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Con Capitan Harlock gli uscocchi dello spazio

di Massimo Carletti - 19/11/2010



«Io vago per i confini dello spazio, la gente mi chiama Capitan Harlock... Il Black Jack è issato sulla mia nave, e con questa bandiera che sventola tra le stelle io vivo in libertà. L'universo è la mia casa ... La voce sommessa di questo mare infinito mi invoca, e mi invita a vivere senza catene. La mia bandiera è un simbolo di libertà».
Capitan Harlock, nome originale Uchu Kaizoku Captain Harokku, nasce come fumetto nel 1977 riscuotendo un successo tale da convincere la Toei Animation a farne un cartone animato. La serie è ambientata nel 30° secolo, epoca in cui l'umanità, grazie al forte sviluppo tecnologico, vive in completa pace e circondata da ogni comfort possibile. I lavori sono svolti dalle macchine che dopo aver prosciugato le risorse del pianeta continuano la loro opera sugli altri pianeti del sistema solare.
La Terra, eliminati tutti i conflitti, è diventata un'unica nazione amministrata da un governo centrale, il quale provvede a fornire gratuitamente ogni tipo di agio alla popolazione, che già affrancata dall'incombenza del lavoro passa il tempo rapita dalle immagini trasmesse sugli schermi televisivi. Questa, inconsapevolmente, è anche la sua condanna. Attraverso l'etere infatti, vengono emesse onde ipnotizzanti che inebetiscono la totalità della massa spettatrice. È il prezzo da pagare alla dittatura del finto benessere, della pace e della vita comoda.
A tutto questo, consapevole della degenerazione della società umana e del suo inevitabile oblio, si ribella un uomo. Il suo nome è Capitan Harlock. A bordo della sua nave spaziale, l'Arcadia, prende quegli uomini ancora in grado di decidere del proprio destino e salpa verso lo spazio cosmico, lasciandosi alle spalle la decadenza e il rapido declino del pianeta natio, nel quale non può più riconoscersi.
L'ideatore della serie è Reiji Matsumoto (vero nome Akira Matsumoto), nato a Kurume il 25 gennaio 1938. È pertanto solo un bambino, mentre imperversa il secondo conflitto mondiale. Il padre è un pilota dei caccia "Zero", e questo influenzerà la sua ispirazione futura tanto che una delle sue prime storie sarà proprio "Zero Pilot". Negli anni sarà, infatti, sempre attratto dalla guerra, divenendo anche un gran collezionista di cimeli bellici dell'esercito del Sol Levante. Nello stesso periodo della sua crescita professionale, iniziata con un primo fumetto nel 1953, in Giappone si afferma la straordinaria figura dello scrittore Yukio Mishima, che nelle sue opere tratta anche dell'umiliante occupazione statunitense subita dal Giappone e della conseguente ed implacabile perdita d'identità del popolo nipponico. Come risposta a ciò, Mishima sposa totalmente il bushido (la via del guerriero degli antichi samurai), fondando nel 1968 assieme a degli studenti, l'associazione "Società dello Scudo", il quale nel 1970 compie l'ardita impresa di occupare il quartier generale delle forze armate giapponesi, prendendo in ostaggio il capo di stato maggiore con l'intento di risvegliare l'autentico spirito nipponico. Il tentativo fallisce ed il grande scrittore si da la morte con il tradizionale seppuku, davanti agli increduli occhi dello stato maggiore.
La critica che Mishima muove contro la società giapponese, e di riflesso all'intero sistema post-bellico imposto dai vincitori, è perfettamente comparabile a quella che Matsumoto compie nelle sue serie. Il fatto di essere quasi coetanei e di aver vissuto le stesse sensazioni durante il lento degrado di un Giappone occupato, non può non aver influito Matsumoto come già fatto profondamente con Mishima. In Capitan Harlock troviamo una terra ed i suoi abitanti completamenti immersi nell'apatia, vittime di quel progresso tecnologico divenuto una sorte di religione senza spiritualità. Una società molto simile a quella descritta da Ray Bradbury in Fahrenheit 451.
Come Montag, il protagonista del romanzo di Bradbury che si ribella al suo ruolo di inceneritore di libri e che trova infine la via da percorrere seguendo gente come lui rifugiata nel verde fuori la città, allo stesso modo l'equipaggio dell'Arcadia trova il suo spazio vitale nell'infinità dell'universo seguendo solamente la strada illuminata dai propri ideali di libertà. L'astronave come mezzo di fuga da un mondo impazzito, riprende del resto la figura del veliero che solca gli oceani con il suo carico di disperazione e d'avventura. Anche l'italiano Vincenzo Fani Ciotti, conosciuto come Volt, nel 1927 darà alle stampe il romanzo futurista La fine del mondo, nel quale ancora le astronavi, anzi più precisamente le "eteronavi" sono il mezzo di fuga di un gruppo di uomini in rivolta, nell'anno 2247, contro un potere mondialista con sede a New York.
Non meno importante è il ruolo svolto nella saga dall'equipaggio dell'Arcadia, composto dalle uniche persone che Capitan Harlock ritiene degne di considerazione. Personaggi che vivono in un ambiente confusionario e nel quale il disordine regna sovrano: l'assistente pilota Yattaran, quando non è impegnato nella navigazione lo si trova nei corridoi a giocare con i suoi modellini; Mazu San è la cuoca di bordo in perenne battaglia per la difesa delle provviste con il gatto del dottor Zero, il medico di bordo, costantemente ubriaco ma lucido nel momento del bisogno. Una sorta di normalità la danno Tadaschi Daiba, pilota di Space Wolf e allievo del Capitano, la seconda assistente di volo Yuki segretamente innamorata di Harlock e Meeme la creatura eterea salvata dalla distruzione del proprio pianeta, che riesce a ad evidenziare il lato umano del Capitano.
Nonostante il disordine e la disorganizzazione, l'equipaggio riacquista tutto il suo contegno nelle situazioni difficili, dimostrando l'abnegazione e il coraggio pretesi dal Capitano. Dalle sue parole evince lo spirito che guida la vita di bordo: «Pur trattandosi di una nave di pirati... pur essendo esposta a molte battaglie, l'Arcadia rimane sempre la nostra casa. Quando si è in casa propria, capita a chiunque di sbadigliare o fare un pisolino, oppure gridare... La regola ferrea di questa nave dice che nel solo momento del bisogno si deve applicare la disciplina... Lo spazio è immenso e la sua traversata lunga. Capite perché ritengo che questo modo di fare sia quello giusto?». Lo stile di vita e la condotta dell'equipaggio assieme al sistema in cui la nave si approvvigiona del necessario per il proprio sostentamento, ricalca in pieno lo stile fiumano e le azioni degli Uscocchi, i pirati dell'Adriatico predatori dei bastimenti sabaudi per il sostentamento della città e della Reggenza al quale diete vita il D'Annunzio, frutto proibito della vittoria mutilata della grande guerra.
Perno centrale di tutta la saga resta però il protagonista: Capitan Harlock. Un pirata di tutto rispetto: benda all'occhio, cicatrice sul viso, mantello ed abito neri con sul petto raffigurato un teschio bianco, spada e pistola (laser). È straniero in patria, odiato e temuto dalle autorità per i suoi ideali rivoluzionari, predica sommessamente, con l'esempio, una vita diversa: libera, ma allo stesso tempo fonte di sacrifici e lacrime. Il vessillo del Capitano, un teschio bianco in campo nero, non è simbolo d'efferatezza, bensì emblema di riscatto da un mondo di schiavitù, non materiale, ma mentale. Harlock incarna l'ideale dello Sturm und Drang; essere pronti a morire in qualsiasi momento per i propri ideali.
La passione che arde in lui (Sturm) è contemperata da quel sentimento tipicamente romantico di struggente malinconia, di riflessione profonda e continua (Drang). Il rituale, quasi liturgico, è sempre lo stesso: il pirata che suona una melodia triste accompagnato dall'arpa di Meeme, mentre lo sguardo è rivolto alle stelle; Harlock abbandona così il mare delle stelle per avventurarsi nel mare più profondo della sua anima. Un moderno "giovane Werther" di Goethe o un "Dorian Gray" di Wilde dai quali traspare quell'aria malinconica, ma allo stesso tempo granitica che li ha resi immortali.
Nel messaggio di Matsumoto, Harlock è l'emblema di un'autentica libertà, una ferrea volontà di non scendere mai a compromessi con una società che imprigiona gli animi. La sua essenza di ribelle e il suo spirito lo spingono a battersi sempre e comunque, anche contro i "mulini a vento". Un autentico Waldganger, il ribelle che nell'antica Islanda si ritirava nei boschi, e nei quali conduceva un'esistenza libera e rischiosa. Figura esaltata da Ernst Jünger nel Trattato del ribelle del 1951 nel quale va ad analizzare e cercare «quei singoli che, nei periodi, magari anche lunghi, di puro dominio della forza, pur con notevole sacrificio personale conservano la nozione del diritto. Anche quando tacciono, sono scogli sommersi intorno ai quali le acque continuano ad agitarsi».
La figura del ribelle entra in un ordine diverso, «dove non fa alcuna differenza se l'opinione del singolo contrasta con quella di cento o mille individui. Alla stessa stregua il suo giudizio, la sua volontà, la sua azione possono fare da contrappeso a dieci, venti o mille altre persone». La descrizione che Jünger fa del ribelle calza alla perfezione il personaggio creato da Matsumoto: «Chiamiamo ribelle chi nel corso degli eventi si è trovato isolato, senza patria, per vedersi consegnato all'annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, forse di tutti, perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell'intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo».
E il mondo, descritto nella serie e purtroppo molto simile al reale che viviamo è ancora ben descritto da Jünger: «L'inevitabile assedio dell'essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo, e avanzano di pari passo con il progredire della tecnica. L'accerchiamento del nemico è prima razionale, poi anche sociale, e infine,al momento opportuno, lui, il nemico, viene sterminato. Non vi è destino più disperato che essere catturati in questa spirale, dove il diritto è usato come arma».
Ognuno dovrebbe avere un Capitan Harlock dentro di sé. Un Capitan Harlock che spinga a rompere l'accerchiamento, che desti gli animi e decida che è giunta l'ora in cui si salta fuori dal cerchio e si faccia la propria parte nella costruzione di quella società ideale che tanto nei fumetti come nella storia vera dell'umanità, ha contraddistinto i sogni di molti. Forse di tutti.