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Schifani? Preferisco il Mullah Omar

di Massimo Fini - 30/01/2011


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Sto scrivendo una biografia del Mullah Omar. Mi prende la sottrar di quest'uomo che combatté giovanissimo, come semplice mujaeddin, gli invasori sovietici, perse un occhio e rimediò quattro profonde ferite una delle quali glia traversa l'intero torace; che come leader dei talebani si batté, a difesa della povera gente, contro i "signori della guerra" Massud, Heckatyar, Dostum e Ismail Khan), che taglieggiavano, rubavano, stupravano, assassinavano, buttavano fuori dalle case le famiglie per farle ai propri seguaci, vessavano e angariavano in tutti i modi la popolazione agendo nel più pieno arbitrio, e li sconfisse; che si è giocato un Paese non per difendere Bin Laden, che si era trovato in casa (ce lo aveva portato il nobile Massud perché lo aiutasse a sconfiggere un altro "signore della guerra", Heckmatyar) verso il quale ha avuto sempre molta diffidenza e che nel 1998, su proposta di Clinton, era disposto a eliminare se il presidente degli Stati Uniti all'ultimo momento non si fosse tirato inspiegabilmente indietro, ma per una questione di principio, di coerenza e di dignità del suo Emirato islamico d'Afghanistan perché quando, dopo l'11 settembre, gli Stati Uniti ne pretesero la consegna immediata e il governo afgano, alla sua richiesta che gli venissero fornite delle prove che il Califfo saudita era veramente alle spalle degli attentati, e non un millantatore, si sentì arrogantemente rispondere «le prove le abbiamo date ai nostri alleati»; che fuggito da solo i moto, in una scena che ricorda, anche se gli intenti sono diversi, l'inizio di Lawrence d'Arabia quando Peter O'Toole, nei panni di Lawrence, inforca la sua motocicletta e la spinge sempre più veloce (comunque quello di Omar resta l'ultimo atto romantico di cui io abbia memoria) ha ricostruito con pazienza il suo movimento e da dieci anni con i suoi talebani, armati quasi esclusivamente del proprio coraggio, dei loro corpi e di "fucili di precisione", come si scrive qui da noi, che sono dei Dragunov di fabbricazione sovietica del 1951, tiene in scacco il più potente, sofisticato, tecnologico, robotico esercito del mondo, la Nato e una coalizione di 48 Stati fra cui ci sono alcuni dei Paesi più ricchi del pianeta che vogliono schiacciare, con la violenza delle loro armi, della loro economia, della loro ideologia, uno dei più poveri.
Ma confesso che se mi immergo volentieri, con questo libro, nella realtà afgana è per sfuggire, almeno mentalmente, a quella italiana. Sfoglio il Corriere della Sera. In genere le prime 8-12 pagine sono dedicate alla politica interna. Ma non è politica, sono sordide lotte di potere all'interno dei partiti, vaneggiamenti di uno psicopatico che è il nostro presidente del Consiglio, gossip di ogni tipo, con preferenza sulla mutanda, informazioni su cosa ha mangiato madame Santanchè che non è esattamente Carla Bruni. Ho nostalgia dei tempi in cui esisteva il "pastone", due colonne dedicate a quanto era successo in Parlamento condite con qualche indiscrezione. Apro la Tv di pomeriggio e vedo gente che rovescia sul tavolo le proprie viscere, i propri sentimenti più intimi intervallati da pubblicità che reclamizzano "linee di prodotti beauty per cani" o "Activia, per ritrovare la propria naturale regolarità". La apro la sera per vedere i cosiddetti "programmi di approfondimento", quello di Vespa, Santoro, Floris, Lerner, e trovo la solita compagnia di giro, persino Crepet, risse, ancora mutande e i mascheroni dei politici fra cui è onnipresente il muscolare ministro della Difesa Ignazio La Russa che manda i nostri soldati a morire inutilmente in Afghanistan e che se si trovasse di fronte un ragazzino talebano se la farebbe nei suoi bei calzoni.
C'era una battuta che facevo a teatro, in "Cyrano, se vi pare…", che suscitava sempre una certa ilarità. Dicevo, storpiando un po' l'italiano per esigenze di spettacolo: «Nego nel modo più assoluto che il Mullah Omar sia meno rappresentativo della sua gente del fatto che qui da noi si infila una scheda in un'urna e salta fuori Renato Schifani». Boato.
Giudicatemi come volete, ma io a Schifani preferisco il Mullah.