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Signorina Avidità

di Massimo Gramellini - 20/05/2010

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Nonostante un ingaggio non proprio miserabile (15 milioni di dollari), Sarah Jessica Parker ha svaligiato i camerini di «Sex and the City 2», portandosi a casa scarpe e borsette firmate, persino un set di bicchieri di cristallo. È tale l’identificazione fra l’attrice e il suo personaggio che la notizia esce dal cerchio del pettegolezzo per assumere un significato simbolico. Quando si farà del revisionismo televisivo, bisognerà affrontare il caso di quella serie amatissima, dove quattro ragazze dotate di senso dell’umorismo parlavano di sesso senza pudori. Per i maschi della mia età fu una rivelazione. Per le femmine una liberazione. In Carrie e nelle sue amiche vedevamo il frutto maturo del femminismo: donne in carriera, indipendenti e autosufficienti, che sguazzavano nel sistema con la stessa disinvoltura e gli stessi desideri di un uomo. Era un frutto puramente materialista, ma lì per lì nessuno volle farci caso. Storditi dall’ebbrezza del cambiamento, non perdemmo tempo a chiederci se avesse anche un valore. E nessuno si accorse che le quattro newyorchesi erano le sorelle ideali dei finanzieri di Wall Street, a cui le accomunava un’identica spinta: l’avidità.

L’avidità non è un prodotto del consumismo. Semmai del turbo-consumismo: la versione esasperata, che consiste nel volere sempre di più e sempre più in fretta. Così, a furia di accumulare borsette, sono crollate le Borse. E sotto le macerie non è rimasta Carrie, ma quelle che sognavano di assomigliarle e ora devono pagarle il conto dello shopping.