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Arriva la superstangata UE. Italia come la Grecia?

di Marcello Foa - 30/09/2010

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Come capita di sovente le notizie più importanti sono quelle che sfuggono al radar dei grandi media. E infatti questa notizia non la trovate sulla home page dei principali quotidiani nazionali (tranne quella del Giornale.it), ma solo su quelli economici come il Sole 24 Ore, ma con tono anodino, tranquillizzante. E invece è una bomba, che annuncia una superstangata europea per l’Italia, che rischia di dover adottare misure simili a quelle imposte alla Grecia.

Infatti la Commissione europea ha adottato la proposta legislativa che riscrive il Patto di Stabilità. I dettagli tecnici e la versione soft li trovate in questo articolo del Sole 24 Ore ( http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-09-29/nuovo-patto-stabilita-stretta-130210.shtml?uuid=AYM8spUC ), ma le sue implicazioni sono spiegate molto bene in questo pezzo del Fattoquotidiano ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/27/ue-conti-pubblici-berlino-detta-la-linea-dura-e-per-l’italia-sono-guai/65182/ ).

In sintesi.

- I Paesi caratterizzati da un rapporto debito/Pil superiore al 60% dovranno infatti tagliare l’eccesso del proprio debito di almeno un ventesimo all’anno se vorranno evitare di incorrere nelle sanzioni di Bruxelles.

Dunque l’Italia dovrà tagliare otto punti in tre anni, pari a 130 miliardi di euro

- Chi non ottempera deve pagare una multa pari allo 0,2% e subire tagli ai fondi per lo sviluppo e ai sussidi agricoli, sospensione del diritto di voto nel Consiglio dei ministri dell’Unione per quegli Stati membri incapaci di adeguarsi alle direttive.

A spingere in questa direzione è l’establishment europeo del misterioso presidente Von Rompuy, che il Financial Times considera molto influente (guarda caso), e della Germania che guida il drappello dei “duri e puri”.

Non è ancora detto che il Patto di stabilità venga adottato in questa forma. L’Italia si oppone, la Francia anche. Ma la direzione è quella e d’altronde lo stesso Tremonti, nell’intervista che poche settimane fa ho citato su questo blog, ha lasciato intendere che la decisione ormai è presa. L’Italia potrà limare e attenuare, ma non potrà spingersi oltre.

Da parte mia alcune considerazioni.

- Che l’Italia debba ridurre il debito è fuor di dubbio, ma imporre una tabella di marcia di questo tipo mi sembra folle, perché significa uccidere qualunque speranza di crescita e, anzi, in epoca di deflazione come questa, provocare un arretramento dell’economia reale e uno suo depauperamento, questo sî strutturale. Crollo dei consumi, moria di piccoli commerci e piccole imprese, aumento della disoccupazione. Il rimedio è peggiore del male?

- Che senso ha punire con multe stratosferiche un Paese che non ha risorse finanziarie per rispettare la tabella di marcia? E’ come chiedere soldi a un imprenditore sul lastrico. Non li ha e così accentui le sue difficoltà. Misura strampalata.

- Dietro questo percorso vedo delinearsi due disegni.

Quello dell’establishment europeo che si batte per il definitivo disgregamento degli Stati nazionali e un trasferimento di potere e sovranità a Bruxelles, ma senza consenso popolare diretto; dunque gestendo l’Europa secondo gli attuali nebulosissimi criteri, che attribuiscono all’Europarlamento poteri marginali.

E quello della Germania la quale pretende che l’Europa si adegui ai propri standard, senza chiedersi se tutti i Paesi possano adottare le sue strutture economiche, finanziarie e sociali. Come ho già scritto, riconosco ai tedeschi molti meriti, ma il loro modello non è applicabile dappertutto e non può essere esportato in modo rigido, perché implica, alla lunga, l’eliminazione delle peculiarità di Paesi come l’Italia, che hanno un alto debito, ma anche virtù industriali proprie. Il rischio è di appiattire tutta l’Europa, rendendola nominalmente più stabile ma di fatto più povera, molto più povera, per compiacere la Germania. Ne vale la pena?

Entrambi gli scenari mi sembrano molto inquietanti. Ma sui giornali nessuno (o quasi) ne parlerà in questi termini. Prevarrà la retorica, prevarranno il provincialismo e la pavidità delle nostre élite (anche giornalistiche)

O no?