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Rifiuti d’importazione

di Giorgio Mottola - 07/10/2010



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Nella regione dell’emergenza, le imprese che lavorano nel settore del riciclo sono costrette a comprare l’immondizia al Nord. Più sacchetti finiscono in strada, meno materiale entra negli impianti.

C’è chi in Campania è costretto a comprare rifiuti fuori regione. È una storia che va avanti da anni. E nonostante tutti lo sappiano, anche con questa nuova emergenza nulla è cambiato. Al paradossale profilo dell’importatore di immondizia corrisponde Giuseppe Di Gennaro, imprenditore  che a Caivano manda avanti una piattaforma di recupero e valorizzazione di rifiuti. Il 45 per cento dell’immondizia che passa per il suo impianto proviene soprattutto dall’Emilia Romagna e da regioni del Nord Italia.
 
Ovviamente, dovendo aggiungere le spese di trasporto, i costi lievitano. «Ma non posso fare diversamente. Se lavorassi solo con i rifiuti campani, rischierei il fallimento. Con la quantità che mi arriva dai comuni della provincia di Napoli e Caserta, posso mandare avanti l’impianto per non più di due settimane al mese», spiega Di Gennaro.
 

Nelle punte critiche dell’emergenza la situazione peggiora. Più monnezza c’è per strada, meno ne entra nelle piattaforme e, dunque, nel processo del riciclo. Paradossalmente, da quando a Napoli si è riaperto il fronte immondizia, sono diminuiti i camion delle municipalizzate che varcano i cancelli della Di Gennaro Spa. «Noi abbiamo a che fare esclusivamente con rifiuti solidi urbani e ormai abbiamo capito che ogni volta che riesplode la crisi si assiste a un calo fisiologico delle quantità di materiale che ci vengono conferite», ammette l’imprenditore. Come si spiega? La Di Gennaro è specializzata nel trattamento della plastica e della carta, e quindi non lavora con il tal quale. I rifiuti arrivano solo se a monte c’è la raccolta differenziata. Per cui è molto probabile che in questa fase di emergenza una grossa parte dell’immondizia differenziata stia finendo in discarica. «Quando la raccolta è organizzata male, costa meno mescolare tutto e buttare negli sversatoi anziché differenziare», dice Di Gennaro.
 

La sua società, gestita insieme ai fratelli, fa parte del consorzio Polieco, che da anni conduce una battaglia per la legalità e la trasparenza nel settore, ed è stata premiata pochi mesi fa dal Presidente della Repubblica come “impresa di eccellenza nell’innovazione”. A Caivano, dove ha sede la società, a nord di Napoli, territorio dove la camorra è di casa, anche se con una geografia balcanizzata: si tratta infatti soprattutto di piccoli gruppi criminali, come i Pezzella, i Marino e i Natale, legati in maggioranza al clan Moccia. Contesto difficile, insomma. La Di Gennaro riceve i rifiuti dai comuni napoletani e casertani, seleziona e compatta plastica e carta e poi, dopo che il rifiuto è diventato materia prima seconda, o la manda in un impianto di trasformazione oppure la spedisce in Cina, dove c’è un’altissima richiesta di questi materiali.
 
Data la quantità di immondizia prodotta in regione e le difficoltà enormi di smaltimento, le imprese campane, che con gli scarti urbani ci lavorano, potrebbero essere autosufficienti, senza doverli importare. Infatti, la qualità dei rifiuti regionali, rivela Di Gennaro, non è più bassa di quelli dell’Emilia Romagna. Si intende cioè che la frazione di materiale estraneo presente nell’immondizia differenziata, che arriva nelle piattaforme, è agli stessi livelli delle altre regioni. Quando lo si fa, in Campania si riesce quindi a differenziare esattamente come nel resto di Italia. E, a dispetto dei pregiudizi, il ventre popolare napoletano ha persino un’anima più ambientalista rispetto alla borghesia dei quartieri alti: i rioni del sottoproletariato napoletano fanno una raccolta qualitativamente migliore rispetto ai quartieri benestanti. Racconta infatti l’imprenditore napoletano: «I rifiuti che ci arrivano da posti come San Giovanni a Teduccio o Barra sono differenziati molto meglio di quelli che vengono raccolti nelle zone altolocate come Posillipo o il Vomero».