Una messicana cinquantenne ha partorito la settimana scorsa un bambino concepito col seme del proprio figlio. Non si tratta però, tecnicamente, di incesto, ma delle possibilità dell’ingegneria genetica di realizzare i desideri. Il figlio della madre-nonna, infatti, è un imprenditore trentunenne omosessuale, e il bimbo è stato concepito in provetta con il suo seme e con un ovocita donato da un’amica. La donna ha offerto il proprio utero per farlo nascere. Una storia di dono e generosità.
La nonna voleva un nipotino, e l’ha avuto. L’uomo voleva un figlio, ed è accontentato. L’amica ha donato il suo uovo con piacere. Lo scenario, molto postmoderno, è quello di una molteplicità di desideri in sé difficili, realizzati attraverso la cooperazione di persone che si vogliono bene e della sapiente ingegneria riproduttiva.
In questa fiaba tecnoscientifica, che la nonna-mamma ha detto di essere ansiosa di poter raccontare al bambino per mostrargli questa sua storia così speciale e meravigliosa, c’è però un furto. Inequivocabile, sicuro, per certi versi autonomo delle variegate obiezioni morali che molti muoveranno a questo evento, e ai suoi protagonisti. Si tratta del furto della madre. Vale a dire di quella persona con la quale il bambino rimane a lungo identificato per un non breve periodo dopo la nascita, e che secondo la psicoanalisi rappresenta subito dopo la nascita il suo stesso Sé, a partire dal quale si svilupperà il centro della sua personalità conscia e inconscia.
Questa madre-Sé, potente motore della crescita psicologica e fisica del bambino ha due aspetti: uno generativo, l’ovocita dalla cui fecondazione ha preso le mosse la vita del bambino, ed uno di custodia, il corpo che accoglie, col quale il bambino sviluppa una simbiosi pressoché totale fino alla nascita, e importante anche dopo.
In questa storia però, la ricca totalità materna, aspetto fondante della personalità del bimbo, non c’è. L’ovulo è il dono di un’amica del padre, e il misterioso corpo materno, che rappresenta la fusione tra lo sviluppo di quell’ovulo e la simbiosi col corpo-psiche del figlio, è sostituito dal corpo della nonna, madre del padre.
Lo scenario è avveniristico, ma il risultato è “reazionario” nel senso letterale del termine, perché porta la situazione del bimbo che nasce indietro di una generazione. Lo sviluppo dato dall’incontro del seme del padre con un nuovo femminile, la donna con cui si incontra e che feconda, qui avviene solo a metà: l’ovocita donato dall’amica, che non è però la donna nella quale il bimbo vive l’importantissimo periodo dello sviluppo prenatale. Questo secondo ambiente formativo difficilmente porterà ricchezze emotive ed affettive nuove, originali al figlio che nasce, perché è lo stesso in cui già il padre, nella generazione precedente, aveva vissuto la propria formazione prenatale e la propria simbiosi, con la stessa donna con la quale tocca ora di viverla al figlio.
Il tempo, aspetto fondamentale nello scorrere delle generazioni e nello sviluppo creativo, affettivo e psicologico che in esse si produce, qui è retrodatato al momento della fusione del padre con la propria madre. Evento che evidentemente ha condizionato tutta la vita del padre, che infatti rimette ora il figlio nello stesso luogo, e nello stesso tempo della propria nascita.
Al figlio della tecnica e dei favori incrociati è così negato il Sé di un materno insieme generativo e accogliente, rappresentativo del femminile fecondo di oggi e delle sue ricchezze, per affidarlo a quello, già collaudato, della madre del padre. La tecnica al servizio della regressione.