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Le armi del neocolonialismo

di Vittoriano Peyrani - 05/11/2010

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Si deve considerare che il colonialismo non è terminato nella seconda metà dell’ultimo secolo con il formale abbandono dei territori da parte delle truppe occupanti e con la cancellazione dall’uso dei termini di protettorato e colonia: esso si è trasformato in un controllo delle sole attività economiche attraverso la corruzione di classi dirigenti politiche imposte con la violenza da parte di eserciti stranieri. La situazione si è poi mantenuta nel tempo per inerzia, per ignoranza della condizione effettiva, per incapacità o impossibilità di opporsi con rivolte popolari.
Si è continuato, dunque, a sfruttare le risorse di vari paesi con forme che non sarebbe improprio definire criptocoloniali.
Le persone che sono state delegate a governare per conto di gruppi economici dispongono di eserciti mercenari sempre pronti ad intervenire, controllati direttamente o da coloro che non vogliono modificare, per proprio interesse, lo status quo.
Accordi volti a sfruttare le risorse economiche di questi Stati (petrolio, derrate agricole di monocultura, materie prime ed altro) vengono stipulati con governanti fantoccio come se rappresentassero davvero il proprio popolo. Si stabiliscono intese internazionali di “reciproco aiuto” fra Stati tali da permettere interventi militari a protezione degli interessi delle multinazionali, giustificati falsamente come diretti a portare la democrazia, ad impedire il terrorismo, a difendere le popolazioni in pericolo, a ristabilire l’ordine.
Ancora più di frequente si ricorre ad assassini di politici che non vogliono allinearsi o che pretendono troppo alte contropartite. Di questi crimini poi si incolpano le opposizioni e, con il falso pretesto di questi, si effettuano grosse azioni repressive; talvolta con le proprie polizie mercenarie, talaltra servendosi di contractor o di personale di servizi segreti stranieri.
Dunque, al contrario di quanto si è indotti a pensare, il cosiddetto neocolonialismo ha avuto una grande espansione e interessa, ormai da più di mezzo secolo, ogni comunità del pianeta. Anche le popolazioni dei paesi che praticano tale forma di rapporti con altri Stati sono sottoposte ad uno sfruttamento analogo a quello neocoloniale a vantaggio di compagnie multinazionali.
Oggi il neocolonialismo si presenta con forme ipocrite, sostenute da un forte condizionamento culturale che è efficace soprattutto nei paesi più evoluti. In questi si occupano infatti tutti gli spazi mediatici possibili, dalla pubblicità all’informazione, dall’istruzione alle attività del tempo libero, pur lasciando, solo apparentemente, una certa libertà fino a che non diviene pericolosa. La pressione, arriva a un punto tale che non necessitano quasi più interventi polizieschi poiché i cittadini stessi spesso si prendono il compito di impedire ogni conato di libertà e di indipendenza di pensiero alla parte più intelligente e responsabile della comunità.
Dunque, dopo oltre sessanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, ci si può rendere conto che la perdita della sovranità, seguita all’occupazione militare che dura tuttora, non ha così scarso significato come alcuni pensavano. Il termine delle operazioni militari del 1945 non coincide con la fine della guerra all’Europa da parte degli Stati Uniti e del loro caudatario, la Gran Bretagna. Nel nuovo sistema socio-culturale, imposto con martellante propaganda, vengono accettate dalle masse, come cose normali, la perdita di indipendenza politica e le crisi economiche. Queste hanno riportato in vigore soggezione completa del lavoro al capitale, come ai primi tempi della rivoluzione industriale, e quindi una forma di schiavitù che è divenuta, per di più, precaria e discontinua: si lavora fino a che questo interessa all’azienda e poi si viene abbandonati al proprio destino, cosa che non succedeva agli schiavi veri e propri.
Un padronato industriale, anch’esso precariamente dipendente dal credito bancario, talvolta solo per sopravvivere talvolta solo per ottenere maggiori guadagni, delocalizza le attività disinteressandosi dei propri dipendenti, le cui retribuzioni, oltre che incerte nel tempo, sono in continua diminuzione così da costringere molti ad un indebitamento senza fine con le banche.
Le risorse del paese vengono sempre più intensamente sfruttate a scapito dei lavoratori e delle famiglie del luogo fino a che, ovviamente, si manifestano crisi economiche e conseguenti ribellioni.
Nelle condizioni di colonialismo classico del passato la nazione occupante doveva, in qualche modo, farsi carico quanto meno del sostentamento della popolazione: tale dovere, oggi, non viene nemmeno preso in considerazione non essendovi alcun rapporto istituzionale fra la multinazionale che sfrutta miniere o petrolio e gli abitanti che formalmente risultano indipendenti da queste.
Perdurando e aggravandosi dunque questo stato di crescente disagio, le rivolte possono degenerare in vere e proprie guerre. Per tali guerre non vengono elevate proteste popolari generalizzate anche se gli Stati democratici usano mezzi e armi distruttive con una ferocia degna delle più selvagge inciviltà. Tutta la propaganda “buonista” e dolciastra delle cosiddette democrazie viene ignorata e si procede a efferati assassini di massa. Quello che è più sorprendente è che la gente, completamente narcotizzata dai condizionamenti, accetta tutto questo come necessario e quasi doveroso avendo perso, con la ripetizione ossessiva di messaggi perversi, ogni capacità critica di fare distinzioni fra le parole ed i fatti.
Nessuno riesce a rendersi conto che la condotta aggressiva e feroce delle grandi democrazie ha tutti i crismi di quanto si attribuisce ai malcapitati avversari, definiti antidemocratici e terroristi. Per giustificarsi delle proprie scelleratezze i gruppi di potere mondialisti costruiscono a tavolino inesistenti comportamenti molto riprovevoli dei “nemici” di cui si vuole occupare il territorio a fini di più libero sfruttamento economico.
Nessun giornalista del cosiddetto “Mondo Libero” ha la capacità intellettuale, il coraggio o la volontà di considerare come tali i delitti delle democrazie neocolonialiste. Solo per fare qualche esempio, il lancio delle due bombe atomiche sul Giappone ormai vinto, la strage dei bombardamenti su Dresda, i massacri continuati in Iraq, in Afghanistan e in Palestina vengono del tutto ignorati e rimossi. I recenti bombardamenti su Belgrado, con morti e distruzioni, sono supinamente accettati da un’opinione pubblica strettamente condizionata.
Altre modalità della sopraffazione neocolonialista sono rappresentate dall’uso strumentale del potere finanziario.
Si può considerare, come esempio, la recente sottomissione della Grecia: vediamone i meccanismi.
La speculazione internazionale ha acquistato buoni del tesoro di detta nazione e li ha poi svenduti subito prima della scadenza. Questo ha avuto come conseguenza la fuga da detti titoli dei risparmiatori. Tale manovra ha messo il governo di Atene e la popolazione tutta alla mercé dei diktat della finanza internazionale cui si è stati forzatamente costretti a ricorrere. Non si è avuto, infatti, il coraggio, dopo un lungo sfruttamento usuraio basato sugli interessi sui prestiti, di denunciare il debito e concordare un rimborso parziale come ha fatto l’Argentina in una situazione analoga. Si noti bene che, in un sistema che vanta continuamente di essere democratico, gruppi finanziari che non sono stati eletti da nessuno, hanno un potere di gran lunga superiore a quello di parlamenti eletti a suffragio universale! Questi gruppi hanno anche avanzato pretese di riduzione di stipendi, di innalzamento dell’età pensionabile, di aumenti delle tasse e di liberalizzazioni, cioè svendite alla finanza speculativa privata di beni pubblici.
Il più emblematico esempio di questi è l’imposizione della privatizzazione della distribuzione dell’acqua che si è deciso approfittando della crisi economica in corso. Di detta crisi è chiara la responsabilità delle grandi banche internazionali e quindi il cerchio si chiude: si crea o non si ostacola la crisi e si acquistano a prezzi di fallimento le attività statali per poi aumentarne i costi e guadagnare in un crescendo esponenziale sempre a danno delle comunità.
Oggi il neocolonialismo, come si vede, colpisce non solo nazioni sottosviluppate, ma può anche prendere il controllo di interi popoli e di interi continenti. Questo evidenzia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’ambiguità del sistema democratico e dei suoi riti elettorali. Forse esso è il miglior brodo di cultura della plutocrazia finanziaria internazionale. Infatti per imporlo si investono enormi capitali in continue guerre in ogni luogo.
Ma questo avviene perché finanza e condizionamento mediatico (propaganda) sono legati e interdipendenti fra di loro, o per essere più precisi, la finanza controlla in modo totale tutte le costosissime centrali di emissioni di informazioni. Bisognerebbe trattare più diffusamente degli effetti della informazione manipolativa.
Quando invece una nazione non accetta la sottomissione allora si interviene con sanzioni economiche quasi fosse un giusto diritto proclamarle e metterle in atto. Esse si abbattono su interi popoli incolpevoli, privati di beni di prima necessità a partire dai prodotti medicinali. Una propaganda demonizzante generalizzata su ogni tipo di emissione di messaggi in tutto il globo cerca di giustificare queste operazioni. E’ quanto è avvenuto anche con l’Italia negli anni trenta e continua a ripetersi, ultimamente con l’Iraq, l’Afghanistan, l’Iran e la Palestina.
Quasi tutte le altre nazioni sono costrette a seguire i voleri degli Stati Uniti d’America, braccio armato della Banca Mondiale, della Banca dei Regolamenti Internazionali, dell’Organizzazio-ne Mondiale del Commercio e di altri organismi finanziari, insomma della cupola finanziaria del pianeta. I governi già controllati attraverso la corruzione, sono intimoriti anche dalla insicurezza dovuta ad un alto debito pubblico che può essere messo in riscossione in qualunque momento e dalla forza apparentemente illimitata delle centrali finanziarie internazionali che assommano la forza militare a quella economica. Circa il debito pubblico ci sarebbe da dire che esso è una sovrastruttura creata dalla concessione della sovranità monetaria (libera emissione di denaro non controllabile dai governi) alle Banche Centrali, come la Banca d’Italia e la Bce che sono private e che possono creare danaro dal nulla e prestarlo ad interesse agli Stati. I governi vengono ricattati anche perché si sono precedentemente assoggettati ad accettare il cosiddetto “pensiero unico politicamente corretto” ritenendolo, con superficialità, solo chiacchiere.
Qualora qualche nazione non si voglia sottomettere, dopo aver esercitato le dette pressioni, si costringono altre a fare altrettanto anche per renderle complici delle proprie prepotenze. Dopo eventuali prese di posizioni anche di organismi internazionali chiaramente sotto controllo, si iniziano le provocazioni. Successivamente si passa alle operazioni militari vere e proprie per “portare la democrazia” o per “difendersi dal terrorismo” del quale non sono per nulla chiari i mandanti, come per esempio negli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. Anche in questo caso la ripetizione continua di slogan propagandistici costringe nazioni, che dovrebbero essere libere e sovrane, a fingere di prendere per veri i pretesti e ad accodarsi riottose al paese aggressore entrando in guerra, (mi scuso, contribuendo alle missioni di pace), con ogni tipo di armamento acquistato dagli stessi paesi che hanno provocato il conflitto (!).
Non credo che sia il caso di fare esempi e svelare i meccanismi ripetitivi del paese neocolonialista per eccellenza, che ognuno dovrebbe individuare da sé, eventualmente con uno sforzo per superare i pregiudizi ideologici imposti da un’informazione truccata.
E’ chiaro che non è l’Iran a far paura all’Europa per una volontà di violenza che gli viene attribuita da chi, tra l’altro, si ripropone di distruggere non solo i popoli europei, ma anche tutti gli altri. Modalità di questa distruzione sono la spinta ossessionante verso la società multirazziale, la frustrazione di ogni libera azione in politica nazionale ed estera e l’imposizione di una gerarchia di valori e di persone sbagliati. Sono buone complici di queste falsificazioni della realtà le ben note teorie egualitarie imposte con guerre e legislazioni fortemente repressive.
Solo i popoli Europei, (e gli Americani lo sanno benissimo) svegliatisi dal torpore dell’informazione manipolativa, potranno opporsi a questa degenerazione dei rapporti internazionali e sociali pericolosi per la sopravvivenza stessa delle nazioni, delle comunità e infine anche dei singoli.
Notiamo con molta preoccupazione che lo sviluppo della tecnica e dell’automazione rende infatti inutile la presenza di masse lavoratrici, già oggi utilizzate solo come consumatori.