Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Non capisci niente!

Non capisci niente!

di Lorenzo Merlo - 24/08/2025

Non capisci niente!

Fonte: Lorenzo Merlo

 Credere di comunicare affermando. Questo è il problema.

O, il filo del proprio arazzo ha punti e colori limitati alle consapevolezze individuali.

Considerazioni forse utili da estrarre alla bisogna, ovvero ogni volta che, senza dubbio alcuno, non esitiamo a esclamare: “Non capisci niente!”

 “Disse che gli uomini vorrebbero agire seriamente, ma non sanno come fare. Tra i loro atti e le loro cerimonie c’è il mondo e in questo mondo scoppiano temporali e gli alberi si torcono al vento e tutti gli animali creati da Dio vanno e vengono, eppure gli uomini questo mondo non lo vedono. Vedono le azioni delle proprie mani, oppure vedono ciò che nominano e si chiamano per nome l’un l’altro, ma il mondo lì in mezzo per loro è invisibile” (1).

 Come se una candeggina razionalista fosse stata passata sul pavimento della nostra capacità di osservare e ascoltare, abbiamo serie difficoltà a riconoscere la banalità che la comunicazione avviene solo e soltanto in contesti in cui gli interlocutori dispongono di pari competenza. Sia che si parli del potere guaritore della meditazione sia del calcolo del carico massimale di un carro ponte del porto di Mumbai.

Figurativamente, disporre di pari competenza è muoversi nel medesimo spazio, senza perdere la strada, riconoscendo i particolari del territorio che via via emergono nello scambio, nel discorso. E disegnarne la mappa è constatare che ambo – o più – le parti le hanno realizzate così simili, da renderle intercambiabili.

Ponendo in dialogo una parte che parlava della meditazione, con una che parlava del carro ponte – fatto salvo per qualche superficialità elementare, di cultura diffusa – ogni affermazione si frantuma sul muro di inconsapevolezze dell’altro.

 Quando gli argomenti hanno tale gradiente di distanza e diversità, quanto sto cercando di esprimere fin qui appare evidente al punto che non si sente neppure l’esigenza di precisare in che termini nelle parole passa la comunicazione e in quali l’arco del tiro con il quale le spariamo, va fuori bersaglio. È tutto lapalissiano a tutti.

Seppure con esito opposto, la medesima dinamica – cioè quando e come un’affermazione viene riconosciuta nel suo pieno significato, quello che le abbiamo attribuito nel pronunciarla – sussiste sempre, in tutti gli scambi interpersonali, anche a carico del solo, cosiddetto, linguaggio del corpo.

 Tuttavia, se il fallimento dello scambio tra il competente di carro ponte con quello di meditazione non pare abbia bisogno di spiegazioni e motivazione, queste appaiono invece necessarie in altri contesti.

Ipotizzando che il carro ponte e le guarigioni a mezzo della meditazione corrispondano ad antipodi, ovvero alla massima diversità strutturale e sostanziale, anche riducendo tale distanza, il potenziale equivoco sussiste.

 Motivazione, disponibilità all’ascolto, livello di attenzione di una parte, gradiente di verifica dell’altra, emozioni, sentimenti, esigenze del momento possono facilmente realizzare l’equivoco, il fraintendimento, fino a livelli così elevati che, una volta emerso, viene ritenuto inaccettabile, e ci impedisce la disponibilità a constatarne il suo avvento e quindi la sua legittimità. Un epilogo che a sua volta implica l’impedimento ad assumerci la responsabilità di quanto avvenuto e la forte predisposizione a riferirla al nostro interlocutore.

 Basta niente a far crollare silenziosamente il ponte della comunicazione, alla faccia della precisione con cui ci eravamo espressi.

 “I fini e i propositi di cui credono investiti i loro movimenti gli uomini, in realtà non sono altro che un modo con cui descriverli” (2).

 Quanto finora detto può stare sotto l’egida del razionalismo logico-analitico. Infatti, l’avergli attribuito il potere universale di conoscenza, e quindi di comunicazione, ha comportato una piallatura di creatività umana, fino alla grottesca compressione del mondo e della vita entro le quattro regolette della meccanica classica. Emancipandosi dal peso di tale tabarro si può tornare a raccogliere la creatività castrata da quella compressione.

 Allora, ci si avvede del potere dell’emozione che tutto muove in noi, e un qualsivoglia Roma per toma cessa di aleggiare latente e volubile su ogni scambio.

Entro la medesima emozione non c’è terreno per il fiore dell’equivoco che, infatti, si potrebbe far corrispondere a un uso unilaterale di categorie, concetti, semantica. Medesima emozione significa, infatti, traguardare il mondo dal medesimo punto di mira, e quindi vedere il medesimo paesaggio. Non è un caso che inventiamo meridiani e paralleli metafisici per orientarci nel mondo che creiamo, e che per questo ci perdiamo nelle coordinate altrui.

 

“[Il narratore, nda] Mette in moto le categorie all’interno delle quali l’ascoltatore desidera far rientrare il racconto nel momento in cui lo ascolta. [...] non c’è nulla che cada fuori dai suoi confini [quelli del racconto, nda]” (3).

 Entro la medesima emozione anche un gergo o un linguaggio differente tra le parti ha il massimo rischio di venire inteso secondo l’intento di chi lo emette.

 In un certo senso figurativo, essere entro la medesima emozione è come essere dentro la medesima corrente. Chiunque, per uscirne o per muoversi all’interno, darà i medesimi colpi di pagaia e chiunque, sbagliando colpo, non potrà nasconderlo, sarà riconosciuto e potrà ammettere il suo sbaglio senza mettere in gioco l’autostima. Chiunque per navigarla adotterà criteri estetici e non razionali.

Come il senso razionale ci avverte del giusto per il nostro io, quello estetico ci informa sul giusto per il nostro sé, una direzione attraverso il piacere come energetiche penetrazioni sensoriali, soltanto quantitativamente differenti da un orgasmo urlato.

 Dunque, anche tra parti di impari competenza, ma pari emozione, la comunicazione ha spazio per accadere.

 Il maestro, il genitore, noi tutti potremmo avviare una cultura relazionale svincolata dal giogo suprematista del razionalismo-egocentrista. A tale scopo, più che un corso, un master, o una laurea serve l’ascolto e l’osservazione. Arrivare a vedere il quando e il perché delle nostre reazioni e delle nostre azioni ­ che sono indicativamente sempre espressioni di due diverse emozioni, la reazione-affermazione a difesa dell’io, l’azione-ascolto di ricerca del sé ­ è una specie di abecedario in cui apprendere come costituire in noi una base di appoggio alla nostra evoluzione, all’evoluzione politica e culturale.

 Note

  1. Cormac McCarthy, Oltre confine, Torino, Einaudi, 2014, p. 41.
  2. Ivi, p. 127.
  3. Ivi, p. 133.