organizzazione che si batte per avere giustizia per le vittime del massacro di Deir Yassin, ndt). “Quelle foto mostrano gli abitanti del villaggio allineati contro il muro di una cava che vengono uccisi”.

Nel 1947 le Nazioni Unite proposero un piano di partizione che avrebbe diviso i territori palestinesi in uno Stato ebraico e uno Stato arabo, con Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Gli arabi si opposero ferocemente al piano e ci furono diversi scontri mentre entrambe le parti si spartivano il territorio prima della fine del mandato britannico. Nell’aprile 1948 l’Haganah, predecessore dell’esercito israeliano, lanciò un’operazione militare per assicurare il passaggio tra le zone ebraiche conquistando i villaggi arabi situati sulle alture che davano sulla strada per Gerusalemme.

L’Irgun e la Banda Stern, gruppi paramilitari secessionisti, prepararono piani separati per conquistare Deir Yassin, situato in postazione strategica, con una incursione lanciata prima dell’alba del 9 aprile 1948, nonostante gli abitanti del villaggio avessero firmato un patto di non aggressione con gli israeliani al quale si erano attenuti. Nel suo libro, La Rivolta, Menachim Begin, futuro primo ministro israeliano, racconta come le forze israeliane utilizzarono un altoparlante per spingere tutti gli abitanti a lasciare il villaggio. Quelli che restarono iniziarono a combattere.

"I nostri uomini furono costretti a combattere in ogni abitazione; per sconfiggere il nemico utilizzarono moltissime bombe a mano”, scrisse Begin, il quale non era presente al momento della battaglia. “E i civili che non rispettarono le nostre indicazioni subirono inevitabili perdite. Sono certo del fatto che i nostri ufficiali e i nostri uomini volevano evitare ogni singola vittima non necessaria”.

Tuttavia, il racconto di Begin è contestato dai ricordi dei sopravvissuti e dei testimoni. Abdul-Kader Zidain aveva 22 anni nel 1948 e si unì immediatamente a un gruppo di 30 combattenti del villaggio per respingere l’offensiva ebraica, sebbene fossero in netta minoranza.

"Entravano nelle case e aprivano il fuoco uccidendo le persone che vi erano all’interno. Aprivano il fuoco su chiunque vedessero, donne e bambini”, afferma Zidain, che ha perso quattro dei suoi parenti stretti, compresi suo padre e due fratelli, nell’attacco. Oggi il fragile 84enne, che vive in un villaggio della Cisgiordania, dice di ricordare tutto come se fosse ieri. I testimoni sopravvissuti sono sostenuti da Pa’il, il cui racconto dettagliato di testimone è stato pubblicato nel 1998. In attesa di essere riassegnato, andò a vedere l’attacco in quanto parte del suo compito era quello di tenere a bada Irgun e la Banda Stern.

Dopo che la battaglia cessò, Pa’il dice di aver sentito degli spari sporadici venire dalle case ed è andato a indagare. Lì ha visto che i soldati avevano spinto gli abitanti  del villaggio agli angoli delle loro abitazioni e poi avevano aperto il fuoco su di loro uccidendoli. Poco dopo vide un gruppo di circa 25 prigionieri che venivano portati in una cava tra Deir Yassin e il vicino villaggio di Givat Shaul. Da un punto strategico posto in alto in cui si trovavano lui e un suo compagno, riuscirono a vedere quello che accadeva e a fare delle fotografie. “C’era una parete naturale lì, formata dal terreno rimosso. Spinsero i prigionieri contro il muro e spararono a tutti”, afferma. Infine Pa’il racconta come gli ebrei del vicino campo di Givat Shaul intervennero per porre fine al massacro.

Nel misto di confusione e rabbia che seguirono all’eccidio di Deir Yassin, entrambe le parti gonfiarono il numero delle vittime palestinesi per ragioni molto diverse: i palestinesi volevano sostenere la resistenza e attirare l’attenzione dei paesi arabi sperando che questi potessero aiutarli; gli ebrei volevano spaventare i palestinesi e spingerli a scappare.

Dopo che le acque si calmarono, Zidain e gli altri sopravvissuti fecero il conto di quanti mancassero all’appello e giunsero alla conclusione che 105 palestinesi erano morti a Deir Yassin, e non 250 come spesso riportato. Anche quattro ebrei avevano perso la vita. Ma il danno ormai era fatto. Le notizie che arrivavano da Deir Yassin portarono a un crollo completo della morale e molti storici ritengono che questo singolo evento sia stato il catalizzatore della fuga dei palestinesi. Secondo le stime dell’Onu, 750mila palestinesi hanno abbandonato le loro abitazioni dalla guerra di indipendenza del 1948, circa il 60 per cento della popolazione araba della Palestina prima della guerra.

In questi giorni menzionare Deir Yassin alla maggior parte dei giovani israeliani equivale a parlare del nulla. Non lontano dall’ospedale di Kfar Shaul due ragazzi scuotono la testa in segno di diniego a una domanda su Deir Yassin. Dicono di non averne mai sentito parlare.

"La maggior parte degli israeliani tacciono sull’argomento”, afferma il Professor McGowan. “Non negano più l’accaduto, semplicemente non ne parlano”.
Saranno i tribunali israeliani a decidere se rompere o meno il silenzio. “Questo è stato un evento cruciale nella nostra storia qui. È stato il primo villaggio che abbiamo conquistato e ha un significato importante per la guerra che ne è seguita”, afferma Shoshani. “Dobbiamo fare i conti con il nostro passato per il nostro bene. È nel nostro interesse”.

(Traduzione di Arianna Palleschi per Osservatorio Iraq)



The Independent, L’articolo in lingua originale